Intervista a Riccardo Rossi – doppiatore di Johnny Depp, Tom Cruise, Adam Sandler, Matt Damon e molti altri

doppiaggio1Il doppiaggio ha sempre rappresentato per l’Italia una sorta di “tradizione”, radicata più che in altri Paesi. Questo è dovuto sia alle imposizioni volute dal regime fascista sia ai grandi studi di doppiaggio che, a partire dagli anni ’30, hanno cominciato a farsi strada tra le filiere cinematografiche hollywoodiane. Quali sono oggi le maggiori differenze tra il doppiaggio italiano e quello internazionale?
Oggi, a differenza del passato, si doppia in quasi tutti i paesi del mondo. Ci si è resi conto, infatti, di quanto il doppiaggio aumenti la possibilità di penetrazione verso il pubblico rispetto ad un prodotto non doppiato. In Europa, però, abbiamo la possibilità di andare a vedere un film al cinema doppiato o sottotitolato. Proprio da poco si è tenuto il Gran galà del doppiaggio e in questa occasione ho avuto modo di incontrare doppiatori francesi, tedeschi, spagnoli, sudamericani, dell’est Europa. Anche in Paesi dove la produzione di film è vastissima, quali gli Stati Uniti, ad esempio, si doppia moltissimo perché la fruizione del film straniero si semplifica radicalmente rispetto ai sottotitoli.
Guardando i sottotitoli, infatti, è provato che si vede solo il 50% del film: non ci si riesce a concentrare sulle scene, sui personaggi, sulla fotografia.
Certo, il film originale ha, di solito, un sapore che è difficile da rendere una volta doppiato, soprattutto perché ci sono casi in cui il doppiaggio non viene fatto in maniera coerente, stravolgendo i significati e operando una traslitterazione non adeguata. Però molto più spesso il doppiaggio è fondamentale per la fruizione del prodotto cinematografico, senza il quale non saremmo neppure disposti a vedere il film: a conferma di ciò, vediamo che nelle sale in cui si proiettano i film in versione originale l’affluenza di pubblico è sempre bassa.
C’è un po’ da sempre il mito che in Europa non si doppia, non si traduce, non si imparano per questo le lingue… non è vero. Il doppiaggio si sta espandendo sempre di più, in tutta Europa.
Le differenze che ci sono poi tra il mercato italiano e quello internazionale sono date dal fatto che noi siamo stati colonizzati dagli immigrati, anche dopo il fascismo. Il doppiaggio figurava addirittura sul piano Marshall per motivi di penetrazione culturale, appunto, di cui gli Stati Uniti avevano bisogno. Noi, quindi, abbiamo una tradizione più radicata rispetto agli altri paesi, è vero, ed esportiamo anche molto know-how. Poi però, a livello tecnico, non ci sono più molte differenze.

I doppiatori, spesso, sono anche grandi attori. C’è rivalità tra queste due figure professionali?
Il doppiatore nasce negli anni ‘50 e, a quel tempo, chi faceva l’attore faceva anche la radio, la pubblicità, la tv e si prestava, perché no, al doppiaggio.
Negli anni, alcuni sono rimasti ancorati al doppiaggio rimanendo però sostanzialmente attori. Un bravissimo doppiatore come Emilio Cigoli voce, tra i tanti, di John Wayne, era e rimaneva comunque un grande attore che recitò in film quali “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica. Negli anni ‘80 con l’avvento delle tv private, c’è stato questo slittamento di ruoli perché si aveva bisogno di molti doppiatori: fu così che cominciarono a doppiare anche persone che non avevano mai avuto contatti con il cinema.  Fondamentalmente, però per essere doppiatore bisogna essere prima bravi attori, i due ruoli sono un po’ complementari. Io, ad esempio, faccio la radio, la pubblicità, le fiction…
Già da quando ero bambino ricordo come grandi attori quali Paolo Stoppa, Mario Pisu, Emilio Cigoli, Giancarlo Giannini, già prestavano la loro voce per doppiare Dustin Hoffman, Michael Douglas, Al Pacino e tanti, tanti altri.
Oggi non è cambiato niente. La differenza, forse, si intravede con i filmdi animazione della Walt Disney che necessitano assolutamente della voce. È chiaro che, non avendo una tradizione di doppiaggio e non avendone neanche così tanto bisogno, negli Stati Uniti vengono ingaggiati i grandi attori, i cosiddetti “talent”. Così è stato per esempio nell’ultimo cartone animato che ho visto, “Coraline”, in cui la voce della bambina è quella di Dakota Fanning: ecco, forse noi oggi abbiamo un po’ ripreso questa moda dei “talent” ma per il resto quando si devono doppiare in inglese dei film italiani o spagnoli, di solito, si doppia tutto qui in Italia con i nostri doppiatori stranieri.

Come entrano in contatto gli studi di doppiaggio con le grandi case cinematografiche e quali sono le figure coinvolte nel percorso che porta dal film in lingua originale al film tradotto e reinterpretato?
Le case cinematografiche hanno degli uffici in ogni parte del mondo. Ci sono quindi uffici edizioni in tutta Italia delle maggiori case cinematografiche e anchedi quelle più piccole o indipendenti. Poi ci sono dei casi come la Fandango, ad esempio, che comprano i film all’estero e li editano qui in Italia. Comunque, l’edizione italiana viene comprata ed assegnata ad una società di doppiaggio. Il primo passaggio è quello che investe il traduttore, che fa la traduzione letterale del copione. Dopodiché si passa tutto nelle mani dell’adattatore, colui cioè che si occupa dei dialoghi, riscrivendoli adattandoli al labiale curandosi di mantenere il significato dell’impostazione culturale. Ogni film americano, ad esempio, ha mille dialetti e l’adattatore deve tentare di trasporli in italiano utilizzando i nostri dialetti tenendo conto delle sfumature culturali e degli stereotipi presenti, facendoli parlare in maniera diversa ma comunque aderente al personaggio e alle caratteristiche linguistiche.
Una volta terminata questa fase, entra in scena il direttore di doppiaggio che analizza il film per capire quale possa essere la voce giusta per ogni personaggio, coloro che possano avere le capacità professionali, recitative. Si chiamano gli attori e si comincia a doppiare.
Da qui il film passa al mixaggio per la sincronizzazione con la musica e gli effetti speciali.
In tutto credo ci vorrà in media un mese e mezzo, poi certo dipende dalla durata e dalla complessità di ogni singolo prodotto. Un film per la televisione, ad esempio, ha dei tempi molto più stretti: può essere pronto anche in una o due settimane.

Che tipo di contratto hanno oggi i doppiatori? Godono di speciali regimi fiscali?
Abbiamo un contratto collettivo nazionale di lavoro che prevede un gettone di presenza, abbastanza esiguo, di circa 60 euro per un turno di 3 ore. Il lavoro viene comunque pagato a riga a seconda del tipo di film che si deve realizzare. Le tariffe cambiano se si tratta di un film d’animazione, di un documentario (pagato ancora in maniera forfettaria e non a riga), di una fiction, di una telenovela. I film per il cinema, solitamente, sono quelli meglio remunerati. Girano grandi favole attorno ai guadagni dei doppiatori. Naturalmente non sono assolutamente vere.

Qual è il percorso professionale che consiglierebbe ad un giovane che decide di intraprendere questa professione?Quali sono i pregi e i difetti di questo mestiere?
A chi vorrebbe intraprendere questa professione direi di iscriversi ad una buona scuola di recitazione, il più seria possibile, e poi di addentrarsi nel mestiere dell’attore. In molte scuole è prevista la tecnica del doppiaggio, altrimenti si possono seguire dei corsi, anch’essi il più seri possibile.
Bisogna imparare diverse cose: dal riprendere l’interpretazione della voce originale al tenere la cuffia per ascoltare mentre si parla la voce dell’attore da doppiare. E poi, se si ha il talento e le capacità per questo mestiere, le strade si apriranno. L’importante è seguire chi già è un professionista in questo ambito.

Lei proviene da una famiglia di grandi doppiatori. La scelta di proseguire il “mestiere di famiglia” è stata condizionata da questo legame o è stata del tutto autonoma? Quali sono le difficoltà che ha incontrato?
Il mio percorso è stato molto semplice: quando avevo 5 anni mia sorella (Emanuela Rossi ndr) era già bravissima nel doppiaggio, e mi portò a fare un provino per un film Disney, “Gli Aristogatti”: io dovevo imparare le battute a memoria e poi recitarle. Avevo una voce carina, ero portato, e anche questa non è una cosa semplice da riscontrare. Ora che sto cercando dei piccoli doppiatori per una serie di animazione di Enzo D’Alò  ho capito che non è così facile doppiare quando si è bambini:  alcuni non hanno molta voce, altri poca intonazione. Io, invece, sono stato fortunato e mi presero: interpretai Matisse, uno dei tre gattini. Da lì ho continuato e ho avuto la fortuna di poter lavorare con dei grandi maestri da cui ho imparato moltissimo quali Giulio Panigali, Emilio Cigoli e molti altri. Ma era un momento diverso da quello attuale, c’era più tempo per il doppiaggio, non era tutto così industrializzato e quindi si aveva più tempo per l’apprendimento, per la correzione. La mia scuola è stata quindi il campo. Ho avuto un po’ di difficoltà quando sono diventato più grande perché mi era difficile recitare un ruolo che non fosse quello del bambino. La mia voce cambiava e io non ero pronto. Ma alla fine sono riuscito a rimodularla e oggi posso dire di aver avuto e di continuare ad avere grandi soddisfazioni da questa professione.