Intervista ad Emiliano Paoletti – Direttore Zoneattive
fotografia_galleryAd un mese dall’inaugurazione Fotografia – Festival Internazionale di Roma, Tafter ha intervistato Emiliano Paoletti, direttore di Zonettive, per fare una sorta di bilancio di questa edizione 2009 così ricca di cambiamenti e novità, ma anche dell’andamento del festival, del suo futuro e di quello della fotografia nel panorama artistico romano…

L’ottava edizione di FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma – è stata inaugurata poco meno di un mese fa, dopo una serie di polemiche su ritardi, difficoltà istituzionali e cambiamento del format. Effettivamente la formula del festival è cambiata: da una parte un ridimensionamento del  numero di spazi espositivi coinvolti, nonché cambiamento della tipologia degli stessi luoghi (prima più musei civici, ora accademie e istituti di cultura), oltre che una riduzione effettiva della durata. Perché questa scelta, se è stata una scelta?
Come sempre, le scelte sono a metà strada tra le necessità e i desideri. Era già da un po’ di anni che riflettevamo sul gigantismo del festival e sulla sua reale percezione all’interno del territorio romano. Come sai, Roma è sì una grande capitale ma presenta anche moltissimi limiti. Nonostante ci siano stati ben otto anni di festival, la fotografia ha fatto fatica ad affermarsi con uno spazio stabile nella programmazione annuale di spazi espositivi e musei. Per questo, negli anni, il festival ha assunto anche un po’ il compito di farsi carico di tutta una programmazione frutto del potenziale creativo della città legato al mondo della fotografia. Basti pensare che l’anno scorso erano circa 150 le mostre.
In questo modo però la forza del festival FotoGrafia si è parzialmente attenuata diventando tendenzialmente un aggregatore di singole  mostre e perdendo in parte la forza iniziale. Così ci siamo focalizzati su un nuovo format, cercando di valorizzarlo come una esperienza e non un assemblaggio di tanti fattori, emulando un modello riprodotto anche in molti altri festival. Inoltre, bisogna aggiungere che tutta la fase organizzativa ha subito, come tutti possono ricordare, le conseguenze di una serie di difficoltà oggettive e di ritardi. L’ok definitivo è stato dato a fine febbraio: se si pensa solo in termini di spazi espositivi, a così breve distanza temporale dall’inizio dell’evento, molti di questi non erano più a disposizione per le date previste. Così, conciliando una nostra riflessione e una difficoltà oggettiva, abbiamo scelto di far confluire il festival fondamentalmente in un solo grande luogo, Palazzo delle Esposizioni, con poche altre “offerte” satellitari.
Ad oggi i risultati sono ottimi. Al momento si contano più di 2000 visitatori paganti al giorno per weekend, ai quali bisogna aggiungere quelli che accedono all’offerta gratuita. Abbiamo quindi creato un luogo che coincide con il festival operando lo sforzo di offrire un concentrato significativo di quello che è il mondo della fotografia contemporanea oggi. Un risultato raggiunto anche grazie ad un allestimento innovativo, fatto molto di proiezioni e video e meno di fotografia stampata tradizionale.

Hai parlato di un tuo ideale di festival. Ci puoi spiegare qual è la tua visione in merito?
Con un po’ d’ironia nel 2006 lanciammo l’edizione di Enzimi nel quartiere San Lorenzo di Roma con un claim provocatorio:  “Questo non è un festival”, proprio a testimoniare la necessità di una inversione di rotta rispetto ad un format già allora inflazionato. La mia idea di festival è soprattutto legata a quella di far vivere al pubblico un’esperienza, intensa, che avviene in  un tempo determinato, spesso limitato, in cui si favorisca lo scambio di idee e l’incontro tra persone. Credo che un festival abbia tra le sue finalità quello di rendere accessibile alle persone non solo l’opera, quindi il prodotto artistico, ma anche chi la produce e la realizza. È una grande occasione di accesso non solo in termini di consumo artistico ma anche in termini di creazioni artistiche. Tradotto in termini concreti, legati all’edizione 2009 di FotoGrafia, nei primi tre giorni del festival abbiamo registrato la presenza di oltre 100 fotografi, curatori, e operatori internazionali  presenti a Roma; non si trattava solo degli autori delle mostre presentate, ma di professionisti interessati e coinvolti in varie attività. È stato il caso delle letture Portfolio, che hanno riscontrato molto successo e alle quali abbiamo abbinato un premio molto importante. È stato il caso degli eventi e delle proiezioni fatte all’interno dell’auditorium del Palazzo delle Esposizioni, ogni giorno dalle 10 alle 22; ed è stato il caso del progetto “In Between” , un workshop di 60 ore durante le quali 24 fotografi hanno girato per tutta Roma fotografando la loro esperienza e percezione della città. Un percorso che ha tralasciato il centro storico e l’estrema periferia e si è concentrata in quella fascia tra l’anello ferroviario e il raccordo anulare. In pochi giorni siamo riusciti a condensare quindi la parte più tradizionale a quella più innovativa legata al mondo dei workshop e degli eventi.
Abbiamo poi fatto in modo di condensare tutte le inaugurazioni di tutte le iniziative nella prima settimana, coinvolgendo tutti gli spazi e restringendo la durata e l’offerta. Mentre l’anno scorso il circuito accoglieva più di 100 esposizioni, quest’anno ne accoglie poco più di venti. Inoltre, prima,  nel periodo del festival, accoglievano tutte le mostre che si svolgevano, adesso chiediamo alle gallerie di presentare una unica mostra e di realizzarla ad hoc per il festival. I risultati mi paiono confortanti.

lettura-porfoliiFotoGrafia  si può definire ancora un festival internazionale, a livello di pubblico, di parteciazione artisitca e di interesse all’estero?
Io credo assolutamente di sì e che sia il nuovo festival della fotografia internazionale. Pensa che la mostra principale che si chiama Gioia, nasce da una call for proposal lanciata su internet mediante tutti i nostri canali internazionali. In poco più di un mese sono arrivate più di 100  proposte, tra le quali abbiamo ne selezionate una trentina. All’interno della selezione credo ci siano i più grandi artisti della fotografia del prossimo decennio. Penso a Kuba Dabrowski, un ragazzo venticinquenne, o Alejandro Chaskielberg, ragazzo sudamericano che ha fatto un lavoro bellissimo su un fiume del Paraguay.
La cosa che mi conforta di più è che FotoGrafia non è un festival di importazione. Niente arriva a Roma come una partita di giro e di scambio ma proprio grazie alla nostra presenza nei circuiti internazionali riusciamo a realizzare progetti di questo calibro. Molto del lavoro che svolgiamo non può essere  visibile nella programmazione ma è fatto di relazioni di lunga durata. Io  e Anna Gianesini di Zoneattive siamo i due referenti internazionali per gli importanti network internazionali. Nello specifico per Talent Latent, iniziativa che fanno da due anni a Terragona: ci sono 90 satelliti in giro per il mondo che selezionano artisti emergenti. Su una base di 223 se ne selezionano quindici, per unag rande mostra e catalogo in Spagna.  Noi siamo uno dei 90 satelliti. Lo stesso per Critical Mass, promosso da Foto Lucida, a Portland, che è la più interessante iniziativa statunitense sulla nuova fotografia. E poi circuiti più istituzionali come il Mese europeo della fotografia, del quale siamo partner dalla sua fondazione, e che permette ogni due anni di far circuitare una mostra, quest’anno è Mutuation II, nelle sette capitali che ne fanno parte. C’è un lavoro importante e oggettivo dal punto di vista internazionale.

Quest’anno anche molto più spazio ai premi, cioè ai fotografi non professionisti o non famosi…
Si, è una scelta coerente all’idea di fornire maggiore occasione di accesso al circuito: mentre prima, facendo più di 100 mostre, si riusciva a dare “sfogo” alla creatività di molti, ora puntiamo all’aumento della qualità del circuito fornendo comunque opportunità di accesso. L’istituzione del premio portfolio svolge questa funzione.

Quale futuro per FotoGrafia e per Zoneattive?
Mi auguro sia un futuro diverso dalla realtà presente, o meglio più stabile e sistematica.  Credo che il limite maggiore sia non avere una struttura dedicata al festival per 365 giorni l’anno, come avviene in tutti i grandi festival. Allo stato attuale non esiste alcuna organizzazione ad hoc, a parte l’investimento che Zoneattive ha fatto, quasi a titolo volontario, per portare avanti il progetto. Non vedo al momento le condizioni per realizzare una Casa della Fotografia, ma per esempio si potrebbe istituire un dipartimento di fotografia all’interno del MACRO, o semplicemente dare continuità del lavoro di Zoneattive e portare anche FotoGrafia all’interno del nuovo contenitore de La Pelanda, il Centro di produzioni culturali al Mattatoio di Testaccio pronto per la fine di quest’anno. Se non si dovesse prendere una decisione in merito alla struttura organizzativa, si rischia che tutte le iniziative non abbiano futuro e perdano di credibilità a livello internazionale. Sono convinto che bisogna consolidare il progetto: o lavoriamo sui processi che lo sostengono oppure non siamo nelle condizioni di poter generare un lavoro ben fatto. La proposta che si ventilava  con Marco Delogu sarebbe una organizzazione diversa per la curatela dei contenuti: una soluzione interessante potrebbe essere il coinvolgimento di un team di giovani curatori selezionati con bando. Di fatto creare dei meccanismi strutturati per creare reali condizioni di accesso ai nuovi talenti, magari ogni tanto ricordando per primi a noi stessi quello che vent’anni fa già cantava Battiato: “Mandiamoli in pensione i direttori artistici e gli addetti alla cultura!”

Photo Credits: Gallery www.fotografiafestival.it