L’acronimo ER sta per Emergency Room, ovvero sala di pronto soccorso attrezzata per far fronte alle emergenze ed è notoriamente collegata all’ambito medico e ospedaliero.
Anche gli artisti, però, possono avere delle emergenze di cui hanno l’estremo bisogno di parlare, di discutere, di commentare e contro cui reagire.
Thierry Geoffroy si è inventato un format di mostre che ha chiamato appunto ER, Emergency Room, partendo dal presupposto che “artists are thermometers for dysfunctions of society. They are the visual experts. But in order to exhibit, an artist ha sto wait months or years in order to negotiate with art institutions, find funding and collaborators. This limits the artist urging to respond to the contemporary…through Emergency Room, artists can react every day..” .
Gli artisti che accettano di partecipare al format ogni giorno, alle ore 12.30 in punto, spalancano le porte della loro ER in una delle istituzioni dove è a turno ospitata, ed esibiscono i loro lavori. Lavori incentrati su quelle che loro hanno considerato delle emergenze pressanti di quella giornata. Gli altri artisti, operatori, o semplicemente interessati che sono presenti pongono domande e il dibattito si avvia. Il giorno dopo, le opere sono spostate nel Delay Museum, secondo il principio del domani è troppo tardi “today before it is too late” .
L’ultimo spazio in cui ER è stato ospitato è il PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) a Napoli, dal 13 marzo al 20 aprile 2009. A conclusione della permanenza napoletana, abbiamo posto una serie di domande che spaziano dall’idea generale del format, all’ esperienza e produzione particolare di Napoli a Francesca Boenzi, coordinatrice di ER al PAN e all’ideatore del format Thierry Geoffroy.

 

Dopo New York, Berlino, Danimarca e Atene, il format ER è approdato al PAN di Napoli conclusosi lo scorso 20 aprile. Come nasce questa collaborazione tra PAN e Thierry Geoffroy, inventore del format? Come si è arrivati alla licenza che permette di esporre il format a Napoli?
FRANCESCA BOENZI: Emergency Room è un format pensato innanzitutto per essere ospitato in spazi pubblici e istituzionali. La  prima tappa è stata infatti al PS1 di New York. È stato in seguito presentato in diverse città. Lo scorso marzo Thierry Geoffroy è stato invitato a presentare Emergency Room al PAN, nell’ambito della mostra My space. Cosa vuol dire pubblico? a cura di Julia Draganovic e Laura Barreca. La mostra My space voleva essere appunto una riflessione su quell’ ambito della ricerca artistica contemporanea che si completa nell’incontro con il pubblico, inteso come spazio e come audience. A questo proposito ER ha rappresentato un momento importante. La ‘stanza’ rappresentava una delle ‘opere’ in mostra e allo stesso tempo un dispositivo espositivo a sé che per 6 settimane, ogni giorno, ha prodotto una enorme quantità di lavori e discussioni.
THIERRY GEOFFROY: PAN is an institution. ER are mostly mean to happen in institutions.

Che attenzione c’è stata da parte della città? Degli artisti locali non coinvolti nel format? Della stampa e media?
F.B.:
Gli artisti invitati hanno dimostrato subito grande entusiasmo e curiosità per la novità del progetto e la sua grande apertura verso la città e il suo pubblico. Abbiamo avuto molte richieste di partecipazione da parte di artisti che non avevamo invitato ma purtroppo non abbiamo potuto accoglierle tutte per questioni organizzative e relative alla gestione di uno spazio istituzionale che paradossalmente richiede una attenzione e un controllo maggiori di qualsiasi spazio privato.
Alcuni artisti hanno seguito assiduamente, con una frequentazione quasi quotidiana, l’andamento del progetto.
Non è stato lo stesso con la stampa e i media che anzi penso non siano riusciti a comunicare sempre in maniera adeguata le intenzioni del format. C’è stato un picco di attenzione in occasione della presentazione, all’intero di ER, di un’opera alquanto controversa, che è stata poi ritenuta blasfema e che ha addirittura reso necessario l’intervento delle istituzioni cittadine. La stampa è stata, come di solito accade in queste situazioni, più che presente. Tuttavia come ugualmente accade in queste occasioni, è stato scritto molto, stravolgendo spesso modalità e intenzioni del format e soprattutto si è permesso che uno squallido episodio catalizzasse totalmente l’attenzione, a discapito di tutto quello che continuava a succedere all’interno di Emergency Room e che non ha ricevuto altrettanta attenzione.

In una città come Napoli, credi che sia stato utile o rilevante portare gli artisti a ragionare sulle “emergenze”? Si sono radicati al territorio napoletano o hanno guardato oltre?
F.B.:
Napoli è sicuramente un contesto molto interessante e particolarmente adatto a ospitare un progetto come Emergency Room, trattandosi di una città che vive continue emergenze. Per questo penso che sia molto difficile, per quanti vi vivono e lavorano, prescindere dalla sua problematicità. Inevitabilmente dunque, molti artisti napoletani hanno spesso rivolto lo sguardo al contesto locale, in continuità con la direzione della loro ricerca di sempre, penso per esempio a Rosaria Iazzetta. Tanti altri interventi hanno portato l’attenzione su questioni politiche, economiche, ambientali, legate a un contesto più ampio, nazionale e internazionale, sempre in linea con interessi all’interno di un percorso artistico già definito in questo senso, penso a Maria Adele Del Vecchio, a Danilo Correale, Christian Costa, per fare solo alcuni esempi.
Sicuramente è stato molto interessante seguire il confronto di approcci tra artisti napoletani o italiani e quelli che invece sono intervenuti dalla Francia, dagli USA, dalla Danimarca e soprattutto vedere come questi ultimi potessero, attraverso lo sguardo di artisti nostrani, penetrare le vicende nazionali o locali e confrontarle con quelle dei rispettivi paesi di provenienza.

Come  giudichi l’idea di un format artistico? Si tratta di “ingabbiare” una certa produzione artistica o piuttosto di un modo come un altro di fissare alcune regole per il funzionamento di una mostra d’arte?
F.B.:
Il fatto che il format abbia delle regole precise significa indirizzare una certa produzione artistica in modo che si possa adattare alle ragioni del format stesso, che non può in nessun modo essere considerato una ‘mostra d’arte’ in senso tradizionale. In ER, l’arte e gli artisti diventano strumenti per il raggiungimento degli obiettivi generali del format, mantenere viva l’attenzione e la discussione sui problemi del nostro tempo, esprimendo opinioni precise, avanzando proposte e difendendole di fronte a un pubblico vario, in un dibattito aperto. Provare a cambiare le cose. Non penso che il format sia ‘a priori’ una trappola. Penso che le trappole si determinano per nostra incapacità ed esitazione. Tutto dipende dalla qualità delle risposte che l’artista è in grado di dare, dai contenuti che riesce a veicolare, e soprattutto dalla sua abilità a forzare in modo intelligente, non facilmente polemico o provocatorio, gli stessi limiti imposti dal regolamento, che deve essere una griglia di riferimento, non un precetto rigido. Il processo che Emergency Room intende attivare dunque non è immediato. Penso che il successo del format dipenda molto dal grado di consapevolezza degli artisti e da un certo ‘allenamento’: molti artisti non erano preparati e non sapendo esattamente come affrontare il format e il suo regolamento sono entrati in crisi, a volte hanno sbagliato per poi riprovarci…
T.G.: The reason to create this format is to make possible to activate ER in different place as there is a lot of burning emergencies to look at very fast. It makes sense to work on a method to multiplicate the Emergency Rooms  and the format is the solution to that. It opens possibility and rules create possibility

Come interpreti il fatto che non sia prevista la figura del curatore nel format di Thierry Geoffroy? Un auto regolarsi degli artisti coinvolti? Un rapporto diretto tra artisti e pubblico? Di fatto penso che sia necessaria una figura se non proprio di curatrice, di facilitatore, che organizzi e coordini il tutto…oppure no?
F.B.:
Di fatto esiste una figura di coordinamento del progetto. Mi sono appunto occupata di far funzionare il meccanismo Emergency Room, di organizzare e regolare n qualche modo la presenza degli artisti, non ho avuto un ruolo curatoriale in senso tradizionale. Gli artisti invitati sono stati prevalentemente selezionati dalle curatrici di My space, Julia Draganovic e Laura Barreca, da Thierry Geoffroy e infine anche da me.  E soprattutto non esiste in Emergency Room un momento di selezione delle opere: ogni giorno alle 12.30, gli artisti arrivavano con i lavori e io li vedevo e discutevo a caldo, insieme al pubblico e agli altri artisti presenti. Emergency Room in qualche modo mette in discussione la centralità dei ruoli e la tempistica tradizionale legata al momento espositivo, a favore di uno scambio più fluido di idee con il pubblico che ha finalmente la possibilità di diventare protagonista e discutere in tempo reale i lavori con gli artisti.
Come dice Thierry i curatori sono “stimulators, advisers, moderators, public, witnesses, historians” ovvero tutti quelli che vi partecipano stimolando la discussione.

emergency-room1Il format spinge verso la riflessione sociale e politica attraverso l’arte. Sempre di più ci si spinge in questa direzione (arte sociale, arte politica…) Tu come interpreti e giudichi questa tendenza? Secondo te l’arte può concretamente produrre  conseguenze nella sfera politica e sociale oppure si limita a scuotere le coscienze e a stimolare riflessioni?
F.B.:
L’arte come la cultura in generale è chiamata a fare questo. Ovviamente esistono diversi approcci, più o meno militanti, più o meno intimi. Sicuramente ER richiede all’artista di riflettere ed esprimere opinioni su questioni ‘scottanti’ quindi su questioni politiche, sociali ed economiche che riguardano il tempo in cui viviamo e la cui urgenza rende necessari interventi immediati. Tuttavia il grado di incidenza dell’arte e della cultura sulla nostra presa di coscienza del mondo non dipende sempre dall’evidenza dei contenuti. Penso che l’arte può operare degli spostamenti e che questi, anche se minimi, possono aprire nuovi spazi di riflessione e quindi alimentare piccole rivoluzioni, e che tutto dipende dal modo in cui i contenuti vengono veicolati e dalla disposizione del pubblico alla loro lettura. Non è una questione di facile definizione, molto dipende dall’educazione che abbiamo in questo senso come pubblico e come addetti ai lavori.
T.G.: This project is not made to debate but to change laws . The artist is a visual expert and if the artist can point at a dysfunction fast, he can touch the public opinion fast, the public opinion can react, an unfair law can be, for example, stopped. In Emergency Room the impact count. If ER does not have any impact it does not function yet.

Veniamo alle regole di Thierry per il format. Ce ne sono tante: sono state osservate o disattese dagli artisti? Secondo te, quali sono le più importanti rispetto al funzionamento del format? E quali sono le meno rilevanti?
F.B.:
La questione principale è l’onestà dell’artista e la sua sincerità. Se l’artista accetta di partecipare a ER è perché pensa di poter dire qualcosa nei tempi e nei modi che il progetto richiede. C’è sempre chi disattende quelle regole, che però preferirei chiamare ‘aspettative’: chi ricicla un lavoro vecchio o chi parla superficialmente di qualcosa di cui non ha gli strumenti per discutere, chi partecipa tanto per esserci e resta chiuso nel suo modo tradizionale di produrre arte senza mettersi in discussione.
Penso che, prima di ogni altra cosa, dovrebbe esserci una militanza, la convinzione di poter dire qualcosa e di cambiare qualcosa, un interesse verso l’attualità, sia essa politica, sociale ed economica, il desiderio e soprattutto l’impazienza di confrontarsi.
T.G.:The artist has to express an opinion.

L’elenco degli artisti partecipanti a Napoli è molto lungo. In base a quale criterio sono stati invitati? Quanti artisti sono stati costantemente presenti e quanti hanno fatto brevi apparizioni? Nel format, si dice che gli artisti diventano come una comunità, seguono il viaggio di ER attraverso i paesi in cui è ospitato. Questo si è realizzato anche a Napoli?
F.B.:
Innanzitutto si è cercato di coinvolgere gli artisti del territorio campano perché ER offriva al Museo una buona occasione di apertura e coinvolgimento. Il format prevede poi che chiunque abbia partecipato anche a una sola delle ER entra a far parte di una sorta di comunità che gli da diritto a partecipare alle tappe successive del progetto. Diversi artisti che avevano partecipato ad ER a New York, Parigi, Copenaghen, sono intervenuti anche a Napoli e lo stesso si verificherà per gli artisti che hanno partecipato per la prima volta a Napoli.
T.G.:The ones that were in ER before can follow us in our debates, instead some of them are so addicted to look on the web where we go next.

Che rapporto hanno instaurato tra di loro? Hanno collaborato nella produzione di alcune opere?
F.B.:
Ci sono state diverse collaborazioni, nate in maniera del tutto spontanea da interessi e riflessioni comuni. Le collaborazioni sono sempre un momento interessante soprattutto quando si verificano tra artisti che non si conoscevano prima. La prima settimana hanno partecipato ad ER artisti francesi – Baptiste Debmbourg, David Marin, Guillaume Dimanche, Emeric Lhuisset – che hanno lavorato spesso e volentieri in gruppo. La cosa più interessante è stata la loro collaborazione con altri artisti napoletani, con il duo 2/4our e Rosaria Iazzetta. In occasione dell’apertura del termovalorizzatore ad Acerra, il giorno seguente gli artisti hanno trasformato la stanza in una ‘factory’ presentando una serie di interventi che dialogavano tra loro in relazione alla questione termovalorizzatore e in generale alle emergenze ambientali. Un’altra collaborazione che vorrei ricordare è stata quella tra Helidon Gjergji e Roxy Inthebox in occasione del progetto speciale TV Dinner: stuffed and starved che ha visto anche il coinvolgimento di alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.  Si sono poi verificati casi in cui artisti invitati ad ER hanno ‘ceduto il loro posto’ o collaborato, in particolari occasioni, con artisti che inizialmente non erano stati coinvolti.
T.G.: There were a lot of collaborations. Collaborations is beautiful, and the best way to fight against the loneliness. The loneliness is the reason for the weakness.

Rispetto alla produzione artistica, quali sono state le tue osservazioni? Quali mezzi artistici sono stati privilegiati? Quali contenuti? Sicuramente c’è stato il fattore terremoto che si è posto come assoluta emergenza in quei giorni… A parte questo, altri spunti rilevanti da sottolineare?
F.B.:
A parte il terremoto che è stato nelle ultime settimane al centro delle riflessioni di tutti gli artisti tanto da generare in più di un caso delle vere e proprie ‘mostre tematiche’ assolutamente spontanee, altri temi molto frequenti sono stati la crisi finanziaria, la camorra e la criminalità organizzata, le dichiarazioni del Papa, la politica italiana.
La cosa interessante è che ER ha offerto l’occasione per riflettere criticamente  sui mezzi di informazione, sulla manipolazione delle notizie, su come la selezione stessa delle notizie sia una forma di controllo e strumentalizzazione,  su come si amplifichino certe situazioni per distogliere l’attenzione da altre e viceversa, su come con il tempo alcuni argomenti siano passati in secondo piano o scomparsi. Questa è stata sicuramente una delle discussioni più frequenti e interessanti perché va a toccare una delle questioni che sono alla base di ER e che riguarda le stesse fonti utilizzate dagli artisti, l’insufficienza di un’informazione basata sui mezzi a stampa, la necessità di attingere a più fonti di informazione e dunque la necessità di una informazione libera e quanto più diffusa. A questo proposito, due artisti francesi Baptiste Debombourg e David Marin hanno realizzato una performance che poneva proprio la questione della necessità per l’artista di avere un approccio critico analitico e di diventare ‘esperto’ di un tema prima di trattarne.

Il Delay Museum nasce con l’idea di conservare le “emergenze” dei giorni che scorrono. Che criterio hai seguito nell’organizzare day by day l’esposizione delle opere?
F.B.:Nessun criterio. Giorno dopo giorno le opere sono cominciate a diventare numerosissime per cui c’era innanzitutto la necessità di organizzare e trovare spazio per tutti. Alcune opere sono state poi eliminate per vari motivi: deperimento dei materiali utilizzati, troppo ingombro. In linea di massima mi facevo guidare, nell’accostamento dei lavori, da ragioni formali, dal tentativo di dare una forma a quell’accumulo. Ovviamente possono esserci vari modi per approcciare il Museo, ci può essere una disposizione cronologica dei lavori o tematica, ma ognuna di queste soluzioni mi sembrava troppo rigida. Più interessante e stimolante creare un insieme disordinato seppur controllato di spunti e riflessioni in cui i pubblico potesse essere libero di delineare una sua storia di ER. La documentazione completa di ER è invece stata raccolta in un blog on line, aggiornato quotidianamente con interviste e immagini.
T.G.: The format of Emergency Room gives the possibility that one could, but doesn’t have to, to establish a “Delay” Room. This Delay Museum contains pieces which have been alive and actual in the today of the discourses of society, but now have turned into yesterday’s works of art.
The transport from the Emergency Room to the Delay Space doesn’t affect the quality of the work itself.
It is a consequence of the very concept of Emergency Art. The works might still look very, very fresh and new, but aren’t. They might, or might not, have became great or less great works of art, but this is questions for art history. Questions of this kind is not especially relevant for the Emergency Artist.
The Delay Museum is mocking the institution. The Delay Museum is more fresh than any other type of exhibition. Fresh enough for the normal observer and normal art lover. For Emergency Art it is yesterday’s art. Not the art of today. In a sense it is the retirement of the work. When the work has done it’s civil duty it has earned a pension to which it retires. The Emergency Artist wish it the best luck. Before going on with producing today’s art. This retirement is the delay. This retirement is the Delay Museum. Some of the art works are still very good works, even if they no longer are on show in the Emergency Room. Some of the work that have been in the Emergency Room will go into a Delay Museum. The Delay Museum is constituted by art work that have be given it or abandoned by the artist. An artist who does not pick up his art work within 24 hours gives it automatically to the Delay Museum. The Delay Museum is a museum. It is made up of great art that have to be conserved with care. The role of the Delay Museum is to show this great art.
The art that was shown in Emergency Room is still great art one or ten years after. It is great art in spite of it’s spontaneity and speed with which it was made. It is great art because of it’s spontaneity and speed with which it was made. The art has a timeless life after Emergency Room. The Delay Museum has a conservative function. Like any museum. But the Delay Museum is a defence attorney as well.
The Delay Museum should discourage the enemy of Emergency Room.
Opponents who argue that art can not be produced within the conditions of Emergency Rooms.
That art can’t be produced today.
That artists can’t work fast.
The Delay Museum wants to prove that masterpieces are being produced.
The Delay Museum show that in a period of one year the art of the Delay Museum still has the power to be more contemporary than any contemporary museum.
What is pejoratively called delay for Emergency Room seems to be fresh in the contemporary world.
Like an old auto bus sold to the third world. What is not good for us is good for them.
Contemporary museum is the third world of art production in the eyes of the Delay Museum.
What is bad wine for us is good wine for them.
The delay museum is a HOOOOOOOUUUUUUUU made in a classroom. It points out the abuse of the word “contemporary”. Another example of the hypocrite’s abuse of words. We call the Delay Space the “Delay Museum”. In this way we wish to mock the museum.
Is piquette (bad wine) OR GOOD WINE?