Il bello della bicicletta è l’ultimo lavoro del noto antropologo Marc Augé. Il teorizzatore dei non luoghi (ri)parte dalla bicicletta promuovendola come “simbolo di un futuro ecologico per la città di domani e di un’utopia antica in grado di riconciliare la società con se stessa”. Non più di luoghi e non luoghi ma è di mobilità che si parla. Una “mobilità” sia interiore che urbana (esteriore), muovendo dalla storia individuale legata a questo strumento di trasporto primordiale, fino a quella di una collettività, unita dal mito condiviso. Il filo conduttore del suo agile e discorsivo libretto di poco più di sessanta pagine inizia a dipanarsi dagli anni cinquanta del secolo scorso. E il bandolo della matassa è la coppia Fausto Coppi (l’eroe dell’epopea contemporanea celebrato da Roland Barthes)- Gino Bartali, che della bicicletta hanno fatto un mezzo mitico, simbolo di un sistema valoriale ormai dimenticato nella realtà urbana contemporanea. Lo definisce “nuovo umanesimo dei ciclisti”, che annulla le differenze di classe e riconduce le nostre esistenze a ritmi più sostenibili (quelli della pedalata) mediante i quali le vie urbane diventano spazi da scoprire. Metà del volumetto potrebbe risultare un tantino come un nostalgico racconto tracciato attraverso la storia personale di uomo del novecento (Augé) attorno all’antico” mito”, seppur premessa indispensabile alle riflessioni successive. È nella seconda parte che la connessione tra il “simbolo” bicicletta e concetti quali urbanizzazione e geografie urbane apre le porte dell’avvenire e emerge l’Augè studioso più acuto. Si auspica ad una ricerca della città perduta, minacciata dalla frammentazione dovuta ad una nuova organizzazione del lavoro e dell’incombere delle tecnologie. Le città  contemporanee sono adducibili a vere e proprie città-mondo, una sintesi del mondo, con le loro differenze etniche, culturali, sociali ed economiche. In che consiste quindi il sogno possibile di una città migliore? La risposta è chiaramente la simbolica bicicletta. Augè cita l’esempio di Parigi e dei suoi velib come un primordiale tentativo di redenzione della città – si badi bene che non rischino di rimanere attrazione estiva o causa di conflitto tra automobilisti e ciclisti-. L’ostacolo alla realizzazione di una città ciclabile è stata, nel caso parigino, la limitazione del servizio alla zona intra muros, escludendo le periferie, invece parte viva del tessuto urbano. Casi più virtuosi che testimoniano la possibilità di una città di biciclette sono le cittadine emiliane quali Modena o Parma, la cui qualità della vita è rinomata. Qual è il punto? “La sfida risiede proprio nel conciliarle esigenze della megalopoli e quelle della città concepita come luogo di vita, ambiente intimo con i suoi punti di riferimento”. Augé suggerisce di non soffocare il pensiero dell’avvenire  schiacciandolo sui dati presenti, ma di provare a concepire una utopia urbana efficace, i cui limiti e le cui frontiere possono essere ridisegnati dall’uso della bicicletta. Accettare questa sfida permetterebbe di poter immaginare una megalopoli tra trent’anni: traffico assente, mezzi pubblici ovunque, macchine parcheggiate in un luogo isolato dove poterle recuperare per andare fuori città previo rilascio autorizzazione, e biciclette dappertutto, noleggiabili o parcheggiabili in ogni dove. Il ciclo-futuro proposto da Augé comincia a rivelare vantaggi non indifferenti. Guardando alle città e ai suoi abitanti dopo l’“effetto pedalata” – per citare la bella espressione proposta dall’autore – il mondo sembra essere migliore.

 

Il bello della bicicletta
Marc Augé
Bollati Boringhieri 2009  euro 8
ISBN: 978-88-339-1992-8
www.bollatiboringhieri.it