Intervista a Francesco Scaringi, ideatore e curatore del progetto “Arte in Transito. Paesaggio urbano e arte contemporanea”, a Potenza fino al 30 settembre

logo-artetransito“Arte in Transito. Paesaggio urbano e arte contemporanea” è un progetto che intende esplorare il rapporto tra città, arte e architettura  muovendo delle riflessioni che pongono in primo piano la città di Potenza, indiscussa protagonista con i suoi centri e le periferie, con lo scopo di “dare un senso e un significato alla città”. Come è nata l’idea di questo progetto?Tutto è nato sulla scorta delle nostre esperienze passate. La mia associazione, Basilicata 1799, di cui sono presidente, da anni si occupa delle questioni della città da un punto di vista culturale. Ha organizzato incontri, seminari, workshop cercando di riflettere sulle problematiche riguardanti la città contemporanea, di tracciare idee e proposte, con appuntamenti fissi, incominciando da quelli biennali realizzati insieme ad “Anfione e Zeto”, una rivista di architettura curata e diretta da Margherita Petranzan. Ad un certo punto si è sentita l’esigenza di raccogliere tutte queste esperienze e farle confluire in un unico progetto, che fosse di ampio respiro e utile per la città in cui operiamo, Potenza, per inserirla con più forza nei circuiti del turismo culturale.

Quali sono state le fasi organizzative che hanno portato al coinvolgimento di numerosi esperti nel campo nell’arte, dell’architettura, della città, della danza, della filosofia…?
Possiamo individuare tre momenti fondamentali:
il primo riguarda l’aggregazione di soggetti locali (in primis associazioni, creativi, forze professionali, gruppi che operano nella città di Potenza o in Basilicata) per mettere insieme le loro esperienze con la nostra; il secondo riguarda il coinvolgimento della nostra ampia rete di relazione, frutto di un lavoro quasi ventennale con istituzioni culturali di prestigio, grandi personalità della cultura, delle arti, della società e delle professioni; infine  la costruzione di una struttura ad hoc per la complessità di tutta l’operazione. Un lavoro non semplice per il reperimento delle risorse umane e delle professionalità necessarie. Professionalità nuove, che cerchiamo di creare anche all’interno di questo progetto, ritenendo il fattore culturale un volano per lo sviluppo sociale ed economico della città di Potenza e della regione Basilicata.

Quali sono stati gli attori coinvolti a livello istituzionale?
La Giunta Regionale, Il Ministero per i Beni culturali e l’Amministrazione cittadina hanno mostrato particolare interesse, così come il mondo associativo. Voglio qui ricordare la dottoressa Cecilia Salvia, dirigente Regionale e persona di grande sensibilità umana, culturale e professionale, scomparsa prematuramente, che ha curato con molta attenzione la nostra iniziativa. Più difficoltà si è riscontrato nel campo “economico – produttivo”, poiché non si ha ancora la particolare sensibilità e la giusta fiducia che la “cultura” possa incidere sull’economia. L’attuale crisi chiede risultati immediati che non sempre sono garantiti. I problemi infrastrutturali e ricettivi restano; le vie di comunicazioni sulle grandi distanze, nonostante gli sforzi, sono disagevoli, e la struttura alberghiera non garantisce rispetto ad eventuali grandi affluenze. Uno sforzo in atto, a cui contribuisce anche la nostra iniziativa, è di dotare questa città di una visione turistica più ampia e di sollecitare interventi strutturali più incisivi. In questo senso si sta parlando di distretto turistico culturale, all’interno del quale vogliamo inserire la nostra iniziativa, che coinvolga non solo la città di Potenza ma anche le zone limitrofe con i parchi naturali e i borghi, tra i più belli d’Italia, che le caratterizzano. Bisogna cominciare a concepire una città che si apra e si confronti con il territorio. Devo dire che su questo, dal punto di vista politico – istituzionale, si sta lavorando con progetti che mostrano qualche interesse.

arte-in-transito1La parola chiave di tutto il progetto sembra proprio essere “città”. Come può secondo lei, l’arte cambiare il modo di vedere e di pensare lo spazio urbano oggi?
Spesso affermo che, paradossalmente, il tema della città è preso scarsamente in considerazione dalle città, soprattutto al Sud. Penso che proprio questo sia un aspetto importante della nostra iniziativa, che la qualifica e la rende originale e su questo, insieme al prof. Giuseppe Biscaglia, anima di questo progetto, abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione.
Io penso che siano cambiati moltissimo i cittadini. A fianco alle esigenze funzionali delle città si è sviluppato una forte richiesta di vivere in una dimensione relazione più significativa. Oggi, come attesta anche la cronaca, la città sfugge alla nostra percezione quotidiana, è più patita e sofferta che vissuta: si pensi all’isolamento, al degrado, alla paura che c’è in giro, allo stress quotidiano. Non possiamo dire che Potenza sia una metropoli, e che questi problemi siano così accentuati. Nonostante ciò il suo sviluppo urbanistico presenta comunque dei problemi che si stanno affrontando con degli sforzi affinché sia  più vivibile, aperta ed in relazione con l’habitat circostante.
L’arte oggi può intervenire se interagisce con la città, non solo offrendo “spettacolo” di sé ma rendendo il cittadino più protagonista, sensibilizzandone la propria percezione e attenzione nei confronti della propria esistenza, nella relazione con gli altri. Arte, diciamo, genericamente relazionale, ma che conservi in sé ancora aspetti di mistero per non adagiarsi su uno statico presente, ma trovare ancora riserve creative per resistere ai processi di omologazione in atto. Tutto questo però con molta discrezione e nessuna volontà impositiva. Poi, fare incontrare l’arte con l’architettura è un grande problematica, varie sono le voci su questo fronte, alcune di queste si confronteranno nel nostro progetto.

Lei, insieme a Giuseppe Biscaglia, sarà il protagonista di una sezione chiamata “Attenzioni: la cura della città” in cui vi interrogate sulla possibilità, da parte dei cittadini, di poter cogliere il senso di una città quale Potenza. Secondo lei, quali sono oggi le “cure” che un cittadino può avere nei confronti dello spazio che abita?
Nel presentare il progetto abbiamo giocato sull’etimologia della parola “attenzione”: attendere, por mente, osservare, porre cura. Non si tratta di “buona educazione” o di etichetta, bon ton (anche questo non guasta), ma di approfondire quegli aspetti (a volte non immediatamente visibili) che allontano i cittadini tra di loro, che creano diffidenza o rimozione, che avviliscono l’esistenza nella piatta abitudine. Giovani artisti e creativi di Potenza e della regione, che sono i veri protagonisti di questa sezione, lavoreranno su questo cercando di far emergere quegli aspetti che ci sfuggono e che condizionano la nostro vita: i luoghi della sofferenza (mascherati e rimossi); i suoni e i rumori che ci avvolgono, l’invasione comunicativa, l’horror pleni come dice Gillo Dorfles, che ci invade senza lasciarci respirare; gli elementi della natura che una città come questa nel passato ha distrutto e che oggi vogliono essere recuperati, invocano presenza.

Le 6 sezioni del progetto (Arte in transito, Learning cities, Narrazioni urbane, Attenzioni, Danza e paesaggio urbano, L’occhio e lo sguardo) si propongono, seppur con linguaggi e mezzi diversi, di proporre una visione nuova della città di Potenza a partire dai suoi cittadini fino ad allargarsi verso una valorizzazione turistica. Quali sono, secondo lei, le criticità di Potenza da questo punto di vista?
La nostra idea è di una città meno arroccata, che guarda al futuro e che dunque si mette in gioco. Ci sono molte resistenze dovute essenzialmente a pigrizia culturale e poca dinamicità economica. Inoltre ripensare allo sviluppo caotico della città. Vi è il  centro storico, che è ancora inteso quale luogo identitario, ma la città si è allargato con quartieri popolari, centri residenziali e periferie “autosviluppate” come centri commerciali, che bisogna pur prendere in considerazione.  Il regolamento urbanistico è stato approvato di recente con grandi sforzi e polemiche, perché si va a toccare interessi incrostati. La città deve essere intesa nella sua totalità, pensando ad una riqualificazione dei luoghi (non luoghi) anche più abbandonati e periferici. D’altronde i centri storici sono mediamente solo il dieci percento di una città in termini di spazio e di abitanti, poi c’è il resto che non è, certamente, figlio di un dio minore.
Parlando di città a volte si dimentica che non sono solo disegni di urbanisti, case – contenitori, ma che ci sono le persone, che hanno bisogno di riconoscersi nei luoghi in cui vivono e che frequentano.
Oltre alle criticità quali la carenza ricettiva, la necessità di piani più organici per il turismo, ce n’è una più fondamentale: la capacità di mettere in moto energie innovative. Noi parliamo di learning city proprio per sottolineare che una città oggi per crescere ha bisogno di apprendere: la conoscenza quale base strategica di una città. Una città si differenzia dalle altre non solo per la dimensione o fattori materiali, ma per la conoscenza. Apprendere nel senso di mettere in relazione il locale con il globale sviluppando competenze, specificità, creatività supportata dalla capacità di fare. Il workshop con Franco Purini si intitola: Potenza luogo dell’innovazione. La cultura come energia primaria della città nell’età della globalizzazione, proprio per questo.

arte-intransito2Secondo lei il modello di “Arte in transito”, sviluppato e plasmato attorno a Potenza potrebbe essere una sorta di “format” da poter replicare anche in altre città italiane che, come Potenza, non presentano forti attrattori turistici?
In genere si affronta il discorso sull’identità con una retorica rivolta al passato senza invece pensare al futuro. Molte delle nostre città, soprattutto al meridione, a incominciare dagli anni 60, anni  del boom economico, sono state devastate da uno sviluppo urbanistico forsennato e caotico, che ha cancellato e soffocato molte tracce del passato. In reazione a questo si pensa di recuperare l’identità. Molte volte si hanno ricostruzioni “fittizie”, che concedono molto al “tradizionale” folklore  così come voluto o percepito da un ipotetico turista impregnato di immagini e idee un po’ arcaiche o di maniera sulla Basilicata, un recupero dunque un po’ kitsch. L’identità, come la cultura, è qualcosa che si “costruisce” nel divenire, nell’incontro con esperienze e culture diverse. Il sud è paese di emigrazione, la quale ha contribuito a modificare i modelli culturali di riferimento. Senza tralasciare la propria storia, bisogna affrontare e confrontarsi con la contemporaneità e all’interno di questo tracciare percorsi per il futuro. È il tentativo che facciamo con questo progetto. La sua struttura può essere un format per altri? Forse si forse no. Come si diceva mettere in moto le energie locali significa confrontarsi con il globale e ogni luogo, tenendo presente questo connubio, deve individuare quali proprie specificità possono essere sviluppate.
Potenza è una città montana con una strana e “perturbante” conformazione urbanistica, questa sua caratteristica “verticale” è diventata per noi il filo conduttore per ri-definire il paesaggio urbano.

Come immagina la sua città ideale?
È possibile definire una città ideale? Qualcuno, sopratutto in passato, l’ha fatto costruendo città utopiche (filosofi ed architetti), che molte volte avevano il senso di sottolineare le negatività del presente. La mia città ideale è semplice. Se ci riferiamo ad una città come Potenza, una piccola – media città, il mio desiderio è che si sviluppi acquisendo quelle che sono le potenzialità di una grande città, senza riportarne i difetti, conservando la sua “dimensione” di piccola città. In altre parole sviluppo senza devastazioni, con una dimensione relazionale e culturale ampia e significativa. Il mondo di oggi esige che il piccolo si relazioni al grande, la grande capacità è di tenere insieme le due cose. Su questo bisogna molto lavorare. Forse dobbiamo incominciare a pensare alla nostre città in terni di “vuoto” non di pieno, per usare un’immagine suggestiva (zen) e provocatoria. Intendo dire che lo spazio, deve diventare essenzialmente la dimensione dell’abitare e non solo del costruire, qualche filosofo accennava al “poeticamente abita l’uomo”.
Il nostro progetto mettendo insieme varie forme espressive dell’arte contemporanea indica la possibilità che linguaggi individuali e sociali, locali e globali possono interagire tra loro prospettando e indicando dimensioni plurime del costruire ed abitare.

Foto: Salvatore Laurenzana