Durante i dodici mesi trascorsi dalla notte del 6 aprile, la chiesa delle Anime Sante ubicata nel centro storico de L’Aquila è diventata il simbolo di una città distrutta le cui ferite, ancora aperte e ben visibili, stentano a rimarginarsi. Ma la chiesa delle Anime Sante è soprattutto il simbolo dello stato di precarietà che minaccia il vasto patrimonio culturale presente sul territorio colpito dal sisma. Le cifre da sole sono sufficienti a mettere in evidenza lo sforzo necessario – in termini di tempo e di risorse finanziarie – per il recupero dei beni artistici e architettonici della città. Secondo le stime fornite da Luciano Marchetti, vicecommissario della Protezione Civile con delega ai beni culturali, ammonta a 3,5 miliardi di euro il costo degli interventi che è indispensabile attuare per mettere in salvo monumenti, chiese e palazzi storici, cifra destinata a raggiungere i 10 miliardi di euro se si estende il raggio d’azione all’intero patrimonio edilizio. Per la rimozione delle macerie occorrono almeno due anni, mentre per la ricostruzione di anni ne servono addirittura dieci.
Date le premesse appare chiaro che affinché L’Aquila e il suo centro storico possano recuperare la loro identità e tornare ad essere il cuore pulsante della vita cittadina, due fattori risultano essere decisivi: la presenza di persone capaci e competenti ed una grande serietà, serietà nei criteri di aggiudicazione delle gare d’appalto e serietà nelle modalità di esecuzione dei lavori. E’ quanto chiede anche il Consiglio superiore dei beni culturali, il quale ha presentato una mozione per chiedere che si stabiliscano “subito criteri condivisi per la rimozione delle macerie dal centro storico aquilano”, oltre a sottolineare l’importanza di una “selezione attenta delle ditte chiamate al ripristino dei beni culturali colpiti dal terremoto”. Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera fa notare come “la legge attuale permette che una qualsiasi impresa partecipi a una gara, anche se priva dei requisiti tecnico-scientifici necessari”, rischiando di affidare i lavori a personale non qualificato. Così Giovanni Chiodi, presidente della Regione Abruzzo nominato commissario delegato per la Ricostruzione, ha fatto sapere che la supervisione sullo smaltimento delle macerie è stata affidata ai tecnici della Direzione Regionale dei beni culturali e architettonici dell’Abruzzo. Compito principale della Direzione regionale è, quindi, quello di individuare e separare dai resti raccolti nei luoghi colpiti dal terremoto, decorazioni, stucchi, materiali lapidei o erratici, al fine di catalogarli e preservarli in vista di una futura ricostruzione.
Se l’imperativo è “fare presto” per evitare che le intemperie e gli agenti atmosferici danneggino ulteriormente un patrimonio già fortemente provato, le difficoltà legate al reperimento delle risorse necessarie al recupero dei beni culturali ed architettonici rappresentano un ulteriore ostacolo da superare in questa lotta contro il tempo. Delle donazioni promesse dai grandi della Terra durante il G8 che si è tenuto a luglio proprio a L’Aquila, hanno mantenuto fede alla parola data solo la Francia, che ha stanziato 3,2 milioni di euro per il restauro della chiesa di S. Maria del Suffragio; la Germania che ha devoluto 3 milioni di euro per contribuire al recupero della chiesa di San Pietro apostolo di Onna; la Russia, che con un contributo di 7,4 milioni di euro finanzia parte dei lavori di recupero di Palazzo Ardinghelli e della chiesa di San Gregorio; ed il Kazakistan che ha messo a disposizione 1,5 milioni di euro per restaurare la chiesa di San Biagio in Amiternum. Il Ministero per i Beni e le attività culturali è riuscito a raccogliere fondi solo per 16 monumenti dei 44 individuati subito dopo il sisma, e i 20 milioni di euro assegnati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – destinati molto probabilmente a diventare 50 – rischiano di essere troppo pochi rispetto alle reali esigenze del territorio.
Escludendo le 4.950 opere d’arte salvate dai volontari di Legambiente ed alcuni rari casi di chiese rese parzialmente agibili, la situazione a L’Aquila e dintorni ad un anno dal terremoto non presenta sostanziali cambiamenti. La sola speranza che resta è che L’Aquila non diventi l’ennesima anomalia italiana, ma che coloro che hanno il compito di dirigere la sua ri-nascita abbiano il coraggio di assumersi la responsabilità di agire affinché tale ri-nascita accada.