Accelerazione: comprenderla e adattarvisi, sembra essere il paradigma imposto dalla società iper-veloce che miete vittime ed entusiasti adepti.
Fino al 18 luglio alla Strozzina di Firenze dieci artisti italiani ed internazionali mettono in scena tensioni e paradossi dell’high speed society.
La mostra As Soon As Possible si interroga e soprattutto ci interroga sul tempo: un’esplosione annunciata da aspettare in cui ci guardiamo all’improvviso attendere, un monologo ininterrotto srotola un vuoto elenco di impegni ed e-mail che costituirebbe il contenuto delle nostre vite, una ruota gira su se stessa e contro un muro al solo apparente scopo di consumarsi, una settimana di otto giorni, squadre di operai impegnati nel montaggio di una costruzione che cambia ogni minuto e non è altro che un orologio.
Poche opere che come sassolini scalfiscono col dubbio la nostra abitudine/attitudine ad adeguarci ai ritmi imposti fuori di noi dove il cibo è fast, la comunicazione in real time, lo spostamento è speed, l’informazione un flusso.
Mentre cadono in fitta sequenza parole scritte con l’acqua leggibili solo un attimo nel loro disfarsi, nella stanza accanto un grumo di tempo si rapprende in un filo di seta annodato e riannodato su se stesso in ore e ore di lavoro. Ci si potrebbe chiedere se le parole non meritino di addensarsi e distendersi in frasi, e concetti, e periodi, e argomentazioni, piuttosto che liquefarsi, apparire, sparire in una successione decontestualizzata e slegata di schermate.
Come le tecnologie cambiano il nostro cervello ed il nostro modo di interagire con la realtà fuori e come ridefiniscono la nozione stessa di uomo, il modo in cui noi stessi ci siamo percepiti per secoli secondo un modello variabile, ma non così in fretta, non sono discorsi da aule d’università, speculazioni accademiche, saggi illuminanti di sociologi e filosofi o installazioni di artisti veggenti, ma argomenti che ci riguardano tutti perché è anche il feedback di ogni singolo individuo che costituisce la società a determinare direzioni e caratteristiche di ogni cambiamento (anche se la tecnologia spesso può sembrare un Prometeo i cui doni sarebbe insensato rifiutare). Per quanto ancora noi nipoti della scrittura leggeremo in modo lineare da sinistra a destra sequenze di segni e parole che portano significati? Forse già i nostri occhi navigano sugli schermi da una parola all’altra a creare nuove impensate connessioni? O le parole sono solo le veloci apparizioni senza traccia della cascata di bit di Julius Popp?
In questi giorni vengono venduti i primissimi iPad, gli e-book sono approdati all’ultimo Salone del libro di Torino, la curva di popolarità di facebook è al suo apice ed è orami assodato che laddove finiscono le nostre dita comincia un cellulare. In questo stesso contesto, però, si inizia anche a parlare, al di là di facili prese di posizione, di slow food, di decrescita, di lentezza.
Se la periodica ridefinizione di uomo ha subito, negli ultimi 15 anni, un’accelerazione senza precedenti, è un diritto di tutti capire i come e indagare i perché, forse addirittura interrogarsi sul segno di questo cambiamento, anche se affermare meglio o peggio presuppone un terreno solido su cui fondare argomentazioni e valutazioni mentre la modernità è liquida, dice Bauman, e le sabbie su cui cadono le nostre ancore sono friabili.
Per le vittime dei “ladri di tempo” che siamo diventati noi stessi e per chi fa della mancanza di tempo uno status symbol, la durata di As Soon As Possible si dilata in un catalogo da leggere (http://www.strozzina.org/asap/i_catalogo.php) ed in un programma di lectures per approfondire per sollecitare altre riflessioni da differenti punti di vista. Giovedì 3 giugno è stata protagonista la post-metropoli cibernetica e ci si potrebbe domandare quanto il tempo contratto e i nuovi media stiano cambiando la nostra immagine di città e di spazio e quanto stiano cambiando le città stesse e l’architettura (negli anni ’50 e in un altro contesto Bradbury: “Lo sapevate che una volta i cartelloni pubblicitari erano alti al massimo sei o sette metri? Ma poi le auto sono diventate così veloci che si è reso necessario dilatare la superficie riservata alla pubblicità, perché gli automobilisti avessero il tempo di leggerla, passando”…). Intanto de Nijs ci lascia sperimentare il distacco tra spazio reale e corpo in una rincorsa impossibile tra due strisce di paesaggio urbano che dovremmo poter sincronizzare e Reynolds, tra iperrealismo di dettagli e onirismo d’insieme, ci mette davanti quasi una moderna
nostra quotidiana danza macabra sui ritmi di un ticchettare discontinuo di orologi; ed infine Marzia Migliora cita Pantani e sintetizza su un tappeto morbido e decelerante di finto asfalto: “vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia”.