Settimane tumultuose per il comparto delle comunicazioni in Italia: dopo l’approvazione in Senato del decreto Milleproroghe, anche il decreto legislativo riguardante Internet, televisione e pubblicità (il cosiddetto “decreto Romani”) ottiene il via libera del Consiglio dei Ministri. Le due misure, sebbene con caratteristiche diverse, tracciano una linea comune con contraccolpi che si ripercuotono sulle realtà più deboli del settore mediatico ed, inevitabilmente, sulla questione della pluralità d’informazione.
11 articoli e 77 commi costituiscono il decreto Milleproroghe, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre scorso e al cui interno si rimanda ai settori più disparati: si va dalla proroga dello stop ai versamenti di imposte da parte della popolazione abruzzese, alla proroga al 2011 per l’inserimento delle impronte digitali sulla carta d’identità degli italiani, da quella per la commercializzazione dei prodotti omeopatici a quella che riapre i termini dello Scudo Fiscale.
Tra tutte, la proroga riguardante i tagli all’editoria è stata quella che ha destato maggiori preoccupazioni e che ha messo a repentaglio la vita di centinaia di testate, per lo più di cooperative, no profit, organi di partito ecc..
Dopo il “sì” al provvedimento della Camera il 24 febbraio, il giorno successivo, con una assemblea lampo, è arrivato anche quello del Senato: con 134 voti a favore, 99 contrari e 4 astenuti, il decreto è infatti diventato legge e si appresta, come già hanno dichiarato in molti, a fare la felicità di avvocati e giuristi ingaggiati dagli organi finiti sotto la scure dei tagli all’editoria.
Ripristinati infatti i contributi inizialmente non previsti per i giornali di partito, non profit e cooperative, i colpi più duri sono arrivati per le emittenti radiotelevisive locali e per l’editoria all’estero.
La norma infatti sancisce che, a decorrere dal 2009 (con carattere dunque retroattivo) tv e radio locali non potranno più usufruire delle riduzioni previste per il settore: riduzioni che riguardano ad esempio le spese telefoniche, quelle elettriche e i canoni delle agenzie di informazione radiotelevisive.
L’associazione di categoria Aeranti-Corallo, preso atto di tale disparità di trattamento tra testate locali e gli altri organi di informazione, ha quindi intrapreso un’azione di protesta volta ad un possibile  rinvio alle Camere della norma da parte del Presidente della Repubblica. Proteste che naturalmente si aggiungono a quelle di altre società di emittenza radiotelevisiva locale, le quali rischiano un tracollo definitivo dopo le difficoltà già affrontate con il passaggio al digitale terrestre.
Sul pianeta dei media audiovisivi, inoltre, un’altra norma si appresta a scatenare polemiche: il cosiddetto “decreto Romani”, che ha già avuto un iter di approvazione difficoltoso proprio a causa delle controversie suscitate nella sfera multimediale.
Il testo attua in Italia la Direttiva europea sui media audiovisivi e prevedeva, nella sua stesura iniziale, la richiesta, da parte di chiunque volesse aprire uno spazio d’informazione sul web, di un’autorizzazione ministeriale. Dopo le critiche espresse al riguardo soprattutto dal Presidente dell’AgCom, Corrado Calabrò, che aveva definito il testo “restrittivo e inefficace”, il decreto è stato revisionato e approvato in via definitiva il 1° marzo scorso, specificando come non tutti i siti web dovranno richiedere un’autorizzazione, ma solo quelli in diretta concorrenza con le realtà audiovisive: sono quindi esonerati blog, giornali on-line e motori di ricerca, mentre nulla è ancora certo per quei siti, come Youtube, che prevedono al loro interno canali di video interattivi.
Tra tagli, finanziamenti, nuove norme e proroghe servirà quindi del tempo per capire, a conti fatti e dati alla mano, chi si sarà salvato e chi sarà riuscito ad aggirare gli ostacoli burocratici connessi. Speriamo solo che le vittime non siano numerose e che la pluralità di informazione, per quanto ferita, non muoia definitivamente.