DamienHirstNel 2006, anche grazie alle straordinarie aggiudicazioni all’asta di tutto il mondo, si accese l’attenzione mediatica intorno all’arte contemporanea. Il valzer delle cifre al rialzo sembrava quasi uno spettacolo autosufficiente; l’arte contemporanea, sino ad allora incomprensibile e lontana, sembrava essersi sdoganata per aprirsi ad un pubblico di massa, tanto popolare da apparire un’ulteriore branchia dello show business. I nomi di Hirst, Koons, Manzoni, Fontana, e tanti altri, iniziarono a meritarsi l’attenzione dei quotidiani e dei telegiornali generalisti, le loro quotazioni erano ben più eloquenti dei loro lavori, alla gente sembrava bastare, e in breve fu arte mania.
In quell’anno, all’interno di agenzie turistiche comuni – agenzie dove solitamente si comprava il pacchetto vacanze per Zanzibar o per Ibiza – era possibile acquistare anche il pacchetto integrato Biennale, Documenta e Skulptur Projekte di Münster. Improvvisamente il mondo scopriva, diffusamente, il piacere dell’arte di oggi e tutti sembravano disposti ad investire, chi del denaro, chi del tempo, in questo promettente settore. Una rivoluzione di costume in cui l’escalation di conferme delle quotazioni finanziarie trainava l’affermarsi culturale dell’arte contemporanea verso  un vasto pubblico.
Non possiamo fare a meno di constatare che da quella ubriacatura collettiva le cose siano sensibilmente cambiate. Dopo il picco, fatto segnare nei movimenti del mercato finanziario dell’arte del 2006, le tendenze si sono invertite con avvisaglie di quello che sarebbe accaduto di lì a poco: una flessione costante delle aggiudicazioni e una riduzione degli scambi. Nel 2008 – secondo semestre – si è segnalato un crollo degli indici di mercato con  un inevitabile ritorno ai livelli pre Artistar. Le televisioni hanno così  nuovamente taciuto sulle “bizzarrie” dell’arte e quella che sembrava essere l’era di inizio dell’arte per tutti era destinata a ridimensionarsi notevolmente. Il 2009 però ha dato dei segnali  inequivocabilmente chiari attorno all’arte contemporanea, da leggere con estrema cautela, ma che sono la cartina tornasole di un mutamento in atto. L’Art World sta cambiando pelle, o forse si sta strutturando capillarmente come tessuto culturale e sociale; un fenomeno allargato e non solo economico, un settore ancora fortemente frainteso, ma in grado di attrarre interesse. 
Stando ai dati di affluenza alla Biennale veneziana appare palese un interesse entusiastico e allargato del pubblico per l’arte, a prescindere da quelli che sono gli indici di mercato e le aggiudicazioni faraoniche. L’analisi dell’anno appena trascorso mostra delle variazioni interessanti all’interno del sistema dell’arte contemporanea, variazioni che servono anche a fornirci una lettura dello stato di salute attuale del mercato dell’arte e dei mutamenti che questo sta subendo nel periodo di crisi. Ad un’economia finanziaria dell’arte, fatta dagli artisti e dalla vendita dei loro lavori, va affiancandosi un’economia diffusa dell’arte, in cui valori quali la condivisione, la comprensione e l’approfondimento, vanno sostituendosi a piani d’investimento e indici di crescita.
Una nuova economia, capace di generare business e cultura si fa largo dalle ceneri del mercato urlato e sopravvalutato. L’annuale lista di ArtReview sulle figure più influenti nel mondo dell’arte di questo 2009 riflette in modo esplicito questi cambiamenti. I grandi protagonisti degli anni appena precedenti come Hirst o Larry Gagosian, sono stati scalzati da altre figure al vertice di questa speciale classifica, come il curatore svizzero Hans Ulrich Obrist, art writer e promoter, nonché direttore della Serpentine Gallery di Londra, che è passato dalla 35ma posizione del 2008 alla numero uno del 2009. Obrist si è affermato attraverso un metodo d’indagine del tutto personale e ha sempre privilegiato l’approfondimento e la ricerca alla corsa dei prezzi. Grande estimatore dei protagonisti meno acclamati  del mondo dell’arte, come le piccole gallerie, che  ha ripetutamente dichiarato essere importanti tanto quanto le grandi istituzioni, Obrist può considerarsi l’emblema di una curatela più relazionale e meno spettacolare. L’attenzione di una rivista non certamente indi, come ArtReview,  ha portato, nel caso di Obrist, alla luce tutto il sistema formativo che precedentemente, era obliato dalle luci della ribalta dell’Art World. C’è un interesse crescente verso  tutti quei luoghi e spazi che solo qualche anno prima, erano considerati liminali rispetto alle ricche istituzioni e gallerie. Riviste specialistiche, gallerie, fondazioni e quant’altro, hanno cominciato a scrutare quel sottobosco indipendente e vivace composto da gruppi curatoriali, spazi non profit per l’arte e artisti indipendenti. Sono venute a definirsi situazioni ibride in cui progetti sperimentali e a basso budget sono, se non  appoggiati, quanto meno tenuti da conto, da quei vecchi attori del circo mediatico delle Artistar. Le scelte di alcuni immobiliaristi newyorchesi di affidare i loro spazi sfitti a gruppi non profit a titolo gratuito per un arco di tempo definito – come ad esempio si è verificato a Chelsea dove X-Initiative e Exibition 211 hanno avuto la possibilità di lavorare in spazi senza pagarne l’affitto – oltre a destare interesse, dimostra che l’arte, anche quella non di mercato, è in grado di creare valore economico, o quantomeno di mantenere valore. L’attività degli spazi non profit ha garantito, per tutto il 2009, il valore degli immobili impedendone una svalutazione dovuta all’incuria.