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Intervista a Barbara Ferriani – restauratrice di arte contemporanea
Recentemente in Italia, in ritardo rispetto al resto d’Europa, la conservazione dell’arte contemporanea è diventata nuovo campo di formazione e attività cui dare attenzione. Nonostante il relativo ritardo accumulato, non mancano però anche nel nostro Paese delle professionalità sviluppate che si occupano di questo comparto del restauro già da molti anni.
Barbara Ferriani, restauratrice privata di Milano, ha un’esperienza lunga e di grande interesse fatta di ricerca, studio, didattica e interventi di restauro su opere diverse e importanti. Tafter, a questo proposito, le ha rivolto alcune domande, che meglio aiutino a spiegare la specificità di questa professione…
Si parla sempre di più di “restauro del contemporaneo”. Che cosa vuole dire esattamente intervenire su opere d’arte contemporanea?
Nel XX secolo si è assistito alla comparsa di tipologie e pratiche artistiche profondamente differenti, sia nei materiali sia nel significato, da quelle tradizionali. Prodotti commercializzati per altri settori, materiali seriali, degradabili ed effimeri hanno affiancato i medium tradizionali, mutando profondamente il linguaggio artistico.
Si sono dilatati i confini tra il mondo della non-arte e dell’arte e l’atto di selezione, di designazione e di ricontestualizzazione ha sostituito a volte il concetto stesso di materia. Conservare questo patrimonio diventa sempre più difficile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per garantirne la trasmissione al futuro richiede continui approfondimenti. Le opere, spesso nate per altri contesti, entrando nelle collezioni museali rischiano di perdere la connotazione originale, di essere “congelate”, oppure “reinterpretate” da chi deve conservarle. Per evitare che ciò avvenga è importante individuare i criteri che ci devono guidare nel progettare la loro conservazione e il parere dell’artista può aiutarci a non incorrere in fraintendimenti ed errori di valutazione.
Sono tanti anni che lavora in questo settore, qual è la sua esperienza?
La mia attività di restauratrice di arte antica è iniziata alla fine degli anni ’70 e quando, circa 15 anni fa, ho iniziato a lavorare sull’arte contemporanea mi sono resa conto che il patrimonio di conoscenze acquisito era basilare per affrontare le nuove problematiche, ma non sufficiente. Il lavorare a stretto contatto con studiosi, il confronto con altre realtà che operavano sulle stesse tipologie di manufatti e il continuo aggiornamento sono stati fondamentali. Mi sono resa conto che la ricchezza di un restauratore risiede non solo nelle sue capacità tecniche ma anche nella metodologia che gli permette di arrivare a progettare un intervento avvalendosi di tutte le conoscenze disponibili e dell’apporto di diversi saperi e competenze.
Secondo lei cosa dovrebbe accadere in Italia affinché si inizi a parlare di conservazione dell’arte contemporanea come di una disciplina autonoma?
Sebbene in Italia negli ultimi anni siano state avviate esperienze molto interessanti, le conoscenze acquisite sinora non sono sufficienti a risolvere i problemi posti dalla conservazione delle nuove tipologie d’arte. E’ indispensabile creare una rete di scambio tra tutti quelli che sono coinvolti nella conservazione dell’arte contemporanea per permettere non solo di acquisire tutte le indicazioni sulle modalità che consentiranno di preservare le opere senza alterarne i valori fondanti, ma anche di condividere le conoscenze relative ai nuovi materiali utilizzati. Spesso ai restauratori viene, infatti, richiesto di condurre trattamenti senza che siano disponibili le informazioni non solo sulla natura dei materiali costitutivi delle opere ma anche sul loro comportamento nel tempo e a seguito dei trattamenti conservativi. Poiché le risorse a disposizione sono molto limitate e i fondi destinati alla ricerca quasi del tutto assenti, l’unica possibilità che io intravedo perché questa disciplina possa progredire risiede, al momento, nella capacità che avranno gli operatori di scambiarsi le informazioni e di condividere le esperienze maturate singolarmente.