Intervista a Roberto Scarpa, docente di pedagogia e didattica teatrale, ideatore e responsabile di “Fare teatro” e di “Prima del teatro: scuola europea per l’arte dell’attore”.

prima-del-teatro1Dott. Scarpa, lei è da anni uno specialista nella formazione e nella didattica teatrale. È stato ideatore e responsabile di “Fare teatro, progetto di educazione teatrale per i giovani e le Scuole”, e di “Prima del teatro: scuola europea per l’arte dell’attore”. Secondo lei, oggi, qual è il percorso formativo che fa di un attore un buon attore?
Il termine attore ha molti significati diversi. Un tempo essere attore era sinonimo di attore di teatro ma oggi il mestiere dell’attore ha molte più sfaccettature, si può essere attore di teatro, di cinema o addirittura televisivo. Parlando dell’ambito teatrale penso che ci siano due percorsi possibili che non sono alternativi ma, in un curriculum ideale, concorrenti: da un lato c’è il percorso didattico accademico, ufficiale, che si percorre frequentando una buona scuola di teatro, dall’altro c’è un percorso auto-pedagogico. I due percorsi devono oggi necessariamente essere concorrenti anche perché le scuole di teatro hanno una durata che raramente supera i tre anni, un periodo che non è sufficiente per diventare un attore.

Nella scuola Prima del teatro: scuola europea per l’arte dell’attore in cui lei è docente collaborano alcune fra le principali scuole di teatro europee, russe e americane. Qual è la differenza tra la formazione teatrale italiana e quella internazionale secondo il suo punto di vista?
Ci sono enormi differenze tra le diverse formazioni teatrali a livello internazionale. La scuola Prima del Teatro nasce appunto per valorizzare queste differenze che possono rappresentare, da un punto di vista della formazione di un giovane attore, un arricchimento.
La prima sostanziale differenza è linguistica e drammaturgica. La drammaturgia anglosassone, ad esempio, è più complessa e più ricca di quella italiana che invece è caratterizzata da una non sempre risolta scissione fra teatro di corte e teatro popolare. La nostra tradizione della maschera e del grande attore ha faticato e fatica a concorrere con la creazione drammaturgica. Comunque le tradizioni quando si incontrano si valorizzano. Tra le diverse tradizioni teatrali internazionali vi è stato un lungo e ricco processo di ibridazione. La grande tradizione russa del ‘900 è nata grazie all’ammirazione e all’osservazione da parte di Stanislavskij dei grandi attori italiani quali Grasso o la Duse. Fu il grande attore italiano che ispirò Stanislavskij per la costruzione del suo metodo. Ciò detto credo che si possa parlare ormai di Teatro europeo e concederci questa libertà di oltrepassare le frontiere. C’è un filo che da Eschilo, attraverso Plauto conduce a Shakespeare, Lope, Machiavelli, Moliére, Goldoni, e poi alla grande fioritura di Strindberg, Cechov, Ibsen, Pirandello. Ma sto dimenticando talmente tanti maestri che mi fermo. Come rinchiudere queste personalità all’interno del recinto, dei confini, di una patria che non sia, almeno, l’Europa. E ho detto, ovviamente, “almeno”.
Comunque, anche pensando solo al cosiddetto mercato del lavoro (termine orribile) un giovane attore europeo, di qualunque nazionalità, a Prima del teatro ha la possibilità straordinaria di recitare Shakespeare in lingua inglese e Pirandello in lingua italiana, percependo così  le peculiarità del testo. Ma oltre a questo, un incontro di scuole di teatro consente per un periodo dell’anno alle scuole di teatro di trasformarsi da luoghi dove si insegna in luoghi dove si apprende.
Secondo il sociologo tedesco, Wolf Lepenies, nella società della globalizzazione il futuro sarà delle culture che sapranno trasformarsi da culture che insegnano in culture che apprendono: è questo, secondo me, il segreto che sta alla base delle buone scuole di teatro, il non doversi imporre all’allievo. Prima del teatro infatti cerca di essere un luogo e un tempo in cui queste scuole prestigiose imparano dalle altre scuole: non è solo una scuola delle scuole ma piuttosto una scuola per le scuole perché aiuta insegnanti e allievi a concepire la propria professione in un’ottica non solo locale ma anche globale (del resto l’opposizione locale/globale è pericolosa e falsa). Italia, Francia, Spagna, Germania, Danimarca, sono Paesi che ne hanno sicuramente più bisogno rispetto all’Inghilterra perché un buon attore che esca da una scuola inglese avrà un mercato di riferimento incredibilmente più vasto rispetto ad un attore italiano e questo, indipendentemente dall’eccellenza del personale percorso formativo, grazie alla lingua.
Nonostante questo vantaggio iniziale di cui godono, gli inglesi sono quelli che sfruttano maggiormente le opportunità di contaminazione: sono già 15 anni, infatti, che tutti gli attori al secondo anno della Guildhall School of Music and Drama di Londra (che credo sia una fra le tre migliori Scuole al mondo, se non la migliore) partecipano ai nostri laboratori che sono all’interno del curriculum degli studi della Guildhall. I 24 allievi attori inglesi si dividono in 4-5 laboratori e lavorano a contatto con allievi di altre nazionalità su drammaturgie di paesi diversi. Quando poi tornano a Londra, la prima settimana di attività a settembre, la dedicano all’approfondimento delle diverse tecniche sperimentate e apprese a Prima del teatro.

Molto spesso assistiamo a casi in cui delle soubrette o dei personaggi noti in ambito televisivo si ritrovano improvvisamente proiettati sul grande schermo o a calcare le scene dei teatri. Secondo lei, questo fenomeno, penalizza la figura dell’attore “accademico”?

La penalizzazione della formazione accademica nel teatro viene in realtà da molto più lontano. Per quanto riguarda la formazione teatrale in Italia, le grandi esperienze pedagogiche sono nate anche grazie alle esperienze dei grandi attori italiani del passato. Dopodiché, per fare una scuola degna di questo nome in ambito teatrale abbiamo dovuto aspettare fino al 1936, con la fondazione dell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico. In altri paesi le grandi scuole teatrali erano sorte molto prima. E se guardiamo semplicemente alle sedi e confrontiamo la sede dell’Accademia con quelle delle scuole straniere ci rendiamo conto del nostro incredibile ritardo. Questo anche paragonandoci a paesi con un Pil inferiore al nostro, come la Spagna ad esempio, vedremo che è imparagonabile il livello di investimento nella pedagogia teatrale: in Italia è quasi assente.
Non voglio dare la colpa alla televisione o al mondo dello spettacolo, che sicuramente hanno le loro responsabilità, quanto piuttosto a fattori più generali quali la sottovalutazione della scuola in generale, che tocca anche altri settori ma che colpisce in particolar modo quello dello spettacolo. La necessità di una buona scuola di teatro (e si dovrebbe partire almeno dai Licei con un lavoro di base) è sottovalutata dagli stessi attori e, ancor più colpevolmente, dalla critica e dall’Università. Per esempio la nascita e la diffusione delle cattedre di Storia del teatro nelle nostre Università avrebbe potuto essere un’occasione per rimediare e si è trasformata in tutt’altro.

Il fatto che i giovani sottovalutino la formazione può dipendere, ad esempio, da una mancanza di fiducia verso le scuole?
No, questo direi di no. Conosco tanti giovani che non chiederebbero di meglio che poter studiare duramente. Infatti le persone che frequentano le scuole continuano anche da diplomati a cercare occasioni di studio e apprendimento. Magari si può immaginare che se il lavoro, in gran parte dello spettacolo, non lo si trova grazie al merito e ai titolo acquisiti ma grazie a conoscenze o bell’aspetto si possa diffondere, fra i giovani, un certo pessimismo. Le Scuole andrebbero incentivate e ci potrebbero essere tanti modi per farlo. Anche perché quando si comincia a sentire una prima vocazione teatrale si è di solito abbastanza giovani. Allora, sottoporsi ad una prova di accesso per una scuola di teatro affrontando una selezione durissima che spesso mette di fronte alla delusione di non essere accettati può indurre facilmente a cercare scorciatoie. E ci sono gatti e volpi che ne approfittano, basta vedere come è selvaggia l’offerta formativa privata nel settore dello spettacolo. Ci sono certo cose serie e ben fatte ma il giovane, la famiglia non ben informata, come possono difendersi e scegliere in modo serio?
In Accademia su 600-700 domande ogni anno vengono prese alla fine solo 20 persone. Questo momento è importante per un giovane, perché lo sottopone ad una prima verifica della propria vocazione e ad un periodo, di almeno 3 anni, in cui si potrà dedicare solo allo studio, all’interno di un gruppo che, in qualche modo, simulerà quella che un tempo era la compagnia teatrale (e che oggi quasi non esiste più).
Una buona scuola di teatro è dunque indispensabile ma non sempre è sufficiente. L’attore, infatti, non ha come il musicista la possibilità di scegliere e modificare lo strumento che lo accompagnia nella sua carriera. Un violinista può ricomprare il violino se si rompe o si danneggia, ma un attore ha il proprio corpo e la propria voce che si modificano con le varie età e spesso purtroppo subiscono gli oltraggi del tempo. La bravura, direi la maestria dell’attore e dell’attrice sarà allora quella di accettare il tempo, le sue trasformazioni. E per questo il talento non basta, serve una saggezza e una tecnica. Uno dei grandi maestri di teatro giapponese, Zeami, distingueva le varie fioriture dell’attore in base alle età. Affermava che ci fosse un fiore per ogni età della vita: quello del giovane, quello della maturità e quello della vecchiaia. Il primo è naturale e bello, ma il merito della sua bellezza non è rintracciabile in colui che lo possiede; solo quello della vecchiaia, invece, sboccia grazie al merito dell’attore stesso, che lo ha saputo curare fino alla fine.

Lei è stato direttore per oltre vent’anni delle attività formative del Teatro di Pisa. Oltre ad insegnare, cos’è che ha imparato da questa esperienza?
In questi anni ho avuto la fortuna di lavorare sempre a stretto contatto con i giovani e spero ciò mi abbia mantenuto in contatto con la contemporaneità e i suoi stili. La cosa più importante che forse ho imparato è stata una disponibilità ad aprirmi verso uno sguardo più ampio, non provinciale. Ho conosciuto persone straordinarie, appassionate, ispirate, gentili e questo mi ha permesso apprezzare appunto la gentilezza in un mondo in cui gentilezza e ispirazione non sono a dire il vero molto richieste o apprezzate.

prima-del-teatro-scenaAbbiamo visto come negli ultimi anni i dati riguardanti gli afflussi di pubblico del teatro siano stati altalenanti, conoscendo anche dei picchi molto bassi. Come mai, secondo lei, nell’industria dello spettacolo il teatro continua ad assumere un ruolo di “nicchia” rispetto al cinema o alla televisione? Dipende dal genere che si propone o dalla formazione stessa?
Ho scritto un libro che si intitola “L’uomo che andava teatro. Storia fantastica di uno spettatore”. Credo che in questo titolo vi sia parte della risposta.
Tendiamo a dare maggiore importanza agli attori e ai registi (che sicuramente sono importanti) ma ci scordiamo che il teatro, contrariamente alle altre arti, è fatto almeno al 50% dallo spettatore. Il teatro è ciò che accade tra uno spettatore e un attore: se abbiamo questa idea di teatro e capiamo che è questo ciò che lo differenzia dal cinema, dalla televisione o da qualsiasi altra forma, comprendiamo che la crisi del teatro non può essere considerata solo la crisi dell’attore o del regista, ma sicuramente tocca il concetto di spettatore. Se lei, ad esempio, va a teatro quando arriva una scolaresca, si accorgerà che i ragazzi non sono degli spettatori teatrali ma degli spettatori televisivi che credono di trovarsi davanti ad uno schermo e non di fronte a persone reali.
Se vogliamo uscire da questa crisi, e ne usciremo senz’altro, dobbiamo lavorare sullo spettatore tanto quanto lavoriamo sulle altre figure professionali.
Sa qual è il sinonimo della parola spettatore nella lingua italiana? La parole testimone.
A teatro lo spettatore è un testimone perché ha un ruolo attivo andando a raccontare agli altri cosa ha visto in scena.
Per tornare spettatori attivi, inoltre, si deve lavorare sulla collocazione del teatro nella città moderna. Nella nostra cultura “crociana” tendiamo a pensare che per riformare il teatro bisogna aspettare un Pirandello o un Pasolini. Io credo invece che un intervento politico capace di dotare l’Italia di spazi teatrali contemporanei, sarebbe un salto di qualità non indifferente. In Italia si recita in spazi meravigliosi, costruiti però per il melodramma. Sarebbe come suonare il rock con un violino Stradivari. Lo spazio ideale sarebbe quello in cui lo spettatore non è nascosto ma, come nel teatro greco, quello in cui l’attore e lo spettatore si guardano e interagiscono, superando la divisione palco-platea del grande teatro all’italiana.
Il teatro, come lo si intendeva nel 1910, è morto e non ritornerà mai più. Ma il teatro nel senso ampio del termine, non è affatto morto. Esisterà anche quando non ci sarà più la televisione o il cinema, sostituiti da tecnologie nuove.

Quali sarebbero i consigli che si sentirebbe di dare ad un giovane che decide di intraprendere la strada del teatro?
Gli direi di imparare ad ascoltare e osservare moltissimo. Questo, al di là di una buona scuola di recitazione, è alla base del teatro. E dell’attore. E di pensare sempre di “fare agli altri ciò che vorrebbe fosse fatto a lui”: se lui non andasse a teatro a vedersi, allora sta sbagliando qualcosa. Ma è una frase che sarebbe una buona base per tanti mestieri, naturalmente.