02dettaglio-plasticoArrivano lentamente, dall’alto, le tele di Vedova, una dopo l’altra. Oscillano appena, ruotano e poi si posizionano nello spazio buio della sala. Quando il mosaico è completo la prospettiva restituisce lunghe macchie fluttuanti  di colore da attraversare, osservare, aggirare per poterne godere la visuale dai vari punti di osservazione. Restano sospese e si mostrano allo spettatore proprio come l’artista veneziano aveva immaginato e come le aveva proposte nel suo studio, seppure con marchingegni rudimentali che non possono eguagliare per precisione né per effetto scenografico il sofisticato dispositivo robotizzato impiegato all’interno del Magazzino del Sale numero uno. L’idea e il progetto di allestimento della prima esposizione dinamica di opere d’arte non potevano che provenire dalla sensibilità di un architetto come Renzo Piano il quale, già nel 1984, aveva collaborato con Vedova all’ideazione dello spazio scenico dell’opera “Il Prometeo”, condividendo la sua  visione “leggera” e  mobile degli oggetti. Ai Magazzini del Sale, Piano diventa l’interprete ideale di questa concezione spaziale innovativa, di un desiderio di catturare la spazio e al tempo stesso di immergervisi,  di una ricerca che ha impegnato fino agli ultimi anni l’attività di Vedova e che si riflette nelle sue opere.  L’architetto non interviene sulle volte del Salone né sui muri, eppure lo spazio appare profondamente e al tempo stesso  impercettibilmente trasformato dalla presenza di una macchina quasi di leonardesca memoria che consente alle opere di muoversi in quello spazio, di divenirne parte attiva, modificandolo ripetutamente. Infatti, le circa trenta tele racchiuse all’interno di una sorta di archivio posizionato nel fondo del salone vengono esposte a rotazione secondo tre differenti percorsi espositivi elaborati e programmati dal curatore scientifico e artistico, Germano Celant: il braccio meccanico preleva, una dopo l’altra, le nove opere dalle locazioni di stoccaggio, con movimenti dolci e assolutamente precisi le colloca nel luogo prescelto e nella posizione selezionata. Il completamento dell’esposizione richiede circa trenta minuti di attesa nei quali lo spettatore diventa partecipe del progetto che prende forma davanti ai suoi occhi. Al termine, le opere tornano nuovamente nell’archivio, lasciando libero dominio al vuoto e consentendo di apprezzare la struttura allungata del salone, di prendere coscienza delle sue dimensioni e della sua consistenza, fatta di pareti robuste e ruvide di mattoni, di una struttura lignea a capriate situata a circa 8 metri di altezza, di una superficie irregolare che pare rispecchiare esattamente il pensiero di Vedova e il suo modo di vivere lo spazio.
La nuova sede espositiva, fortemente voluta dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova e dal Comune di Venezia  che ha mantenuto l’impegno di restaurare il magazzino e di metterlo a disposizione per accogliere le opere dell’artista, appare, ora, notevolmente connotata.  La visione dell’arte e della vita, “leggera” e dinamica, ha accomunato Renzo Piano ed Emilio Vedova, un genovese, un veneziano, “…luce-moto-acqua verso l’aperto… siamo gente da mar aperto”.