Interattività e 3-D sono termini che quotidianamente associamo al consumo cinematografico, convinti che contraddistinguano le ultime prodezze del progresso tecnologico nel settore audiovisivo. Sbagliamo.
La necessità di realizzare visioni sempre più immersive ha origini lontane. Senza voler disturbare i padri fondatori della sperimentazione cinematografica, è sufficiente ricordare gli Anni ’40 quando la ricerca di un Cinema Totale rifletteva sulla possibilità di modificare la staticità della posizione umana nei confronti della rappresentazione, passando dalla mera contemplazione alla manipolazione del film, ipotizzando addirittura la scomparsa dello schermo.
Senza sminuire la futuristica visionarietà degli esponenti di questa corrente, la tendenza ad un costante incremento del coinvolgimento del fruitore non deve sorprenderci: in una società sempre più caratterizzata dalla presenza di tecnologie in grado di influenzare la nostra percezione del mondo e i nostri rapporti sociali, permettendoci (teoricamente) di superare qualsiasi barriera fisica e psicologica si presenti, la volontà di valicare il limite imposto dallo schermo è quanto meno allettante.
Negli Anni ‘60 fu la volta del Sensorama, sistema capace di avvolgere lo spettatore nelle atmosfere cinematografiche attraverso la riproduzione di odori, movimenti, eventi metereologici. Dieci anni dopo, l’avvento di videocassette e registratori offrirono al grande pubblico la possibilità di intervenire in maniera diretta ed efficace sul ritmo del film. La successiva comparsa della digitalizzazione non ha fatto altro che aumentare in maniera esponenziale questo potere, accentuando la possibilità di combinare all’infinito scene o singoli istanti di una pellicola, liberando lo spettatore dalla struttura narrativa aprioristica.
Il cinema interattivo è parte integrante di un processo di sperimentazione: lontano dall’omologazione delle produzioni tradizionali, finalizzato alla restituzione del cinema alla genialità individuale, consapevole dell’evoluzione della percezione della narrazione da lineare a “navigabile” e soprattutto cosciente dell’importanza dell’immersione nell’informazione, figlia del World Wild Web e dei videogames.
La fruizione va quindi oltre la semplice visione. Lo spettatore, obbligato a scegliere tra bivi che portano a conseguenze diverse, è operatore e montatore dell’opera secondo il proprio gusto, le proprie paure e i propri desideri, come nei libri-game che dagli Anni ’80 campeggiano sugli scaffali delle nostre librerie.
Una sfida difficile da raccogliere per il settore a causa dei costi di gestione e produzione (maggiori opzioni narrative, implicano un incremento delle ore di girato e di giornate lavorative), della necessità di non dissipare il significato e il ritmo della narrazione tra i percorsi a disposizione e di non deludere le aspettative di un pubblico pagante.
Queste criticità hanno portato il genere ad esprimersi su supporti gestibili dal singolo spettatore quali DVD e applicazioni per Smartphone, I-Phone in primis. Prodotti come Make My Day, The Outbreak e Bank Run, ne sono esempio: vedi il film, inizi ad interagire on-line e continui, a pagamento, sul cellulare.
Il made in Italy non si è sottratto a questo trend: Zairo, prima spystory interattiva italiana, episodio numero uno di una serie televisiva di dodici, è stato prodotto su supporto DVD e distribuito nelle edicole.
La speranza di riportare il cinema interattivo nelle sale non è però una lontana chimera: dal network tedesco 13th Street arriva Last Call, pellicola horror sperimentale in cui la protagonista chiama gli spettatori in sala per chiedere aiuto. Il funzionamento è semplice: all’entrata a tutti gli spettatori viene rilasciato un flyer che permette di inviare il proprio numero telefonico ad un database interno. Quest’ultimo seleziona casualmente uno spettatore che viene realmente chiamato durante la proiezione e inizia una conversazione guidata con la protagonista sullo schermo che chiede alla persona all’altro capo del telefono suggerimenti sulle scelte da compiere. Grazie all’utilizzo di un software di riconoscimento vocale la risposta dello spettatore viene trasformata in un comando per mostrare sequenze diverse a seconda dell’indicazione proveniente dalla sala. Addio dunque alle frustrazioni che attanagliano il pubblico quando il/la protagonista fa la scelta sbagliata? Basta, al chiedersi terrorizzati perché una majorette debba necessariamente attraversare proprio il bosco per tornare a casa quando un omicida agisce indisturbato per la città?
La strada è ancora lunga e piena di dubbi da sciogliere. Dopotutto quanti, potendo scegliere, lascerebbero davvero morire Romeo e Giulietta, anziché farli vivere per sempre felici e contenti?