Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Intervista a Maurizio Pietrantonio – Sovrintendente del teatro Lirico di Cagliari
Nel mondo della cultura italiana si dibatte da mesi del ridimensionamento delle erogazioni del Fus e del prossimo cambiamento del sistema delle fondazioni liriche. Tra queste, il teatro lirico di Cagliari rappresenta un caso esemplare per la capacità di conciliare una sana gestione economica e un’offerta artistica di alto livello. Tafter ha intervistato il sovrintendente Maurizio Pietrantonio per farsi raccontare le modalità di gestione del teatro, ma anche come si evolverà il sistema delle fondazioni liriche in Italia, dalle sorti dell’Anfols alle proposte della nuova riforma del MiBAC…
Guardando ai numeri, il caso del teatro lirico di Cagliari sembra essere esemplare rispetto alle altre fondazioni liriche italiane. Prendendo l’anno 2008, a fronte del finanziamento più basso (10 mln di euro dei 465 mln del FUS), il bilancio del teatro è all’attivo. Ci racconta un po’ l’esperienza gestionale del Lirico di Cagliari, facendo un po’ un resoconto delle attività?
Premetto che il Lirico di Cagliari, pur ricevendo meno risorse in base ai criteri di erogazione del FUS, non è penalizzato. Per i finanziamenti c’è una correlazione esatta, considerando che i fondi del Fus si muovono anche in rapporto al personale in pianta stabile, agli organici. È ovvio che il teatro lirico di Cagliari sotto questo aspetto sia una delle più piccole – ci segue solo il teatro di Trieste, – per numero di dipendenti. A fronte di questi riparti, credo siamo una delle realtà più virtuose avendo all’attivo ormai 5 bilanci consecutivi a pareggio pur a fronte di minori entrate. Detto questo, le evidenzio anche che ne sono testimoni i sindacati, perché in questi anni non abbiamo ridotto ne’ personale ne’ attività, nonostante abbiamo registrato minori contribuzioni, parlando complessivamente, e considerando che l’atteggiamento anche a livello di amministrazioni locali è stato quello del contenimento delle spese in un momento di crisi complessiva del Paese e della regione. I nostri risultati economici sono andati in maniera inversamente proporzionale ai contributi ricevuti. Questo è il dato oggettivo. Al momento non vigono criteri di premialità nel sistema Fus. È pur vero che la nostra gestione “virtuosa” è stata oggetto di attenzione governativa lo scorso anno, avendo ricevuto il maggior riparto concesso dai fondi extra FUS (per l’esattezza 5mln e 200mila euro). Si è trattato di una contribuzione al massimo livello che ci ha permesso di abbassare l’indebitamento patrimoniale ereditato. L’attenzione per le realtà virtuose c’è stata, anche se purtroppo questo fondo è stato recentemente estinto (era una ripartizione triennale della finanziaria dello scorso anno); per motivi di crisi è stato evidentemente dirottato sulla contribuzione complessiva del Fus. L’apertura di un discorso sui “meritevoli” c’era stata. I numeri non sono opinabili, sono dati oggettivi. In ogni caso, una gestione sana e improntata alla economicità dovrebbe essere la normalità.
A proposito della riforma delle fondazioni liriche annunciata alla fine dello scorso anno dal ministro Bondi. Che ne pensa? Cosa è cambiato dal 1998 in poi, dopo la riforma Veltroni che ha trasformato i teatri lirici in fondazioni?
La problematica è complessa e richiede il concorso delle professionalità più varie. Nessun ha la bacchetta magica o la soluzione delle problematiche pronta per l’uso. Ho avuto l’impressione che negli anni trascorsi, non proprio quelli recenti, è venuto a mancare una sorta di controllo sulle attività delle fondazioni. Probabilmente perché questo meccanismo, che si è avviato intorno al 98-99, ha evidenziato nuovi modelli di gestione che hanno avuto modo solo in itinere di rispecchiare pregi e difetti di una fondazione di diritto privato.
Potrei sbagliarmi ma in sostanza ho l’impressione che sia mancato un monitoraggio, ci sono state indulgenze che hanno fatto sì che i debiti delle fondazioni lievitassero di anno in anno, cosa che si poteva evitare con interventi immediati di controllo e correttivi che sarebbero anche in essere per legge. O probabilmente non si è trattata neanche di indulgenza ma di un modus operandi. Si è visto, invece, che il privato (è previsto un intervento economico in termini di donazioni) entra poco a sostegno nelle realtà delle fondazioni liriche, e solo in alcune realtà geograficamente ed economicamente più evolute. Si è evidenziata infine una crisi del modello. Oggi, a distanza di 10 anni, la situazione appare più chiara, e, considerando i cambiamenti economici negli ultimi anni, si sente fortemente una esigenza di controllo di gestione all’interno degli stessi organismi, di chi ha la responsabilità di dirigere questi meccanismi. Il modello di legge che si sta predisponendo ha qualche elemento di positività, forse anche più di uno, perché punta molto sul ruolo dei sovrintendenti e configura responsabilità precise (che già sarebbero in essere ma che si vanno ulteriormente a rimarcare).
Sono d’accordo sull’intervento in una situazione che si rivela essere mal gestita: se un teatro non va bene per anni consecutivi è necessario fermarsi per capire e cambiare management.
Oggi l’economia non è più capace di compensare e riappianare i “buchi”. Devono esistere modelli che, pur affidati al pubblico, abbiano una mentalità assolutamente privatistica nella gestione. Il discorso è complesso, ma il nodo del problema è questo. Oggi la situazione del Lirico di Cagliari – teatro di medie dimensioni – è un modello che ha dato risultati apprezzabili perché ha utilizzato questo tipo di gestione. Le attribuzioni economiche sono definite e i conti devono quadrare. Inoltre, occorre sicuramente avere delle professionalità forti all’interno dei teatri.
Allo stato attuale, infatti, l’economia non consente più il soccorso sistemico di questo mondo. E allora il “costume” inizia a cambiare. Non dico che in passato ci sia stato un atteggiamento intenzionalmente inefficiente e negativo, ma faceva parte di un modo di pensare. Oggi le parole d’ordine sono attenzione e rigore verso la cosa pubblica”. È un dato di fatto che sta permeando tutti i settori. La difficoltà è quella di rendere compatibile sia qualitativamente che quantitativamente valido il nostro discorso. Quando sono arrivato qui a Cagliari 5 anni fa, la sfida più grande non era solo quella di riappianare l’indebitamento – 26 mln di debito patrimoniale, ora siamo scesi a 15 mln – ma anche quello di non mortificare la produzione, le maestranze ed il territorio. Nel 2003 questo teatro aveva ricevuto le maggiori attribuzioni economiche e, per contro, fu l’anno in cui si era maggiormente indebitato. Noi abbiamo fatto una politica diversa nei fatti. A fronte di minori attribuzioni economiche abbiamo risposto con una sana e costante politica di gestione. Tenga conto che solo nel 2006 il Lirico ha perso nel riparto dei Fus 3 mln di euro. A fronte di minori entrate siamo riusciti a mantenere una gestione che è andata a pareggio e non ha mortificato l’attività artistica. Oggi, nel 2009, il Lirico ha perso altri 2 mln di euro. Non per questo, però, abbiamo ridotto la programmazione né tagliato posti di lavoro ma abbiamo semplicemente rimodulato l’offerta culturale. Abbiamo così cambiato titoli d’opera di aperturta e di chiusura, ma non avvilito la produzione né qualitativamente né quantitativamente. Abbiamo operato su economie gestionali: non c’è un solo aspetto della procedura gestionale del teatro, dei processi formativi, costitutivi di un titolo di un’opera, che non sia passato più volte al setaccio per ogni singola voce di spesa.
È fondamentale poi che la professionalità sia forte all’interno di questi teatri. A cominciare dai direttori di produzione, amministrativi, degli allestimenti scenici o artistici: tutti devono essere professionisti di alto profilo e mostrare trasparenza di gestione. Avere un buon direttore di produzione, per esempio, significa anche economizzare su molte fasi produttive. Non rinunciando, chiaramente, a gratificare i dipendenti sottraendosi dal riconoscimento di quando e come dovuto.
Le faccio un altro esempio della nostra gestione che ci ha permesso di risparmiare in termini economici. A Cagliari, la stagione lirica iniziava a fine gennaio e finiva a fine luglio. Abbiamo capito di dover modificare questa “tradizione”. A Cagliari, il 1° maggio, si volge la festa religiosa più grande della Sardegna, un grande evento paragonabile al Sant’Ambrogio a Milano, con una enorme valenza culturale e storica nonché di attrazione turistica. Abbiamo spostato a fine aprile l’inizio della stagione lirica e di balletto per farla coincidere con questa festa, portandola a concludersi a fine dicembre, sia per legare l’evento di apertura al momento di maggior affluenza turistica nella città ma anche per poter inaugurare e spendere fondi per la produzione del titolo di apertura avendo a disposizione già le prime rate contributive del Fus, della Regione e del Comune. Iniziamo a lavorare quindi con energie economiche “fresche” non ricorrendo alle anticipazione bancarie. È una situazione che in un anno ci ha visto risparmiare molto: un importo tra i 400 e i 500mila euro d’interessi passivi. Abbiamo poi predisposto anche un’offerta lirica in autunno, una proposta che prima non c’era, raccogliendo un’utenza anche diversa da quella più tradizionale, per esempio del settore del turismo congressuale (la città di Cagliati sta investendo molto in questo comparto turistico, anche allo scopo di destagionalizzare).
Per continuare con qualche altro dato, la campagna abbonamenti 2009 ha registrato oltre mille abbonati in più nuovi rispetto al 2008. Sotto quest’ultimo aspetto, siamo secondi – solo al teatro Regio di Torino – contando oltre 11mila abbonati, stagione lirica e concertistica (su un territorio regionale che conta complessivamente non oltre 1.500.000 abitanti). Segnalo che il costo dell’abbonamento è molto “politico” quindi non ha una grande incidenza economica per noi ma è un fatto apprezzabile dal punto di vista sociale, rendendo il teatro parte integrante della vita cittadina e regionale.
Dopo le dimissioni del presidente Vergnano, del Regio di Torino, e a metà gennaio di Ernani (Opera Roma) e Giambrone (Maggio Musicale), com’è la situazione all’interno dell’Anfols?
È certamente una situazione di crisi epocale del sistema, sono presenti situazioni di conflittualità. Da tempo si registravano posizioni diversificate rispetto alla politica gestionale complessiva ma anche rispetto alla politica del governo e dei sindacati. Non si è più verificato un momento di sintesi forte rispetto alle politiche unitarie, anche meritatamente al rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro. Poi il fatto che siano uscite alcune tra le più importanti fondazioni liriche certamente indebolisce l’azione dell’Anfols. Penso che forse si sarebbe dovuto procedere al suo commissariare in questo momento, per poi riprendere un discorso di maggiore coesione e forza. Bisognerà capire cosa succederà in sede legislativa e di rinnovo del contratto nazionale.
Si può comprendere – e lo può evincere anche da mio personale atteggiamento – che ognuno cerca di fronteggiare la crisi dal canto proprio. Anche io sto agendo un po’ da “isolano”. Ho tarato per il 2009 una “finanziaria interna”, un piano d’intervento, condiviso dai sindacati, considerando le entrate previste. Non può essere chiaramente una gestione ordinaria ma è un modo, a mio avviso, di gestire l’emergenza. Speriamo che, nel breve, ci sia qualcosa che ci indichi una strada di ripresa collettiva e di fare sistema.
Una proposta della riforma era quella di attribuire maggiore rilevanza in termini economici alla Scala e all’Accademia di Santa Cecilia. Lei pensa sia una buona idea?
Mi rendo conto che una fondazione come quella della Scala debba avere una piena autonomia gestionale. Talvolta quello che può essere utile e opportuno per la Scala non si può dirsi altrettanto per gli altri. C’è però da considerare che senza il motore Scala potrebbe venir depotenziato tutto il sistema delle fondazioni liriche.
Ha parlato di commissariamento e l’idea va direttamente al teatro dell’Opera di Roma. Per la gestione del teatro nell’era dopo Ernani si è anche fatto il suo nome come successore …
Sono lusingato di questa considerazione. È probabile che ci sia un’attenzione al “modello” Cagliari che ad oggi ha funzionato bene.
Previsioni per il 2010 per il Lirico di Cagliari?
Pensando al prossimo anno, abbiamo preso in considerazione i dati storicizzati considerando la peggiore delle ipotesi possibili in quanto ad attribuzioni economiche. Cerchiamo di guardare con ottimismo una situazione molto complessa che richiede un equilibrio oggettivamente non sempre possibile tra tanti fattori. A breve, si stilerà il bilancio consuntivo 2008, ed il bilancio previsionale per il 2010 sarà a dicembre. Dovremmo essere in grado, seppur con aleatorietà e criteri di prudenza assoluta, di poter affermare che il 2010 si configurà con le stesse risorse del 2009, sempre confidando comunque in un aumento delle contribuzioni. Nel frattempo, abbiamo rimodulato l’offerta con interventi di natura tecnica per poter sopravvivere a questo “terremoto”, non penalizzando la produzione né i lavoratori. Per questo abbiamo cercato, per esempio per l’anno in corso, delle opzioni diverse, attingendo alla produzione artistica all’estero e producendo in questa stagione solo un allestimento in luogo dei due soliti, come nelle altre Stagioni.
Per il titolo di apertura quest’anno abbiamo puntato su SEMËN KOTKO, opera di Sergej Prokof’ev. È questa una coproduzione realizzata con il prestigioso Teatro Mariinsky di San Pietroburgo. Per la chiusura, invece, abbiamo scelto LA BOHÈME, produzione realizzata sempre regime di collaborazione con il Badisches Staatstheater di Karlsruhe.
Per la qualità e il carattere innovativo della sua programmazione, il Teatro Lirico di Cagliari ha ricevuto nel 2001 il Premio “Franco Abbiati” (sezione “Iniziative”). Il prestigioso riconoscimento della critica musicale italiana è stato, inoltre, attribuito a Denis Krief e Marcelo Alvarez per Lucia di Lammermoor e a Stephen Medcalf per Carmen: entrambe le opere sono state prodotte dal Teatro Lirico di Cagliari, rispettivamente nel 2000 e nel 2005.
Certamente i riconoscimenti fanno piacere perché gratificano tutti i lavoratori del teatro, indipendentemente dai ruoli svolti. Mi piace l’idea di un teatro improntato al “sano artigianato”, che produca spettacoli “eleganti” e “puliti”. Per questo, ribadisco che il fondamento è la presenza di professionalità di alto livello ed il riconoscimento del valore delle maestranze. La qualità della produzione artistica, a mio avviso, migliora solo con la garanzia di continuità e di stabilità per i lavoratori. Così si crea e tutela l’alta specializzazione. Personalmente, oltre ad apprezzare i riconoscimenti conferiti, sono felice che il mio lavoro possa contribuire a dare qualità al teatro. Questo è l’obiettivo che voglio perseguire, in qualunque teatro mi troverò a lavorare.