Intervista a Peter Paul Kainrath – Direttore artistico di Transart –

transart1TransArt, lo dice il nome stesso dell’evento, è una manifestazione che tenta di oltrepassare i confini dell’arte e anche del territorio. Nell’arco delle sue otto edizioni è arrivata a percorrere una linea spaziale che va da Innsbruck a Rovereto. Come testimone ed osservatore privilegiato come pensa che siano cambiate le arti contemporanee nel corso di questi anni? L’attenzione del pubblico e della critica si è spostata verso altri temi rispetto alla prima edizione del 2001?
Oggi gli artisti cercano continuamente di guardare ad altri generi, oltrepassando quelli con cui sono abituati a lavorare, creando così una miscela sempre avvincente, per loro stessi e per il pubblico che li segue. In questi ultimi due decenni mi sono accorto però che il pubblico manifestava una certa inquietudine verso questi nuovi modi di espressione perché spesso ciò che domina è un senso di insicurezza generale, la paura di non essere preparati al nuovo. Un festival come Transart dovrebbe tendere ad eliminare questa insicurezza, mostrando come il contemporaneo possa essere vissuto alla stregua dei canoni classici.
Prendiamo ad esempio la quinta sinfonia di Beethoven: credo che solo una piccola minoranza riesca davvero a comprenderla in base alla struttura, alla grammatica, alla forma. Nonstante ciò viene vissuta dal pubblico con estrema naturalezza, in modo diretto e spontaneo. Allo stesso modo dovrebbero essere vissute la musica, la danza, la letteratura contemporanea. Transart mira dunque ad aprire diverse porte sul mondo del contemporaneo: qualcuno entra dalla porta della musica sperimentale, altri da quella della danza e delle arti performative, altri ancora si avvicinano grazie alle arti visive, altri per il cinema o la letteratura. Entrando ci si rende conto che ognuno di questi generi ingloba poi diverse altre realtà, tutte però appartenenti alla sfera della contemporaneità. In questo modo, qualsiasi sia la porta da cui si entra, si riuscirà sempre a trovare un ponte che conduce fino al concetto di contemporaneo.

Il Trentino Alto Adige si è rivelata negli ultimi anni una regione feconda per l’evoluzione delle arti. Lo dimostra il successo dello scorso anno di Manifesta 7 e l’apertura di spazi quali il Museion di Bolzano e il Mart di Rovereto dedicati alla contemporaneità. Secondo lei, quali sono i fattori che hanno permesso tutto ciò? Quale background culturale e territoriale?Credo che una società particolare come quella altoatesina, che per tanti anni ha dovuto coltivare la propria tradizione per poter definire la propria storia, è finalmente arrivata a comprendere come, invece di preoccuparsi sempre e troppo di sé stessa, delle sue differenze politiche, etniche, territoriali, sia importante aprirsi verso l’esterno, rinunciando a quel ruolo di isola felice “imprigionata” tra le montagne: la cultura contemporanea rappresenta oggi il motore che ci può portare verso il nostro futuro. Per questo, ad esempio, quest’anno, riprendendo le tematiche territoriali, abbiamo in programma il discorso in videoconferenza del sociologo americano Richard Florida sul suo libro “Who’s your city?”, cioè l’identità territoriale che si interroga su quanto è importante avere dei nidi di creatività contemporanea in un tessuto urbano e sociale.

La manifestazione è attenta al territorio non solo perché coinvolge spazi dislocati in aree molto diverse, ma anche perché si interroga, proprio traendo spunto dal libro di Florida che ha citato, sulla capacità di un luogo di poter attrarre dei talenti e di prosperare grazie ad essi, fungendo da magnete. Transart si può definire in questo senso, il magnete di talenti del Trentino Alto Adige?
Sarebbe bellissimo! Ma siamo ancora troppo giovani e per questo dobbiamo essere realisti e modesti. Innanzitutto il contenuto del progetto culturale non sempre risponde agli obiettivi che la società si pone, laddove sono presenti dei forti poteri decisionali: spesso si guarda alla cultura come ad un ornamento, importante certo, ma non sufficiente se si vuole poi passare a scavare all’interno di questo contenuto. Il contemporaneo parla di globalizzazione, di multi linguaggio, di polifonia di punti di vista. Pensando in questa prospettiva non possiamo ancora definirci “magnete”, ma siamo una piattaforma che funziona come un amplificatore. Abbiamo il Museion, il Mart, e realtà più piccole, come la Galleria Prisma e l’Arge Kunst di Bolzano, che espongono le arti contemporanee tutto l’anno. Transart ha la possibilità di accendere un faro, più intenso del normale, per un periodo limitato di tempo su delle realtà che però sono già presenti e alle quali il pubblico è già esposto durante tutto l’anno.

La sede del Festival a Bolzano sarà l’EX-Alumix, ex fabbrica di alluminio dove, si legge da una nota, “si dimostrerà che la cultura contemporanea può essere e vuole essere uno stile di vita al passo con i tempi”. Quali sono le caratteristiche che hanno fatto di questa la location, la sede prescelta per l’evento? Ci sono inoltre delle volontà di continuazione del dialogo iniziato con Manifesta 7 dello scorso anno?
Gli artisti contemporanei hanno bisogno di spazi completamente diversi da quelli canonici. Progetti di video arte a 3 o 4 dimensioni, richiedono delle sale diverse da quelle tradizionali in cui il pubblico guarda, ascolta il concertista e fa seguire il rito dell’applauso.
Nel contemporaneo tutto questo non esiste più, è ridefinito, non ci sono più rituali. Uno spazio come quello dell’Alumix, grazie al suo enorme volume, dà la possibilità di essere modulare e di trovare le giuste impostazioni per ogni progetto lasciando all’artista la possibilità di scegliere quale rapporto dovrà stabilirsi tra lui e il suo pubblico.

La musica contemporanea e la musica elettronica accompagneranno alcune pellicole di culto, come «Un Chien Andalou» di Salvador Dalì, diretto da Luis Buñuel.
Philipe Glass accompagnerà musicalmente la galleria di immagini fotografiche di Frans Lanting, fotografo del National Geographic, ripercorrendo musicalmente le varie fasi della vita. Il presente si mescola al passato,quindi, in diverse sperimentazioni. Si vuole creare un punto d’incontro o l’obiettivo è quello di evidenziare le differenze?

L’obiettivo è sottolineare quanto sia polifonico il mondo del contemporaneo. Non credo nel fatto che una manifestazione possa fissare un tema a priori, un denominatore comune del tutto artificiale, lavorando poi in modo che tutto confluisca verso quel tema, anche ciò che si trova nella direzione più opposta.
Un festival può anche permettersi di lavorare senza un tema preciso e dire “ho un pubblico, ho quattro settimane e cinque o sei generi diversi che spaziano dalla danza alla letteratura, dalla musica alle arti visive”. Da lì si cerca di comporre un bouquet vario, in cui ognuno può cogliere la propria personale visione: non c’è bisogno che sia la direzione artistica ad imporne una prefissata.

transart2Quali sono, oggi, le difficoltà nell’ideazione e nell’organizzazione di un evento multidisciplinare e internazionale quale Transart?
Un progetto come Transart è possibile solo per la sue peculiarità e per gli apporti dati da un team di professionisti che lavorano in sintonia.  Non esiste il singolo direttore artistico che decide tutto su tutti: sarebbe impossibile.
Transart oggi rispecchia molte tematiche e problematiche: come comunicare, a chi comunicare, con chi comunicare. Dobbiamo cercare, con le nostre distinte professionalità, di rispondere a questo pluralismo.
Il problema, o piuttosto la sfida, è quella di riuscire, con pochi soldi ovviamente, a concorrere con la ricca cultura di massa, quale la televisione, il cinema, la radio.
Bisogna trovare la giusta impostazione, accendendo la curiosità della gente attraverso la novità dell’impostazione culturale, accessibile ad un prezzo economico.

Merano, Fortezza, Bressanone e Appiano ospiteranno progetti e artisti innovativi, come Anneliese Breitenberger, oltre a serate dedicate a grandi maestri, tra i quali Niccolò Castiglioni. L’offerta dunque è variegata. Quale si può definire la punta di diamante dell’intera iniziativa? Perché si dovrebbe partecipare a Transart?
Puntiamo sulla polifonia e il nostro pubblico è un insieme di pubblici diversi: chi arriva per il cinema sarà interessato anche alla musica di Blixa Bargeld se ha visto il film documentario “Berlin Babylon”. Oppure chi arriva dalla musica contemporanea sarà interessato a scoprire perché Niccolò Castiglioni ha scelto Bressanone come sua seconda casa.
La nostra speranza è quella di offrire una punta di diamante per ognuno di questi pubblici diversi che una volta entrati scoprono  intorno a loro altri contenuti interessanti quanto sconosciuti. Questo è il nostro obiettivo.

Qual è il rapporto che TransArt è riuscito ad instaurare in questi anni con il territorio e con l’Europa in generale?
È stata la risposta del pubblico, delle istituzioni, degli enti locali e degli attori coinvolti a livello territoriale a contribuire all’evoluzione della manifestazione?
Transart è partito nel 2001 quasi contro la volontà politica di allora perché c’era tanto scetticismo e non si capiva l’impostazione dell’evento: si pensava fosse il secondo festival di musica contemporanea di Bolzano e abbiamo un po’ faticato a far capire che un festival di cultura contemporanea è diverso da un festival di musica contemporanea.
Nel corso degli anni le cose sono cambiate: il messaggio è arrivato e gli enti locali hanno capito il nostro obiettivo.
Il rapporto con gli enti locali e con il territorio in generale è molto buono ma sempre diverso: ad esempio un pubblico che non pensavamo di poter avere era quello degli artigiani che invece quest’anno hanno portato avanti un loro progetto con Giorgio Battistelli proprio durante la giornata degli artigiani: 16 artigiani suoneranno i ferri del loro mestiere componendo un’orchestra assolutamente originale.
Mi accorgo così che stiamo raccogliendo il frutto di un seme che avevamo coltivato ma che mai avremmo immaginato potesse dare questo tipo di frutto, quella stima in un settore della società di cui non ci eravamo mai occupati: per questo dobbiamo dare il nostro meglio con il nostro entusiasmo e le nostre forze prestando attenzione sia a ciò che abbiamo pianificato ma aprendoci anche verso l’imprevedibile che, proprio per questo, è bellissimo.