In Italia, nonostante il suo incredibile successo, il design, complice anche la sua genesi ed evoluzione storica, non è ancora diffusamente compreso e viene relegato a cultura non organica del sistema e quasi alternativa ad esso. L’applicazione del design nel nostro Paese ha seguito infatti un modello peculiare, secondo un processo generativo e riproduttivo largamente spontaneo, frutto dell’alleanza tra piccole e medie imprese inserite in territori produttivi d’eccellenza ed architetti, intellettuali e creativi, che ha rappresentato il punto di forza di una particolare produzione italiana e al tempo stesso ha contribuito a relegare il design all’interno di una nicchia concettuale non consentendo la piena diffusione delle sue potenzialità. La massiccia importazione di espressioni anglosassoni legate ad internet ed alle tecnologie digitali, come graphic design, interior design e web design ne hanno poi supportato l’ulteriore successo e diffusione anche tra i non addetti ai lavori, contribuendo alla nascita di nuove interpretazioni in alcuni casi purtroppo “sciolte” e fuori contesto. Ciò ha contribuito a generare confusione e scarsa comprensione del fenomeno e delle sue potenzialità a danno di un sistema imprenditoriale con sempre maggiore bisogno di nuove competenze per affrontare in maniera strutturata le complessità dell’era contemporanea e in particolare dell’attuale (difficile) momento economico.
Le interpretazioni più restrittive, dovute alla assonanza della parola design con il termine italiano “disegno”, lo concepiscono come operazione stilistica, prettamente estetica ed appannaggio esclusivo di artisti e architetti. Si tratta però di una visione in un certo senso gastronomica del design, che lo considera alla stregua di una spezia per abbellire i prodotti e che esprime nell’insieme la parte visibile, riconosciuta e più celebrata di un fenomeno che è invece in gran parte sommerso.
Interpretazioni più ampie – e altrettanto colpevoli di “rallentarne” la concreta adozione all’interno del mondo imprenditoriale – tendono a legarlo a qualsiasi attività creativa fino agli estremi di considerarlo, essenzialmente, come una “parola-valigia” in grado di contenere qualunque cosa.
La pratica, in realtà, è retaggio di movimenti come Arts & Craft e Bauhaus, innovatori nella forma di oggetti di uso comune, ma soprattutto promotori di una rivoluzione “olistica” dei processi progettuali e produttivi, in grado di investire il prodotto di consumo in tutte le sue fasi di vita, dall’ideazione alla vendita.
Si è poi assistito ad un progressivo “tuning” del concetto di design e della professione del designer che, di fatto, “cambiano pelle” e si evolvono in un insieme o sistema di professioni del progetto in grado di esprimere un approccio metodico alla creazione del nuovo e investono sempre più la dimensione strategica e organizzativa d’impresa. 
In questa nuova ottica evolutiva il design come “buona cultura di progettazione” e come applicazione rigorosa di un processo di ideazione, elaborazione, sviluppo e implementazione si caratterizza come importante strumento di pianificazione consapevole in grado di dare senso e significato ai nuovi prodotti e servizi (de + signare) rafforzando la competitività delle imprese sul mercato.
La cultura su cui si basa il “nuovo” concetto di design forza una comprensione più profonda del contesto in cui si opera (fisico, organizzativo, sociale, …); delle specificità e caratteristiche dei materiali impiegati (prestazioni, valenza simbolica, duttilità produttiva, impatto ambientale); della potenzialità delle tecnologie e soprattutto dell’utente, dei suoi bisogni e della componente emozionale connessa all’utilizzo di determinati prodotti o servizi (legata al loro aspetto esterno, al piacere e all’efficacia derivante dal loro uso e alla loro razionalizzazione ed intellettualizzazione). Soltanto da un rigoroso processo, in grado di integrare virtuosamente tutti questi aspetti, può nascere un intervento capace di garantire, nel tempo, qualità.
Questo è il design: non più quindi solo fattore estetico, antropomorfo, ergonomico, ma studio di precompetitività, “meta progetto”, in grado di rispondere alla domanda “come?” e alla domanda “che cosa?”. Come sviluppare un nuovo prodotto o servizio? Come realizzarlo? Come lanciarlo sul mercato? Come organizzare l’impresa per raggiungere questa soluzione? Quali sono gli aspetti su cui porre attenzione?  Quali problematiche sono in grado di affrontare le soluzioni proposte?
Integrare e promuovere il design nella sua più moderna accezione nel sistema delle piccole e medie imprese vuol dire avvicinare alle filiere produttive – attraverso mirate iniziative di evangelismo – un tipo di cultura progettuale in grado di contribuire al rafforzamento della loro capacità di offerta supportandoli nella produzione, gestione e valorizzazione di prodotti e servizi non solo belli, emotivi, viscerali (e spesso superficiali) ma reale portatori di efficienza, funzionalità, benessere, innovazione.
Sulle spalle dei designer e delle Istituzioni si carica oggi il peso di una forte e permanente azione di sensibilizzazione nei confronti delle imprese e della stessa Pubblica Amministrazione che liberi il design dall’accezione accessoria ed estetica e lo proietti verso un linguaggio teso a migliorare la qualità e ammodernare prodotti e servizi e, in misura più rilevante, la sostenibilità della vita quotidiana di tutti noi.