La gestione di un bene culturale affidata ad organismi misti pubblico-privato è un progetto innovativo di organizzazione gestionale dei beni culturali in un contesto legislativo complesso ed articolato che ha provocato e provoca dibattiti e dialoghi tra diverse discipline e settori di interesse.
Il percorso non è privo di controversie e la governance mista rappresenta l’auspicato funzionamento di nuove organizzazioni culturali in chiave economico-aziendale, che concilino la managerializzazione della cultura, la privatizzazione degli assetti gestionali e delle fonti di finanziamento e l’integrazione della valorizzazione del bene culturale con il territorio di appartenenza.
L’introduzione di ‘criteri imprenditoriali’ nella gestione di beni e attività culturali è scaturito dalla necessità di raggiungere l’obiettivo di individuare chiare finalità strategiche e operative, controllare i costi e la gestione, per un risultato economicamente vantaggioso, pur destinato al reinvestimento nelle attività (no-profit) e conoscere l’ambiente di riferimento e del pubblico attuale e potenziale, con tutto ciò che ne deriva in termini di attività di marketing e comunicazione.
Dalla natura del bene culturale, legata alla sua valenza educativa e sociale, scaturisce il legame indissolubile alla struttura pubblica e il limite al decollo della gestione privatizzata. La mission dell’istituzione o della struttura mista (profit o no profit) è “data” piuttosto che “stabilita” dalla direzione in quanto è determinata a un livello politico/legislativo anziché tecnico.
Le tecniche e metodologie proprie del management aziendale, quando applicate al settore culturale devono confrontarsi con la difficoltà di incidere sulle scelte che stanno a monte di ogni consapevole attività di gestione: la definizione della mission e della strategia.
L’approccio manageriale alle organizzazioni culturali ha trovato delle oggettive difficoltà anche per l’estraneità della logica del profitto nel settore gestionale dei beni culturali.
In effetti, la contrapposizione tra organizzazioni for profit e no profit non è il conseguimento in sé del profitto quanto il fatto che, nel primo caso, esso rappresenti la principale finalità aziendale e può essere distribuito mentre, nel secondo, il surplus della gestione deve essere necessariamente reimpiegato all’interno dell’azienda.
Con una buona struttura organizzativa ad esempio, una società mista può produrre: il miglioramento della fruizione dei beni gestiti, offendo una elevata qualità dei servizi di “accoglienza” grazie alla struttura societaria altamente specializzate professionalmente e tecnicamente; la unitarietà della gestione anche nelle attività collaterali tipica del global service; la valorizzazione integrata del territorio e dell’indotto.
Un aspetto di forte criticità, però, si registra sul fronte degli accordi interistituzionali.
Le difficoltà riscontrare nella ricerca di accordi con il Ministero per i beni e le attività culturali per il trasferimento della gestione dei principali siti e monumenti di pertinenza dello Stato, agli Enti locali, soprattutto alle Regioni, avvalendosi del supporto operativo di qualificate società di settore, deludono le aspettative.
Rimane quindi, dopo anni di dibattiti e confronti, ancora incerto il futuro in materia di gestione dei beni culturali; maggiori incertezze nascono in questi ultimi mesi in cui le “emergenze” riscontrate e decretate nei maggiori siti culturali italiani hanno condotto ad un elevata quantità di commissariamenti. Elemento che indica un forte senso di centralità dello Stato, anche in riferimento ai poteri speciali attribuiti a tali strutture gestionali. Tutto appare poco proiettato verso nuove forme di gestione decentrata dei beni e, soprattutto, verso una migliore offerta dei servizi integrati alla valorizzazione del territorio e dell’indotto.