GDVB-switch-offLo scorso 16 novembre è stata avviata nel Lazio la pratica dello switch off, ovvero lo spegnimento dei sistemi trasmissivi televisivi analogici, e Roma è diventata la prima grande capitale europea a fruire di un segnale tv esclusivamente digitale.
La transizione verso il digitale terrestre verrà completata, applicando progressivamente lo switch off nelle varie regioni italiane, entro la fine del 2012, nel rispetto delle direttive dettate dall’UE e seguendo il calendario stilato in un decreto ministeriale firmato nel settembre 2008 dal ministro Scajola. L’Italia è quindi in prima linea nell’applicazione e nello sviluppo di questa tecnologia, per cui è interessante mettere a fuoco alcuni aspetti.

Innanzitutto cosa si intende per digitale terrestre? Negli ultimi decenni varie tipologie tecnologiche, dal campo della telefonia a quello della riproduzione audio e video, sono passate dall’analogico ad al digitale, il che equivale sostanzialmente a dire che è cambiato il modo in cui i segnali relativi a chiamate vocali, o trasmissioni video, sono rappresentate.
Tale cambiamento è stato fondamentale, e legato ai vantaggi che la rappresentazione digitale comporta. Per quel che riguarda la televisione, in particolare, il segnale digitale rispetto al suo predecessore promette diverse migliorie: una maggiore resistenza ai disturbi, un maggior numero di canali (a pagamento e non) fruibili dall’utenza (per intendersi, grazie a tecniche di codifica di sorgente del segnale quali Mpeg-2, nella banda che nel segnale analogico veniva occupata per la trasmissione di un canale ora possono essere inseriti fino a 10 canali), una maggiore qualità del segnale audio/video, la possibilità di programmi interattivi ed un minore inquinamento elettromagnetico.

Come si intuisce, tali aspetti hanno reso appetibile la tecnologia agli operatori del settore, ed indotto l’Unione Europea ad una azione legislativa che uniformasse nel continente la trasmissione digitale ai parametri stabiliti nello standard DVB-T (digital video broadcasting – terrestrial). L’impatto del passaggio al DVB-T sugli utenti sarà minimo in termini di difficoltà applicative, se si eccettua il dover acquistare, per non restare “al buio”, o un decoder digitale terrestre, da collegare al televisore tramite presa a scart e cavo d’antenna, o una televisione di nuova generazione, in cui il decoder è interno. Questo poiché il segnale digitale terrestre viene captato dalle antenne già presenti sui nostri tetti, che quindi non necessitano di interventi, ma a causa del tipo di modulazione (OFDM) per esso adottato, deve essere decifrato da un decoder prima d’essere visibile correttamente sui teleschermi.
I decoder, di cui tanto parlare si è fatto negli ultimi tempi, sono essenzialmente di due tipi: gli zapper, i più semplici, la cui funzionalità principale (se non unica) è quella di permettere la visualizzazione dei canali non a pagamento, e i decoder interattivi, che prevedono uno slot in cui alloggiare un modulo cam (le tessere acquistabili dai vari operatori del settore che consentono la visualizzazione dei canali pay-per-view in maniera similare a quanto accade già da anni con la televisione satellitare) e supportano l’interattività. Con supporto dell’interattività si vuole indicare, ad esempio, la possibilità di esprimere le proprie preferenze su una trasmissione in visione, in stile televoto, tramite il solo uso del telecomando.

Per quel che riguarda l’aspetto economico dell’affaire DVB-T, i dati presentati dal ministero a settembre 2009 parlavano di 20 milioni circa di decoder venduti, la maggior parte dei quali di tipo zapper, di cui solo il 18 % acquistati usufruendo dei contributi statali (che valgono solo per i decoder interattivi).
E’ palese allora che la tecnologia televisiva digitale terrestre sia vista con interesse dai competitor del settore, i quali, in primo luogo Mediaset e Rai, ma non stupisce a tal proposito anche l’interesse di Sky (che lancerà a breve il suo canale Cielo), stanno investendo molto sulla copertura del territorio e sull’ampliamento dell’offerta dei canali.
Per quel che riguarda ulteriori problematiche che inevitabilmente stanno accompagnando e accompagneranno lo switch off, gli aspetti negativi sembrano davvero pochi. Degni di nota sono infatti solo l’aumento inevitabile di consumo energetico, legato sia al nuovo apparato trasmissivo che al dover utilizzare in ogni casa (e per ogni tv) un decoder, e il tempo fisiologico che ci vorrà
(soprattutto per gli anziani) per comprendere come effettuare la sintonizzazione e l’editing delle liste dei canali.
Sono in particolare questa idea di rivoluzione “morbida” (legata a pochi contraccolpi e contrattempi) e le già citate qualità del DVB-T che hanno permesso al digitale terrestre di vincere
la competizione con tecnologie similari.

Fra queste la favorita sembrava essere l‘IPtv che seppur promettesse bene, garantendo una maggior flessibilità nella scelta della programmazione tv e dei film da vedere, ha incontrato parecchi ostacoli (ha fatto scalpore la dismissione del servizio a fine 2008 da parte di Tiscali, che ha di fatto lasciato a competere sull’offerta dell’IPtv i soli Alice, Fastweb e Infostrada).
Gli impedimenti maggiori alla diffusione dell’IPtv sono dovuti alla sua caratteristica di impiegare due canali trasmissivi (antenna tv più collegamento Adsl, laddove il DVB-T ne impiega solo
l’antenna tv), a tecniche di codifica del segnale che non raggiungono attualmente la stessa qualità del digitale terrestre, ma soprattutto legati alla ancora penetrazione della banda larga nel nostro paese.
Il DVB-T, invece, non solo sta procedendo con regolarità nella sua diffusione, ma è al contempo in evoluzione (dal marzo 2006) verso lo standard DVB-2, che si avvarrà di soluzioni tecniche in grado di consentire la miglior ricezione possibile, con una qualità audio/video ancor più elevata, non solo ai ricevitori stazionari, ma anche a quelli mobili (integrando il DVB-T col DVB-H che è lo standard de facto relativo ai terminali mobili).