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In questi giorni di grande fermento per l’imminente apertura della 53esima Biennale d’Arte di Venezia, in laguna non c’è solo il più importante appuntamento con l’arte contemporanea di tutto il mondo a far discutere di sé. Un altro nome, che pare insidiare la risonanza mediatica di un evento internazionalmente conosciuto ed affermato come la Biennale, riecheggia da giorni sulle pagine della stampa specializzata, e dei maggiori quotidiani nazionali e locali: si tratta di Palazzo Ca’ Pesaro, sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, uno dei principali musei civici della città.
Al centro delle polemiche – che hanno coinvolto anche il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari -, la mostra dal titolo “Non voltarti adesso!/ Don’ t Look Now!”, che inaugura esattamente negli stessi giorni della vernice dedicata alla stampa della 53esima Biennale d’Arte di Venezia. La mostra, curata da Milovan Farronato, direttore artistico di «Viafarini» a Milano e ospitata presso gli spazi espositivi di Palazzo Ca’ Pesaro, sembra essere una sorta di provocazione nei confronti del Padiglione Italia della Biennale, la cui cura è stata affidata a Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, entrambi nominati dal ministro dei beni culturali Sandro Bondi.
La scelta della sede per quella che è stata già definita una “contro-Biennale”, o una sorta di “Secessione veneziana”, è tutt’altro che casuale, se si pensa che proprio Palazzo Ca’ Pesaro è stato, fin dagli inizi del Novecento, la sede di esposizioni che mettevano in mostra le opere dei giovani refusés della Biennale ufficiale.
La mostra “Non voltarti adesso!/ Don’ t Look Now!”, che nelle parole del suo curatore “è una citazione da Don’t Look Now, raffinato film di Nicholas Roerg del 1973”, ma anche un richiamo implicito all’episodio biblico della fuga di Lot e della sua famiglia dalle rovine di Sodoma, quale monito a non voltarsi verso il passato, rende omaggio a dieci artisti scartati dalla selezione ufficiale del Padiglione Italia, mettendo in scena le indagini plastiche di Sergio Breviario e Liliana Moro, i video di Nico Vascellari e Anna Franceschini, le pitture di Lorenza Boisi e Giulio Frigo, le investigazioni fotografiche di Franco Guerzoni, le installazioni di Flavio Favelli, Paolo Gonzato, Luca Trevisani.
Ciò che ha suscitato tanto richiamo intorno alle vicende di Palazzo Ca’ Pesaro è, oltre la mostra e l’interessante sfida lanciata da Milovan Farronato, la doppia presenza del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, in qualità sia di vicepresidente della Fondazione musei civici veneziani, sia di vicepresidente della Biennale. Un doppio ruolo salutato da alcuni come l’ennesima prova della libertà dell’arte, e tacciato da altri di nascondere interessi politici tesi a colpire le scelte dei due curatori del Padiglione Italia, più che la Biennale in sé.
Nel frattempo sempre nei giorni immediatamente precedenti all’apertura al pubblico della Biennale, sarà inaugurato a Venezia un altro spazio dedicato all’arte contemporanea, il Centro d’arte contemporanea Punta della Dogana, presso la celebre propaggine di Dorsoduro, che si estende tra il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca. Le nuove sale di Punta della Dogana, rinate dopo l’intervento dell’architetto giapponese Tadao Ando, grazie ad un investimento di circa 20 milioni di euro del magnate del lusso François Pinault, si andranno ad aggiungere alle strutture già presenti lungo quello che viene definito il “chilometro dell’arte”, confermando il ruolo centrale giocato dalla città di Venezia nel panorama dell’arte contemporanea.

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