Intervista a Cristiano Seganfreddo – Ideatore e direttore di Innov(e)tion Valley

innovetion_valleyNel Nord-Est italiano qualcosa si sta muovendo. In tempi di congiuntura economica, il territorio italiano a più alta densità creativa si è ri-scoperto essere una terra di innovatori, proponendo con forza il suo modello produttivo, economico e creativo. Lo sanno bene i promotori del festival delle Città Impresa (2-5 aprile 09) che, prendendo spunto da questo fermento “culturale”, hanno acceso i riflettori sulle trasformazioni del tessuto economico di questi territori e sulla rivoluzione del rapporto città-impresa che sta imponendo un cambio di paradigma nel rapporto tra impresa e territorio. E lo sa bene anche Cristiano Seganfreddo, ideatore e direttore di Innov(e)tion Valley.
La storia di Innov(e)tion Valley inizia ufficialmente il 6 settembre 2008, a Bassano del Grappa, in occasione dell’Adunata del contemporaneo, una giornata tra arte, design, musica, popolata dai nuovi talenti creativi, da istituzioni e grandi aziende. L’obiettivo dell’iniziativa che ha tenuto a battesimo la nascita dell’Innov(e)tion Valley, ricalca gli obiettivi dello stesso progetto ideato da Cristiano Seganfreddo, ovvero contaminazione tra creatività, industria e territorio, per un ripensamento generale del Nord-Est.
Tafter ha intervistato Cristiano Seganfreddo per indagare le modalità di realizzazione di questo progetto di pianificazione strategica del nuovo Nord-Est…

Nella mission si dice che Innov(e)tion Valley un progetto di pianificazione strategica del nuovo Nord-Est. Ci può spiegare il senso?
Si intende una nuova triangolazione: tra territorio, parte istituzionale e parte  imprenditoriale. Se ne parla nell’ordine economico e del sociale, non tanto dal punto di vista urbanistico chiaramente. La decisione di dar vita a questo progetto è frutto di una attenta valutazione supportata da dati concreti: sappiamo che la sola provincia di Vicenza, nel 2000, esportava come Grecia e Portogallo insieme, quindi l’export di una provincia contro quello due intere nazioni. Il fatto è che questa straordinaria capacità produttiva è sempre stata interpretata in termini quantitativi ma mai qualitativi. Sappiamo che ci sono 2500 aree industriali per 500000 addetti, ma mai si è realizzato che in queste 2.500 aree industriali potesse esistere un sistema in cui si conduceva anche parte del senso della contemporaneità, non solo per quanto riguarda il fashion e il design, ma considerando anche la piattaforma artistica e storica esistente. Per pianificazione strategica si intende un’ azione a partire dalla considerazione che la grande ricchezza economica del territorio non ha mai prodotto un avanzamento dello stesso, caratterizzato da paesaggi sterili (la sequenza di villette schiera lo testimonia) e una vita sociale apparentemente deludente. Quindi, pianificazione strategica significa in concreto operare uno slancio rispetto alla contemporaneità sfruttando questa triangolazione open source tra i tre soggetti prima accennati. In questo modo possiamo e vogliamo cambiare un territorio.

È pur vero che le province di appartenenza dell’area hanno già pianificazioni strategiche pertinenti, per esempio quella di Treviso o di Venezia. Come si concilia la vostra “pianificazione strategica” ufficiosa con quella ufficiale?
Secondo noi il  problema è che le amministrazioni fanno pianificazioni istituzionali senza considerare i territori, programmano interventi a prescindere dagli stessi. I progetti mai si studiano considerando l’applicazione nella realtà. La differenza, secondo noi, consiste nella modalità di metterli in pratica, in maniera concreta. Per esempio, è perfettamente inutile costruire le piste ciclabili se precedentemente, in un lasso di tempo sufficientemente ampio, non si è fatta una campagna di sensibilizzazione all’uso della bicicletta. Allo stesso modo, se non si lavora sull’idea di mobilità sostenibile dei centri storici, sull’idea di liberarli dalle auto, è inutile costruire parcheggi a margine delle città; la gente continuerà a prendere le multe senza curarsi dei parcheggi. Bisogna creare le condizioni.
In questo territorio, che ha un potenziale inespresso legato alla sua connotazione imprenditoriale, è molto avvertito questo scostamento tra un potenziale e la sua applicazione. Colmare questo scostamento è fondamentale, e una delle possibilità di incidere è soprattutto cooperare con gli opinion leader di un territorio. Si ha una marcia in più.

innovetion-valleyQual è il modello organizzativo di Innov(e)tion Valley? Sono stati utilizzate forme di sviluppo concertativo?
Il progetto ha assolutamente bisogno di concertazione. La prima, che non è stata assolutamente semplice da portare avanti, è avvenuta agli inizi del progetto, circa un anno fa.  In tempi molto brevi abbiamo ricevuto apprezzamenti e raccolto il coinvolgimento di  molti soggetti, quali Camere di Commercio, associazioni di categoria, enti locali, realtà imprenditoriali,  anche di opinion leader imprenditoriali, quali Renzo Rosso. I momenti di incontro a livello concertativo sono stati decine, a cui hanno partecipato decine di soggetti, attorno ad un processo territoriale molto ampio, tentando di superare le logiche locali e le lobby territoriali. La maggiore difficoltà, ma anche la maggiore forza di IV, è stata la scelta di essere assolutamente privi di colore politico, per non far ricadere necessità e obblighi sotto bandiere partitiche. Imprenditori e associazioni culturali hanno cominciato a dare senso e significato alla nostra visione territoriale con il Corriere del Veneto. Abbiamo poi costituito un primo comitato scientifico, tra cui una serie di economisti, sociologi di riferimento e esperti  della contemporaneità. Soggetti molto diversi tra loro messi insieme con lo scopo della creazione di un network, presupposto fondamentale affinché un territorio possa cominciare ad evolversi, a pianificare.

Come veicolate contenuti?
Le iniziative intraprese e quelle in progress sono numerose, tra progetti e attività di comunicazione.
Tra queste, Creative R’evolution3 , una sorta di festival, giunto al terzo ciclo della serie di incontri di approfondimento sul sistema contemporaneo italiano tra arte, design, impresa e territorio. Da ottobre 2008 fino a  marzo 2009 ha acceso i riflettori in luoghi ogni volta diversi con una rosa di relatori sempre varia ed eterogenea: da architetti a sociologi, da filosofi ad artisti ad industriali, creando il mix necessario per la realizzazione del progetto IV.
E ancora, la rivista dell’IV che ne descrive le eccellenze, le specificità e contraddizioni, per incrementarne la consapevolezza interna e rafforzarne l’identità, per raccontare ad un pubblico nazionale ed internazionale le storie di decine di innovators, e per permettere una riflessione ad ampio raggio sul ruolo della creatività nell’economia contemporanea. Nel 2009 il magazine è prevista un’uscita trimestrale – che diventerà mensile già dal 2010 – ed  è distribuita anche in allegato al Corriere della Sera/Corriere del Veneto. È  prevista anche una versione on-line, raggiungibile attraverso il portale web dell’IV. La prossima uscita sarà a giugno 2009, in occasione dell’inaugurazione della Biennale di Venezia.

Innov(e)tion valley è anche una risposta alla crisi economica del 2009/2010?
La crisi è un’occasione per ritrovare una identità territoriale e rilocalizzare, riconsiderando la matrice industriale da cui era partito il nostro Paese, quella dell’artigianato industriale.
C’è la necessità di creare un gruppo di imprese doc, culturalizzate, e trovare risorse umane che risiedano nello stesso contesto. Le imprese, mai come ora, hanno bisogno di ancore sociali, culturali e territoriali, perché da sole, come è avvenuto di prassi negli ultimi anni, non  sono in  grado di sopravvivere. La densità di imprese di cui si parlava rappresenta un forte asset valoriale. Pensi al  coinvolgimento per le celebrazioni dei 500 anni del Palladio. Comincia a passare una densità di senso. Il territorio comincia ad avere senso.

Considerando il noto volume di Florida, pensa che creatività sia alla base di tutto, sia la reale risorsa per il mondo produttivo del Nord-Est?
Penso sia una condizione fondamentale ma non credo che un territorio possa ricapitalizzarsi con la creatività, come è intesa quella di Florida.
Proviamo a far capire che al di là del prodotto che si produce, stiamo cercando un punto di vista comune. Questo territorio ha dimenticato la sua VISIONE. Le aziende che hanno più difficoltà sono quelle non calate nella contemporaneità, non nel senso che non investono in arte contemporanea (aspetto marginale). Quelle aziende che lavorano sui processi sono quelle che hanno la capacità di resistere, considerando il momento economico congiunturale, e sono in grado di capire come sta evolvendo il mercato e le tendenze. È giusto non focalizzarsi sul consumo e produzione, ma trovare un approccio ai processi interni, anche culturali.

Una parola chiave della contemporaneità è trasformazione, che porta inevitabilmente al tema dell’innovazione. Che significa per voi?
Non penso ci sia una definizione univoca di innovazione, applicabile a migliaia di realtà.
Si tratta più di cambiare il paio di lenti con cui guardare la realtà, come dicevo una questione di visione. Per troppo questi territori essenziali e naif nel loro modo di produrre senso. Vogliamo far si che vengano capite necessità contemporanee ma non legate all’arte contemporanea ma come modalità di azione. Come l’innovazione si realizza, in un ristorante come all’interno di una galleria, così come nel mondo dell’impresa.
Noi siamo facilitatori di senso. Se questo processo lo facesse una istituzione, sarebbe un disastro, si cadrebbe nelle lotte di potere. Noi siamo liberi di scegliere. Inoltre, noi uniamo le realtà che non riescono a dialogare in autonomia, pur occupandosi dello stesso settore produttivo e essendo prossimi geograficamente. Non abbiamo l’ambizione di modificare.

In Italia abbiamo un a serie di iniziative legate allo sviluppo territoriale come i sistemi turistici locali, le aree prodotte, i distretti culturali, le aree integrate. Sono tutti una sorta di tentativi di facilitatori di dialogo nel territorio. Come possiamo differenziare in modo netto questo progetto di Innov(e)tion valley dagli altri?
Alle spalle del progetto non c’è investimento economico ma lavoro. Questa è la cosa che ci differenzia. Nel senso che ogni aderente mette a disposizione le proprie competenze, ponendo le fondamenta al network.
L’editore fornisce il materiale cartaceo o l’albergatore fornisce alloggi. Qualcosa che all’azienda costa poco ma che attiva dei processi, e permette lo svolgimento di attività, dalla comunicazione all’organizzazione.

Pensiamo all’impatto di una iniziativa di questo tipo. Quali indicatori avete considerato per valutare la ricaduta del progetto sul territorio? Chi sono gli scettici sul progetto?
Si stanno creando reazioni di varia natura. Per esempio, una serie di iniziative da noi attivate ha bloccato la realizzazione di progetti “farlocchi” di una amministrazione  locale, influenzando scelte territoriali. 
Gli scettici sono quelli che non credono sia possibile fare un progetto che lega asset valoriale e territorio senza interlocutori politici. Potrebbero identificare IV con un Marchio d’area o con un mero lavoro di comunicazione. La mia risposta è che milioni di volte hanno provato a costituire dei marchi d’area ma il problema è che se non ci sono i soggetti, una condivisione dietro, tutto è fallimentare. Non funziona come il marchio sulla banana “Ciquita”.
Ha raggiunto il primo obiettivo di visibilità, dal punto di vista mediatico, ed inizia a  stimolare la progettualità. Non ha finanziamenti ma è incentivato solo da imprenditori e innovatori del nord-est.

Errori da non commettere?
È necessario mantenere sempre l’attenzione alta ai contenuti, non lasciarsi sedurre da aspetti economici o facilitazioni economiche in cambio di qualità.