È arrivato il momento, per molti giovani, di scegliere il proprio percorso formativo universitario: come ogni anno la scelta del corso di laurea dovrà essere dettata sì dalle aspirazioni personali, che dovranno però interfacciarsi anche con le reali prospettive occupazionali che mitigano non poco la decisione finale.
È da diversi anni, infatti, che l’Università italiana vive un periodo di grande difficoltà dovuto sia ai tagli che si sono susseguiti nei vari governi i quali non hanno compreso, in un momento di crisi, l’importanza dell’investimento nella ricerca, sia ad una sostanziale confusione dovuta ai passaggi da vecchi a nuovi ordinamenti che, di riforma in riforma, hanno portato ad un quadro disorganico dell’offerta formativa.
In base al nuovo d.m. 270 del 2004, prosegue il taglio ai corsi di laurea con meno di 50 iscritti, quei corsi cioè, come “Scienze dell’igiene e del benessere del cane e del gatto” a Bari, o “Scienze dell’acqua” di Firenze che contribuivano a quella frammentazione dell’offerta che il nuovo decreto del 2004 tenta di scongiurare.
800 lauree in meno, quindi, che mirano al raggiungimento di una laurea di qualità. Il rimprovero mosso dalla Corte dei Conti al decreto ministeriale 509 del 1999 con il quale si introduceva la famosa riforma del 3+2, sarebbe infatti proprio di aver sminuito la qualità dei corsi, andando così a ledere anche la spendibilità dei titoli all’estero, prerogativa a cui l’attuale decreto cercherebbe di ovviare.
Diversa, invece, l’analisi di AlmaLaurea, consorzio interuniversitario composto da 60 atenei, il quale ha  evidenziato i risultati positivi ottenuti dalla riforma del 1999 che avrebbe aumentato la regolarità dello studio e la frequenza alle lezioni per diminuire il numero degli abbandoni e l’età del conseguimento della laurea.
Novità si registrano anche nel campo dell’alta formazione artistico-musicale, i cui istituti sono ormai da qualche anno formalmente equiparati alle università tradizionali. Se fino agli scorsi anni, però, l’accesso ai corsi era libero e senza particolari requisiti richiesti, da quest’anno, probabilmente, sarà introdotta per alcuni corsi una prova di selezione orale e/o scritta necessaria a contenere il numero degli studenti e a garantire un rapporto numero di docenti per numero di studenti che non precluda la qualità dell’insegnamento.
Proprio queste lauree, inoltre, spiegano dal Miur, potrebbero passare dal 3+2 attuale ai 5 anni pieni, senza soste intermedie: il passaggio avverrà sicuramente per i corsi di restauro e per quelli dedicati all’insegnamento della storia dell’arte.
Una riformulazione delle carriere vedrà protagonisti anche i ricercatori, borsisti e dottorandi beneficiari di assegni statali che, con i tagli previsti dalla legge 133, vedono diminuire la possibilità di un percorso professionale all’interno degli atenei. Concorsi bloccati da due anni e mancanza di fondi universitari rischiano quindi di far scomparire dai laboratori di ricerca un’intera generazione, quella dai 30 ai 40 anni, impossibilitata a proseguire nella ricerca e incentivata in questo modo a cercare fortuna all’estero o a dedicarsi ad altri campi lavorativi.
La mancanza dei fondi rappresenta dunque un serio problema che va ad affiancarsi anche a quello della cattiva gestione delle risorse destinate agli atenei. Se infatti a metà settembre, quando si dovrebbero impostare i bilanci preventivi dell’anno accademico successivo, le università non conoscono ancora i criteri sulla base dei quali riceveranno i fondi, queste non riusciranno mai ad impostare una seria programmazione che li incentivi a modifiche sostanziali dei propri comportamenti necessarie per ottenere più risorse finanziarie. E quindi, per paura di ottenere di meno, non si cerca di ottenere di più.