cinema1Storia lunga e tortuosa quella dei finanziamenti pubblici al settore cinematografico che porta con sé ricordi offuscati di famigerate pellicole d’autore, immagini vivide di autentici insuccessi e casi (numerosi) di saccheggiamenti veri e propri da parte di cineasti il cui entusiasmo per la realizzazione dei propri film risulta solitamente essere inversamente proporzionale alla bramosia di denaro pubblico.
Una storia che ha inizio nell’ormai lontano 1965, anno in cui venne istituita la famigerata legge 4 novembre, n.1213 denominata “Nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia”. 
All’interno della normativa, in vigore fino al 1994, l’articolo 28 istituiva un ‘Fondo particolare’ da utilizzare per la concessione di finanziamenti “a film ispirati a finalità artistiche e culturali con una formula produttiva che preveda la partecipazione ai costi di produzione di autori, registi, attori e lavoratori.” Lo Stato, quindi, poteva destinare alle pellicole ritenute meritevoli, un mutuo a tasso agevolato, assistito dal fondo di garanzia, in misura pari al 90 % dell’importo massimo ammissibile: fu proprio in quel trentennio che fiorirono, grazie agli aiuti previsti, i film più disparati: da Ecce Bombo di Nanni Moretti a Cattive Ragazze di Marina Ripa di Meana, per non parlare dei sette finanziamenti (e nessun film uscito) al regista Giampaolo Santini o dei tre nell’arco di due anni (1996-1997) a Pupi Avati.
Nel 1994 si ritengono quindi necessari, con l’emanazione di un decreto poi convertito in legge, i cosiddetti “Interventi urgenti a favore del Cinema” per cercare di combattere l’assoluta arbitrarietà con cui venivano fino a quel momento stanziati i fondi pubblici alle opere filmiche. Solo 20 film l’anno potranno ricevere finanziamenti dal Ministero.
Nel 2004 la storia si ripete: la Corte dei Conti nella sua relazione sul rendiconto generale dello Stato, reclama la restituzione dei finanziamenti, rientrati solo per una minima parte al Ministero per i Beni e le Attività culturali. Il Fondo di garanzia viene così cancellato e vengono apportate ulteriori modifiche attraverso le Legge Urbani: i criteri di accesso ai finanziamenti diventano più rigidi, il contributo del 90% viene mantenuto solo per le opere prime e seconde, mentre scende al 50% per tutte le altre realizzazioni. Grande novità è l’introduzione, dovuta all’esempio americano, del “product placement”, pubblicità a pagamento autorizzata all’interno dei film di produzione italiana.
È il 2008, però, a segnare il definitivo passaggio dai mutui con gli istituti di credito al contributo diretto emanato dal MiBAC: il Ministero diventa in questo caso detentore di una parte dei diritti di sfruttamento dell’opera che il produttore può riacquisire restituendo allo Stato l’intera somma stanziata. È in quell’anno, inoltre, che vengono autorizzati dalla Comunità Europea i decreti relativi al “tax shelter” e al “tax credit”, rispettivamente detassazione degli utili e credito d’imposta a favore dei produttori cinematografici.
Il sostegno statale alle opere filmiche è garantito inoltre dal Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), istituito nel 1985, il quale per l’anno 2008 è stato di circa 90 milioni di euro, 69 milioni per il 2009 e 76 milioni da poco annunciati per il 2010.
Una somma non paragonabile a quella di altri paesi europei, come ad esempio la Francia, che mette a disposizione del comparto fondi di circa 8 volte superiori accumulati grazie a somme provenienti da biglietti del cinema, dvd e tv commerciali e dirottate nel settore cinematografico di qualità.
L’irrisorietà della somma stanziata per il settore culturale in genere e per il cinema in particolare, è però solo una parte del problema: capire a chi giungono i finanziamenti è l’altro capo della questione.
Nell’inchiesta Grandi Appalti del G8 è venuta infatti allo scoperto un’intricata matassa di relazioni clientelari, di promesse, di premi e di fondi concessi a opere cinematografiche che non solo non riuscivano ad incassare nemmeno la stessa somma del finanziamento ottenuto ma che, molto più spesso, non venivano neppure realizzate.
Film come “Last minute in Morocco”, per la regia di Francesco Falaschi, hanno ottenuto nel 2006 contributi di oltre 1 milione e 800 mila euro a fronte di un incasso al botteghino di soli 350 mila euro, così come “L’ultimo Capodanno” di Marco Risi, finanziato per 1 milione 300 mila euro riuscì a guadagnare nelle sale poco più che 95 mila euro.
Denaro che esce dall’Ente Cinema del MiBAC e che mai più vi rientra, causando perdite che vanno a ripercuotersi di anno in anno negli stanziamenti alle opere future. Al proposito, e per calmare gli animi agitati degli operatori cinematografici, il ministro Bondi ha dichiarato che rivedrà personalmente i criteri del finanziamento al cinema che sono stati, “fin’ora poco trasparenti e hanno dato adito a finanziamenti non giustificati”. L’idea sarebbe quella di rimettere il tutto in mano ai privati con i contributi pubblici a favore delle sole opere prime dei registi giovani ed emergenti.
Nessun mutamento si può ancora dare per definitivo e tutte le decisioni dovranno passare al vaglio della Commissione per la cinematografia e poi incontrarsi/scontrarsi con gli addetti ai lavori: la scelta non sarà rapida, ma neppure indolore.

Fonti dati:
Legge n. 1213 del 4 novembre 1965
Legge n.153 del 1 marzo 1994
Decreto Legislativo n 28 del 22 gennaio 2004
Relazione 2008 della Direzione Generale per il Cinema