Intervista ad Anna Lovecchio e Valentina Vetturi – responsabili di Radice Quadrata

heranval_la casa di chàIl progetto “A Bassa Risoluzione” è un progetto nato da un’idea di Radice Quadrata, collettivo impegnato nella sperimentazione e nella produzione di pratiche artistiche e curatoriali.
Scopo del progetto, da cui è scaturito poi un festival, è la valorizzazione di tutti quei luoghi considerati residui dell’esistente e la capacità, da parte di tutti, di reinventarli ispirando pratiche temporanee di appropriazione…

“A Bassa Risoluzione” è un progetto che si propone di rivitalizzare degli spazi di Bari che pur appartenendo al paesaggio quotidiano rimangono sotto la soglia di visibilità ordinaria perché privi di funzione. L’obiettivo è quello di reinventare degli spazi, donandogli appunto una definizione sempre più nitida. Come si è proceduto per raggiungere questo obiettivo? Quali sono state le tappe che hanno poi portato all’evento finale, ovvero il Festival della Bassa Risoluzione?
L’idea di declinare la bassa risoluzione in termini spaziali è presa in prestito dal lavoro dell’architetto Luca Emanueli che, tre anni fa, ha svolto una ricerca sulle architettuture “a bassa definizione” nella provincia autonoma di Bolzano. Mentre Emanueli ha mappato edifici ed architetture, noi ci siamo concentrate su degli spazi extra-architettonici, micro-aree del tessuto urbano in cui vediamo le qualità e le potenzialità del terzo paesaggio di cui parla Gilles Clément.
Il progetto si è sviluppato in due fasi. Nella prima fase abbiamo effettuato una mappatura performativa degli spazi a bassa risoluzione in quattro quartieri di Bari. Indossando delle divise da “tecnici abilitati della bassa risoluzione” e equippaggiati con un kit composto da vari strumenti di misurazione ed orientamento (la macchina fotografica, il metro da sartoria, un navigatore satellitare, una bussola, un taccuino, ecc.) abbiamo attraversato la città a piedi cercando degli spazi residuali della griglia urbana, spazi senza una funzione precisa o che comunque l’avevano persa. Gli spazi individuati sono stati misurati in vario modo: abbiamo rilevato le loro dimensioni, la loro ubicazione ma anche le loro storie e la percezione che di essi hanno le persone che li vedono tutti i giorni. Queste “azioni di rilevamento” si sono svolte per due mesi e sono state sempre pubblicizzate attraverso giornali, radio e social networks perchè volevamo rendere questo processo di valorizzazione dell’esistente partecipato ed aperto a tutti.
Abbiamo poi creato un archivio degli oltre settanta spazi trovati, che è accessibile e consultabile sul nostro sito (www.radicequadrata.org/abr/archivio/) e abbiamo lanciato un open call per progetti site-specific rivolto a giovani artisti.

Facciamo qualche esempio. In che modo i giovani artisti coinvolti hanno trasformato i luoghi segnalati?
Più che trasformare, gli artisti hanno recepito il nostro invito ad abitare gli spazi e a interpretarne le criticità. Per quanto riguarda l’attivazione delle potenzialità abitative degli spazi possiamo citare il lavoro di Charles Heranval, La casa di Chà, nel quale l’artista ha riprodotto la planimetria della sua casa veneziana in uno spazio interstiziale fra due palazzine e ha preparato ed offerto il tè ai passanti nella “sua” cucina, tutti i giorni, dalle 16 alle 19. Questo lavoro prende spunto da una specifica storia legata a questo spazio: il cartellone “chi vuole del tè” affisso da alcuni studenti sul balcone della loro casa proprio lì di fianco. O ancora la Palafitta di Alessandro Guagno, un artista che ha scelto di abitare gli incavi degli enormi pilastri in cemento armato che sollevano i binari della ferrovia sopra la città. Utilizzando corde, teli di organza e materiali trovati in situ l’artista ha ricavato e abitato degli ambienti “silenziosi” di meditazione ed isolamento periodicamente scossi dal passaggio dei treni.
Altri artisti hanno invece scelto di lavorare sulle criticità sommerse degli spazi. Roberto De Pol ha costruito una altalena precaria e dysfunctional al centro di una piccola radura urbana. Il sellino dell’altalena veniva mosso da un soffiatore che entrava in funzione al passaggio delle persone “animando” questo dispositivo ludico che non può essere usato e che, materializzandone l’assenza, ha la forza di evocare l’idea di un parco. Un’area verde negata è oggetto anche del lavoro PV private visioni di Emanuela Ascari che ha fotografato un vasto pezzo di terra, completamente murato, dalle finestre degli appartamenti prospicienti. Attivando dei meccanismi relazionali la Ascari  è riuscita a negoziare l’accesso in casa della gente e alle loro “viste private”. L’ultimo giorno del festival, ha restituito al quartiere una dimensione pubblica  del giardino affiggendo tutte le foto realizzate sul muro di cinta.

Le installazioni proposte dagli artisti saranno temporanee e quindi andranno rimosse. Quali saranno i segni, anche se non materiali ed evidenti, che rimarranno nel territorio barese una volta terminato il festival?
Il concept del festival richiedeva espressamente degli interventi effimeri, temporanei e non invasivi per cui dal punto di vista materiale non resterà nulla. A noi però importava agire sull’immaginario delle persone, mettere in evidenza le potenzialià degli scarti del paesaggio quotidiano, portare l’arte in una dimensione pubblica, a contatto con un pubblico che di solito non frequenta musei e gallerie. Per tre giorni il festival ha disseminato la città di serendipità, di incontri imprevisti  e scoperte inattese per i passanti casuali,  i primi destinatari dell’iniziativa. E poi rimarrà anche la documentazione. Abbiamo una enorme quantità di materiale da postprodurre per una pubblicazione che racconti l’intero progetto e per la pagina web dedicata al Festival. Dei giovani videomakers, i BeKind Rewind, hanno ripreso tutti gli interventi e realizzeranno il documentario del Festival.

Gli spazi segnalati sono andati a costituire un archivio on-line formato da vere e proprie schede tecniche con immagini della città. Quali saranno le funzioni di questo materiale adesso? Avete in mente degli sviluppi futuri del progetto?
L’archivio rimarrà consultabile online e rientrerà nel progetto editoriale. Le istituzioni locali, in particolare l’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Bari e l’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, hanno mostrato interesse per l’iniziativa e non hanno fatto mancare il loro sostegno in situazioni di difficoltà, tuttavia non abbiamo ancora maturato delle certezze circa le possibili evoluzioni del progetto.
L’idea di fondo è comunque quello di riproporlo e di renderlo un appuntamento fisso per la città. 

La città protagonista è Bari. Quali sono state le criticità riscontrate in questo territorio? Avete riscontrato una particolare sensibilità riguardo questa tematica da parte della popolazione locale?
Nell’insieme, la città ha reagito positivamente agli artisti e ai loro interventi. I lavori di natura relazionale hanno incontrato un’ottima disponibilità al dialogo da parte della gente – indubbiamente anche grazie alle capacità degli artisti – e quelli di tipo installativo sono “sopravvissuti” nello spazio pubblico per i tre giorni senza subire danni. Solo il lavoro di Fabrizio Sartori, che ha installato delle coloratissime tende a fili su una pensilina dell’autobus in disuso, non è arrivato integro al terzo giorno. La performance Sirenata di Manuela Centrone ha, invece, attirato l’attenzione delle forze dell’ordine – che hanno cercato di imputarle il reato di “procurato allarme”- per cui non è stato possibile ripeterla il terzo giorno.
È difficile dire fino a che punto la popolazione sia sensibile nei confronti delle potenzialità degli spazi a bassa risoluzione: o rimangano invisibili oppure vengono notati come luoghi degradati. Il nostro progetto, non solo il Festival ma anche le azioni di rilevamento, è tutto orientato a coltivare questo tipo di attenzione per il residuale, a valorizzarlo nella sua diversità e a sperimentarne le potenzialità.

roberto de pol_senza titoloQuesta iniziativa era già stata proposta a Genova qualche tempo fa. Quali le differenze tra le due città, se ce ne sono?
A Genova siamo state ospiti del Festival di arte contemporanea NOPASSWD al cui interno abbiamo realizzato una performance, Streetwalking with an idea. Una deriva urbana, un’ azione di rilevamento di spazi a bassa risoluzione nella città di Genova, cui hanno aderito altri artisti del Festival. Come a Bari, indossando le divise da “tecnici abilitati della bassa risoluzione” e equipaggiati del nostro “action-kit” abbiamo attraversato a piedi per una giornata la città alla ricerca di queste aree residuali. Successivamente abbiamo prodotto delle schede tecniche, un sintetico archivio degli spazi rintracciati. Abbiamo praticato la stessa metodologia che stavamo sperimentando a Bari, ma è stata una singola azione. Speriamo di proseguire la collaborazione con NOPASSWD così da poter continuare la ricerca anche a Genova e, chissà, procedere all’attivazione degli spazi….

È stato inoltre istituito un “Laboratorio pubblico della bassa Risoluzione” (è ancora attivo?) come piattaforma di aggregazione. Quali sono (state) le funzioni specifiche di questo laboratorio?
Il “Laboratorio Pubblico della Bassa Risoluzione”, ha avuto come sede la Galleria BluOrg di Bari durante i giorni del Festival. Abbiamo inteso e voluto il laboratorio come spazio di incontro, discussione, produzione e postproduzione dei progetti. Uno spazio conviviale, di aggregazione e scambio aperto agli artisti e alla città. Spazio in cui ritrovarci a fine giornata, contraltare alla struttura diffusa e site-specific del Festival. Dalle 20 alle 21 durante i Get Together ogni artista ha potuto raccontare il suo lavoro, proiettare immagini e discutere in modo informale con gli altri artisti e con il pubblico l’esperienza della giornata. Avere un campo base in cui ritrovarci e discutere alla fine di ogni giornata, cenare insieme, ha permesso il formarsi di una piccola comunità temporanea che è stato uno degli elementi forti di questa esperienza.  
 Il laboratorio pubblico della Bassa Risoluzione ha inoltre ospitato l’Archivio della Bassa risoluzione, una installazione che contiene le oltre 70 schede degli spazi rintracciati e i certificati di abitabilità degli stessi spazi prodotti da Radice Quadrata in qualità di “tecnico abilitato della bassa risoluzione”.

“A bassa risoluzione” fa parte di “Principi attivi” idea di Bollenti Spiriti, realizzata dall’Assessorato alla Trasparenza e Cittadinanza Attiva della Regione Puglia che ha concesso al vostro progetto un contributo di 25 mila euro. Questo contributo è stato sufficiente per raggiungere gli obiettivi che vi eravate proposti?
Per un progetto che si sviluppa nell’arco di un anno 25 mila euro sono appena sufficienti a coprire le spese. Quindi non è stato facile! Gli obiettivi che ci eravamo prefissate sono stati comunque raggiunti.  Un altro supporto importante per la realizzazione del Festival è stato quello di Costellazione Apulia, un consorzio di imprese del territorio pugliese attente al tema delle “esternalità”, che ha trovato il nostro progetto affine ai suoi obiettivi e ha deciso di sostenere il Festival finanziando la metà degli interventi degli artisti ospiti.

Quali sono state, a livello organizzativo, le difficoltà incontrate nella preparazione e nella gestione di questo evento?
Abbiamo incontrato le difficoltà intrinseche all’organizzazione e alle gestione di un progetto complesso e articolato come questo e siamo riuscite a superarle grazie all’aiuto di una rete di soggetti e istituzioni della città che ci hanno supportato. Pensiamo alle partnership attivate con l’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune che ha mediato il nostro rapporto con le circoscrizioni dei quartieri coinvolti, con la Galleria BluOrg che ci ha ospitato nei giorni del Festival, con Radio Luogo Comune e Ufo Solar Tv media partner della manifestazione, con il Teatro Kismet Opera che ci ha supportate logisticamente ,con l’Accademia delle Belle Arti di Bari  e alcune gallerie – Nodo, Museo Nuova Era, Acidi Colori, Museo della Fotografia- che hanno permesso la diffusione del bando e delle attività del progetto sul territorio.

Alla base del progetto vi è Radice Quadrata, impegnata da alcuni mesi nella promozione di nuove esperienze di arte contemporanea. Quali sono i vostri progetti futuri e quali le città che avete in mente per le prossime iniziative?
Radice Quadrata è in realtà giovanissima! E’ nata a Febbraio del 2009 grazie al bando Principi Attivi della Regione Puglia.  A bassa risoluzione. Esperimenti spaziali nella città è il nostro primo esperimento e ci vedrà impegnate sino a marzo del 2010..
Nel frattempo stiamo già lavorando ad un nuovo progetto, più piccolo. A Novembre, su invito del Teatro Kismet Opera di Bari cureremo la sezione arti visive del Festival “Irruzione Pubblica”, alla base del concept di questi tre giorni ci sarà ancora una volta la città di Bari. Abbiamo scelto cinque aspetti caratteristici – un monumento, un santo, un artista, un pensiero, una cultura gastronomica- e li abbiamo inviati lontano, a cinque artisti non pugliesi, con l’invito a restituirceli in forma di performance…