Intervista con Michael Haneke – regista del lungometraggio d’epoca The White Ribbon e vincitore della Palma d’oro per il Miglior Film al 62.mo Festival di Cannes

micheal-hanekePerché ha scelto di centrare il suo film su questo villaggio tedesco alla vigilia della Prima guerra mondiale?
È un progetto al quale stavo lavorando da oltre dieci anni. Il mio obiettivo principale era di presentare un gruppo di bambini ai quali vengono inculcati degli ideali considerati assoluti, e il modo in cui li assimilano. Se si considera assoluto un principio o un ideale, che sia politico o religioso, questo perde umanità e porta al terrorismo. Avevo pensato, come titolo alternativo, a “La mano destra di Dio” perché i bambini del film applicano alla lettera questi ideali e puniscono quelli che non li condividono al 100 %. Il film non tratta solo di fascismo – un’interpretazione fin troppo semplice visto che il racconto è ambientato in Germania – ma di un modello e del problema universale dell’ideale deviato.

Perché ha girato in bianco e nero?
Tutte le immagini che conosciamo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo sono in bianco e nero perché i media esistevano (fotografia, giornali), mentre del XVIII secolo, ad esempio, abbiamo una percezione a colori veicolata dai quadri e dai film che abbiamo visto. Adoro il bianco e nero e ho colto al volo questa occasione. Mi ha permesso anche, così come l’utilizzo di un narratore, di dare un effetto di distanziamento. Quello che conta è trovare una rappresentazione adeguata del proprio soggetto.

La violenza e il senso di colpa sono di nuovo al centro del suo lavoro?
Tratto questi soggetti in tutti i miei film. Nella nostra società, la questione della violenza è inevitabile. Quanto al senso di colpa, sono cresciuto in un universo giudeo-cristiano dove questo tema è onnipresente. Non è necessario essere cattivi per diventare colpevoli: fa parte del nostro quotidiano.

The White Ribbon conta un gran numero di personaggi. Come ha scelto e diretto tutti questi attori?
Per il cast, ho scelto volti che somigliassero alle foto dell’epoca. In sei mesi, abbiamo visto oltre 7000 bambini. E il compito era importante perché ovviamente non era l’aspetto fisico che doveva prevalere, bensì il talento. Per gli adulti, ho scelto attori con cui avevo già lavorato e altri di cui conoscevo il lavoro. Quanto alla direzione degli attori, mi limito a segnalare loro se c’è qualcosa che non mi suona bene. Se il cast è buono, il personaggio funziona.

La trama pone più domande che risposte.
Non c’è niente da spiegare. Il mio principio è sempre stato quello di porre domande, di presentare situazioni ben precise e di raccontare una storia affinché lo spettatore possa cercare da sé le risposte. Secondo me, l’inverso è controproducente, gli spettatori non sono mica colleghi del regista. Mi impegno molto per raggiungere questo risultato. Credo che l’arte debba porre domande e non proporre risposte, le quali sono sempre sospette, a volte persino pericolose.

Guarda una selezione delle scene del film

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