“La città, la propria anima, le sue luci”, titolava Andreas Schäfer sulla “Tagesspiegel”. “Centomila visitatori si avviano a vivere una lunga notte nella capitale del teatro. Accade solo qui.” Un numero speciale solo per la seconda edizione della “Lange Nacht der Opern und Theater”.
Sabato sera 10 aprile 2010, a partire dalle 19 fino a notte inoltrata, si è svolta a Berlino, la Lunga Notte dell’Opera e del Teatro, una grandiosa premiere a cui hanno partecipato 68 tra i più importanti palcoscenici della città, per presentare le ultime produzioni, gli artisti, i registi e i programmi in esclusiva per i partecipanti alla lunga notte. L’evento si è aperto alle 18.00 a “Platz des 18.März” – presso la Porta di Brandeburgo – con il discorso inaugurale del “Kulturstaatsekretär” di Berlino, Andrè Schmitz. Dalle 19.00, ogni ora, un piccolo spettacolo nello spettacolo, educativo, intelligente, coinvolgente. Verso l’una, l’evento finale: tutti invitati al party di chiusura, presso il Volksbühne am Rosa-Luxemburg-Platz, grande cinema teatro di Berlino est, trasformato per l’occasione in un grande palco per ospitare il proprio pubblico.
Continuamente “in Tour”. Berlino ha presentato i propri teatri e artisti al mondo intero. Il programma invitava a lasciarsi condurre nell’anima della città che conosce molte “lunghe notti”, quella dei musei, della musica, della letteratura, da quest’anno anche quella della scienza in occasione dei trecento anni di attività della Humboldt Univerität. La prima edizione, lo scorso anno, era già stata un successo, con più di ventimila biglietti strappati e i 46 teatri partecipanti. Quest’anno il programma si è arricchito di altri 22 partecipanti, tra cui anche i famosi “Showpaläste” berlinesi, l’”Admiral” e il “Fridrichstadt”, presentando le conferme e invitando a scoprire le novità.  Chi pensa che la cultura sia solo un investimento a perdere, si sbaglia. Questa ne è una delle numerose conferme degli ultimi anni.
Il Corriere della Sera il 2 aprile 2010, dedica un articolo alla città dai 470 spettacoli e 700 mila biglietti l’anno. “Berlino rivoluziona l’opera: una fondazione per 3 teatri”. Daniel Barenboim, voce eminente della musica, della cultura berlinese e mondiale, dichiara il proprio scetticismo, preoccupato dal suo punto di vista, dell’autonomia artistica delle compagnie e dei teatri. Tutti d’accordo invece sul momento negativo, soprattutto economico per la cultura in generale e sulla necessità di sperimentare forme alternative di gestione per evitare il collasso.
La risposta berlinese al problema è stata la fondazione della “Stiftung Oper in Berlin”, una delle tante fondazioni culturali fondate e finanziate dalla città, per ottimizzare le risorse economiche e umane dei tre teatri principali – Staatsoper, Deutsche Oper, Komische Oper – e dello “Staatsballet”. Sorta di super regia d’indirizzo per i servizi all’attività teatrale della città. Nata nel 2004, la fondazione non ha in realtà portato nessuna rivoluzione. Almeno fino ad ora, non ha influenzato in nessun modo l’autonomia artistica dei singoli, ma è servita a fornire e connettere i diversi indirizzi artistici, ad evitare pericolosi investimenti e concorrenze dirette ad esempio presentando le stesse opere, in diversa edizione. Oppure fornendo un servizio di supporto in caso di ristrutturazioni e interventi necessari, che tuttavia intaccano pesantemente l’economia degli investimenti e al contempo permettano la continuazione dell’attività. Esempio? Il “vecchio” Schiller Theater, sulla Bismarkstrasse, ospita sia la Staatsoper che la Komische Oper durante le ristrutturazioni dei rispettivi teatri.
La formula per quanto riguarda Berlino sembra funzionare. “Die Welt” nel novembre 2008, denunciava il vistoso calo (in alcuni casi di oltre il 60 %) degli spettatori di tutti i maggiori teatri cittadini, mentre solo due anni più tardi, a marzo 2010, lo stesso giornale afferma: “I palcoscenici della capitale hanno sconfitto la crisi.”
La parola d’ordine, dunque, è differenziazione: il teatro in Germania, come nel resto d’Europa, non gode di ottima salute. La cultura è finanziata con ampia autonomia dai singoli “Länder” federali, gli investimenti generali si aggirano attorno all’1% del PIL, i teatri non statali operano con mezzi limitati e lamentano grossi sforzi per evitare la chiusura. E’ tuttavia una struttura generale che tiene in virtù di un pubblico mediamente affezionato che la sostiene. L’afflusso generale di persone a teatro che nel 2007 si aggirava attorno ai 26 milioni e mezzo del 2007, è passato addirittura ai 35 milioni del 2009. Segno che nonostante i mezzi limitati, ma con una programmazione attenta e più o meno unificata, la soluzione è possibile.
In Italia si discute da anni, ma non molto è stato fatto. L’aria è sempre quella da “bar dello sport”. Critiche forti alla “immobilità italiana” provengono sia da parte artistica, i vari Baricco, Zeffirelli o Muti lamentano scarsa attenzione delle istituzioni – a dispetto dei loro ingaggi milionari -, sia da parte gestionale, come Giorgio Gennari – Agis Italiafestival -, cha invece critica gli stessi artisti, troppo occupati col denaro di cinema e televisione, per scrivere in “Serie B”, anche per il teatro.
La verità è detta certamente dai fatti. La patria “storica” della cultura europea investe generalmente lo 0,16 % del Pil nel settore in generale, a fronte di una media europea dell’1,40 %, e ancor più vero, da decenni promuove, come affermato dallo stesso Gennari, un pressapochismo che “non riconosce nemmeno uno status professionale e un ruolo sociale” alla cultura. Il recente “Decreto Milleproroghe”, promuove una politica di “aiutini” generalizzati generale, che finisce per non aiutare nessuno.
In questa situazione, a fronte di una popolazione di molto inferiore rispetto alla Germania e ad un guadagno medio pro capite più basso, si rileva che gli spettatori sono passati dal dato 2003, comunque positivo rispetto all’Europa di circa 27 milioni e mezzo di spettatori, al dato, ahimè, pesantemente in calo di circa 22 milioni e mezzo del 2008, indagini Siae. Una qualche direzione e qualche misura per evitare disastri peggiori, va presa e in fretta.
Il Teatro oggi con le sue spese ingenti, i biglietti non certo a buon mercato, ma nemmeno eccessivamente cari, ha l’importante funzione di luogo di aggregazione in un orizzonte culturale ingoiato dai centri commerciali, dalla demagogia politica e la superficialità televisiva, dalla grande uniformità di cinema e letteratura. Chi va a teatro si riconosce e respira la convivialità, impara ancora qualcosa di se stesso e della propria unicità.
La “Lange Nacht” in questa ottica, propone per quest’anno e per il futuro, non solo un sollievo economico utile nei momenti difficili, ma anche un’immagine più vicina al suo pubblico, in cui mostra tante storie di vita, addirittura il quotidiano di color che “vivono” di e nel teatro, offrendo esibizioni “ad hoc”, prove generali alternate a piccoli “spezzoni” della programmazione reale. Il teatro uscito dalle proprie mura, sveste per pochi attimi i propri lustrini e punta le luci verso il proprio pubblico, mostrando qualcosa di sé, qualcosa di nuovo in un mondo ormai fatto di persone che vivono a velocità elevata e che hanno sempre meno tempo per pensare alla propria identità.