La Cow-parade è una manifestazione artistica itinerante. Fu ideata dallo scultore svizzero Pascal Knapp nel 1998. Tante città del mondo hanno ospitato l’evento, ma l’Italia, si sa, tende spesso a tempi gattopardeschi, perciò partecipiamo solo dal 2006. La mucca è la regina di questa stravagante mostra. Ma come funziona? La Cow-Parade Holdings Corporation ha l’appannaggio di marchio, prodotti e proprietà intellettuale dell’idea. Chi vuol partecipare va sul sito web www.cowparade.com e compila un form dove specifica le proprie generalità, il nome della società, le precedenti esperienze nell’organizzazione eventi. L’iniziativa è pensata per autofinanziarsi: sponsor e mecenati “adottano” una mucca e ne sovvenzionano la realizzazione, pagando l’artista o gli artisti (ognuna costa in media 1000 dollari). Le mucche “finite” vengono vendute ed il ricavato va in beneficienza. Ad oggi la Cow-parade ha raccolto e devoluto circa 20 milioni di dollari a fondazioni ed organizzazioni no-profit. In Italia dal 2006 hanno ospitato la mostra Firenze, poi Milano nel 2007 e Capri nel 2008. Ogni mucca, di vetro-resina, è disponibile in tre “pose”, in piedi, al pascolo e seduta (!). Gli artisti si possono poi sbizzarrire con le possibili variazioni sul tema. La mucca più costosa è stata la Wagga Moo Moo di John Rocha, designer, in mostra a Dublino nel 2003, venduta per 146.000 dollari (era completamente rivestita di cristalli!) ad un ristorante giapponese. Ora la Cow-parade è a Roma (www.cowparaderoma.com), dal 7 maggio al 4 luglio 2010, con asta finale il 14 luglio all’Aranciera di S.Sisto: il ricavato andrà all’Ageing Society, Onlus nazionale che promuove studi sull’invecchiamento della popolazione, per l’assistenza di anziani e disabili. La mostra delle mucche romane tocca vari luoghi della città eterna: dal Centro Commerciale Roma Est, dove una mucca non più bianca è pronta, docile e mansueta, a farsi colorare dai bambini, artisti per un giorno; passando per la Stazione Termini, che ospita sette mucche, tra cui una, coloratissima, di ceramiche variopinte; per finire con una doverosa (per molti) sosta a Trigoria, sede degli allenamenti calcistici dell’A.S. Roma, dove troneggia la mucca giallo-rossa, omaggio al capitano Francesco Totti, poco mansueto in questo periodo, a dir la verità. La Cow-parade di Roma ha anche una “stalla” nel Padiglione 16 dell’ex Fiera di Roma, in Via dell’Arcadia. Véronique Pozzi, Attilio Tono e Milos Stojanovic vi dirigono i lavori della Libera Accademia di Belle Arti di Roma: 800 mq di creazioni in fieri ed eventi artistico-culturali.
Chiaramente la Cow-parade è più di un maxi-evento artistico e di beneficienza.
E’ un’idea. E’ un simbolo. E’ un business.
L’idea, ammirevole, di far evadere l’arte dagli spesso troppo vuoti musei del mondo, di farla uscire dalle bianche, minimaliste gallerie di grido e di farla finalmente muovere, giocare, interagire con la gente e con gli spazi urbani, in modo divertente, popolare, folcloristico.
Ma è anche un simbolo. Il simbolo della volontà di coniugare individualismo e globalizzazione, invitando i singoli “artisti”, veri od improvvisati, da ogni parte del mondo, ad interpretare soggettivamente un tema dato, semplice, naturale, persino buffo, per poi metterlo in comunicazione con “l’altro”, internazionalmente, globalmente, senza nascondersi dietro lo schermo di un computer.
Ed è un business di sicuro successo. Se genuino e originale è stato lo spunto iniziale, ambiziosa e capillare è l’organizzazione attuale, che ha allargato il già fiorente mercato delle mucche alla vendita sul web, ai gadget, alle riproduzioni in scala. E non tutto va in beneficienza. Che l’Italia si apra ad esperimenti global-social-artistici ben venga; che impariamo qualcosa dal marketing americano altrettanto. Ma si faccia attenzione: l’Arte, quella con la “A” maiuscola, è e deve restare qualcosa di diverso. La creazione. La scintilla. Il gusto. Il genio. Senza logiche troppo restrittive. Utopia?