Intervista al Prof. Umberto Broccoli – Sovrintendente ai beni culturali di Roma

sovraintendenzaA Roma esiste una Sovraintendenza ai Beni Culturali che è esclusiva della Capitale. Per quale motivo?
La Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma è la più antica del mondo in quanto rappresenta l’eredità di quella Sovraintendenza speciale creata ai tempi di Raffaello Sanzio, primo sovraintendente ad occuparsi di Roma. Diventata in seguito Pontificia, legata quindi al Papa, al tempo del Risorgimento fu poi sostituita dagli Uffici dell’antichità, gestiti dalla Santa Sede.
140 anni fa, con Roma Capitale d’Italia, lo Stato ha istituito il Dipartimento Antichità e Belle Arti, aggiungendo quindi a quella comunale e a quella pontificia, la competenza statale, sempre mantenendogli uffici del governatorato romano.
Lo Stato aveva quindi riconosciuto una certa autonomia del Comune rispetto ai beni culturali della capitale. Roma, in quanto custode del patrimonio culturale più importante del mondo, ha dunque bisogno di diverse entità che si occupino della sua salvaguardia e della sua valorizzazione.
Mentre lo Stato dispone di diverse Soprintendenze (per i beni archeologici, architettonici, artistici e storici e così via) che si occupano in maniera esclusiva delle proprie pertinenze, la Sovraintendenza comunale ha una competenza sui beni di Roma assolutamente trasversale. Si parte dalla preistoria/protostoria, fino alle grandi Ville storiche quali Villa Pamphili o Villa Borghese ma anche i grandi monumenti risorgimentali o il sistema dei Musei Capitolini, Palazzo Braschi, il Museo della Scienza e tutto il patrimonio che è di proprietà del Comune di Roma.

Facciamo un esempio: la fontana di Piazza del Popolo è ad oggi  di competenza della Sovraintendenza comunale ma la Piazza antistante è di competenza del MiBAC. Nel caso di lavori eccezionali alla Fontana, fosse un restauro o l’installazione di una targa, come vi interfacciate con le varie Soprintendenze statali? Quali sono i vostri rapporti di collaborazione?
Quest’esempio mette in luce come molto spesso le diverse competenze debbano interfacciarsi in modo non propriamente conflittuale ma comunque dialettico. Provenendo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali conosco questo tipo di problematiche e per questo, nonostante i rapporti tra Sovraintendenza comunale e MiBAC fossero già molto stretti anche prima del mio arrivo, dal 21 aprile scorso è stata ufficializzata questa volontà di collaborazione. Quando fui nominato Sovraintendente, nel giugno del 2008, abbiamo instaurato con i vari Direttori Generali delle altre Soprintendenze statali, dei tavoli di discussione e concertazione che in realtà, per la legge 1089 del 1939 (la quale concede delle attribuzioni di intervento diretto alle Soprintendenze Statali) avremmo potuto tranquillamente evitare, continuando a svolgere in autonomia il nostro lavoro. Ma tutti noi sappiamo che il dialogo tra le diverse realtà politiche e territoriali è importantissimo e lo è ancor di più a Roma, in cui l’innesco di dialettiche è fondamentale per la buona amministrazione dell’immenso patrimonio culturale della Capitale. Ad oggi, la Sovraintendenza comunale e le Soprintendenze statali sono, per quanto riguarda la città di Roma, degli interlocutori paritari che decidono di comune accordo le strategie di intervento per la corretta gestione dei beni culturali romani.
Ritornando al caso della Fontana di Piazza del Popolo, le posso assicurare che si tratta più di un rapporto di “buon vicinato” che altro: se avessimo bisogno del permesso delle Soprintendenze statali per qualsiasi azione mirata alla tutela o al restauro di un monumento o di un qualsiasi altro bene culturale, come è successo più volte naturalmente, non dovremmo far altro che agire di comune accordo per il fine ultimo che è sempre e comunque quello della valorizzazione e della conservazione del nostro patrimonio culturale.
Nel caso in cui ci sia la necessità di un restauro, ad esempio, si collabora in maniera molto stretta: ci si accerta che si abbiano gli adeguati finanziamenti, siano questi comunali, statali, pubblici, privati,  e poi si procede insieme nell’elaborazione di un piano di restauro.

La Sovraintendenza è un ufficio extradipartimentale del Comune di Roma. Da dove provengono le vostre risorse finanziarie e come vengono suddivise in base alle diverse unità organizzative (musei, gestione, valorizzazione, tutela, restauro…)?
Le risorse finanziarie a disposizione sono quelle comunali a cui noi attingiamo tramite l’Assessorato alle Politiche Culturali e alla comunicazione. Noi effettuiamo una programmazione ordinaria ogni anno e sviluppiamo una serie di progetti che seguono le priorità assunte dalla linea impostata che prevede la manutenzione al primo posto, la comunicazione al secondo e la messa a reddito dei beni culturali al terzo.
Su questa progettazione abbiamo dei fondi assegnati, sulla base dei quali si conferiscono progetti alle singole unità organizzative della Sovraintendenza. 
Grande importanza, come ho già accennato, viene data alla manutenzione perché, soprattutto nell’ambito della difficile situazione finanziaria in cui versano le casse comunali, è preferibile mantenere ciò che già si ha, piuttosto che intraprendere dei nuovi progetti.

Lei ha parlato di una “messa a reddito” dei beni culturali, tema su cui è stato molto criticato soprattutto nell’ambito del “noleggio” dei beni culturali per scopi privati.
Non ho fatto altro che recuperare vecchie idee che proprio in quanto giuste sono state dimenticate. Non ho inventato nulla, perché tutto si trovava già nella legge Ronchey degli anni ‘90 e se ne cominciò a parlare addirittura nel 1975, anno di nascita del MiBAC, che nella sua carta istituzionale riportava delle precise indicazioni sulla messa a reddito dei beni culturali.
Già 40 anni fa si parlava di bene culturale che doveva generare degli introiti e doveva essere sfruttato.
La verità è che molto spesso ci troviamo di fronte a dei funzionari “vestali” che si offendono nel momento in cui vengono etichettati in questo modo, ma che dovrebbero dimostrare il contrario con i fatti. E queste vestali si trasformano poi in prefiche perché si lamentano in continuazione per i finanziamenti insufficienti e non capiscono che i finanziamenti vanno creati.
È stato realizzato, all’interno della Sovraintendenza, un apposito studio per la messa a reddito dei beni culturali che ha portato già i primi risultati concreti sulla base di una legislazione esistente, non di leggi redatte ex novo.
Grazie al denaro proveniente da alcune scene di un film giapponese girate all’interno dei Musei Capitolini, ad esempio, siamo riusciti a riaprire un’intera ala dei musei, l’ala medioevale in cui ora è esposta la preziosa statua di Carlo D’Angiò.
E nelle stesse modalità abbiamo preso contatti con lo sceicco di Abu Dhabi affinché il materiale presente nei nostri magazzini non rimanesse inutilizzato ma venisse impiegato per la costruzione nella metropoli araba di una Petite Rome, alla stregua del Petite Louvre già esistente.
Per l’Ara Pacis, ad esempio, degli sponsor privati come Gros Supermercati, veicolati dalla nostra società di servizi (Zètema ndr), hanno offerto dei finanziamenti affinché venisse illuminata con i colori originali dell’era di Augusto grazie ad un impianto fisso di illuminazione. Da uno studio condotto da diversi storici dell’arte è risultato infatti che il marmo dell’Ara Pacis non fosse bianco, ma colorato. In questo modo abbiamo a disposizione un ulteriore elemento attrattore per l’Ara Pacis senza aver compiuto grandi sforzi a livello economico.
Abbiamo poi delle Ville che oggi sono chiuse, sigillate  e inaccessibili e che inevitabilmente si deterioreranno, perché le dimore del Settecento devono essere vissute, valorizzate, mantenute in vita. È incongruente dare degli spazi preziosi a delle associazioni o a delle aziende di primissimo ordine che oltre a garantirne il restauro, rivitalizzano gli spazi con degli eventi culturali? Secondo me, no. Il tutto poi con la garanzia che se chi sfrutta il bene non si dovesse attenere ai patti stabiliti, così come avviene in una normale locazione d’affitto, dovrà immediatamente lasciare l’immobile. Le convenzioni sono inoltre annuali o mensili, e mai raggiungono periodi di concessione più lunghi, proprio per permettere di decidere di volta in volta come agire per il bene degli immobili storici. Queste concessioni danno inoltre la sicurezza di un introito fisso, che è un reddito a tutti gli effetti, perché è il privato a pagare per il restauro, non più il Comune o lo Stato.
Se qualcuno dimostrerà che queste mie argomentazioni sono peregrine, sarò pronto ad ammettere i miei errori, ma fino a quel momento nessuno potrà distogliermi dall’idea che la messa a reddito dei beni culturali sia un valore per tutti, perché l’alternativa è il totale immobilismo.

Che cosa ne pensa del Commissariamento straordinario dei beni archeologici di Roma e Ostia Antica? E della sua proroga? Pensa che sia “giusta e sacrosanta” come anche Giro ha dichiarato?
Nessuno vorrebbe vivere commissariato, è chiaro, ma ho visto nascere questa operazione e riconosco che sta dando dei buoni risultati. Vivendo “ammalati” di burocrazia, il commissariamento rappresenta uno snellimento e una semplificazione burocratica non indifferente che potrà rimettere in carreggiata tutta l’area. Se i finanziamenti scarseggiano e si hanno delle difficoltà a gestire i fondi, il commissariamento diventa l’unico rimedio da utilizzare prima che tutto vada a brandelli.

Quali sono le prospettive legate al suo ruolo e quali sono le priorità che caratterizzano fino ad oggi il suo mandato?
Le priorità, come già accennavo, sono la manutenzione, la comunicazione e la messa a reddito dei beni culturali, che sono poi anche gli obiettivi concordati con il Sindaco di Roma Gianni Alemanno e con l’Assessore alle Politiche culturali e alla comunicazione Umberto Croppi.
Sono stato chiamato a questo incarico per competenza e non per appartenenza, venendo a conoscenza della mia nomina per ultimo. L’unica cosa che avevo richiesto era di poter continuare a condurre i miei programmi in radio, cosa che mi è stata concessa in quanto non si tratta di un doppio incarico, come qualcuno ha sospettato, bensì di una collaborazione saltuaria e straordinaria.
Non mi creo poi molte prospettive riguardo al mandato che dura, in teoria, tanto quanto quello del Sindaco che mi ha nominato. Sono, in realtà, come un allenatore di una squadra di calcio che ha le valigie fuori dalla porta sempre pronte. Ennio Flaiano diceva “attenzione a dare le dimissioni che prima o poi qualcuno le accetta” e le dimissioni credo proprio non le darò mai perché sono stato chiamato per portare avanti un lavoro ed ho intenzione di raggiungere i miei obiettivi. Dalla vita ho avuto molto di più di quanto dalla vita mi aspettassi e forse è proprio per questo che il futuro non mi spaventa.