Intervista al Prof. Simon Roodhouse – responsabile Osservatorio sulle industrie culturali e creative della University of the Arts di Londra

Le si cita spesso, se ne parla in continuazione e numerosi sono i programmi varati nei diversi Paesi per la loro valorizzazione, ma il ruolo delle industrie culturali e creative nell’attuale – e futuro – sistema economico non appare chiaro. In un mondo che ha dovuto toccare concretamente con mano l’incepparsi dei tradizionali modelli economici e produttivi, risulta evidente il bisogno di individuare nuove strade per uscire dalla crisi. E un’economia basata sull’innovazione e sulla conoscenza, se non la soluzione appare perlomeno una delle strade da intraprendere. D’altronde da tempo la rilevanza economica di questi settori è saltata agli occhi di esperti e analisti. Ma come stanno reagendo questi settori all’attuale crisi e quanto essi possono costituire uno strumento per la riconversione economica di vecchi modelli produttivi?  Quanto la maggiore tenuta di alcuni Paesi è legata alle diverse politiche attuate in questi ambiti e quali gli scenari di sviluppo nell’immediato futuro? Ne abbiamo parlato con il Prof. Simon Roodhouse, studioso e consulente di settore che dirige un osservatorio sulle industrie culturali e creative della University of the Arts di Londra che monitora l’area metropolitana e ha sedi distaccate a Hong Kong, Shanghai, Pechino, Bombay e Nuova Delhi.

L’attuale crisi economica mondiale nasce e allo stesso tempo genera una profonda crisi del settore produttivo. Ci sono differenze di tenuta tra i settori “tradizionali” e quelli invece legati alle industrie culturali e creative?
Le industrie creative non sono immuni dalla crisi economica mondiale perché anch’esse sono legate ai mercati e alla capacità delle persone di acquistare prodotti e servizi. La disoccupazione e il calo del reddito individuale avranno un impatto significativo sulle imprese del settore creativo, non da ultimo perché vengono generalmente considerate tra i beni di piacere non essenziali. Una differenza con i settori tradizionali è che ci potrebbe essere una maggiore tenuta nei settori creativi perché in genere i loro costi nelle piccole imprese sono bassi e perché sono abituate a lavorare in ambienti commercialmente difficili. Ciò che potrebbe essere più preoccupante è una riduzione della spesa del settore pubblico per i sottosettori più tradizionali dell’industria creativa, come le arti performative.

Secondo i dati rilevati dall’osservatorio sulle industrie culturali e creative, la maggiore tenuta dei cosidetti paesi asiatici emergenti rispetto ad America e Europa è imputabile a politiche economiche differenti e ad una differente comprensione del cambio del paradigma economico e quindi del’importanza strategica delle industrie culturali e creative?
È difficile generalizzare, ma nel caso della Cina, che è una economia di comando, le industrie creative sono viste come una componente strategica che deve essere sviluppata. Bisogna comunque dire che la Cina descrive le industrie creative in maniera diversa dal Regno Unito o dall’Australia e non è possibile fare equivalenze. Esse includono infatti le società di costruzioni in architettura e le fabbriche tessili nella moda. Ciononostante la Cina ha riconosciuto alcuni settori delle industrie creative come la moda, i videogiochi e i media digitali come aree di crescita. Intendiamoci, non stiamo parlando in Cina dei sottosettori come l’artigianato o le arti performative. Riguardo alla recessione economica mondiale,  in Cina in modo significativo non c’è stata, ma parliamo piuttosto di una crescita ridotta.

In Europa e in America si riscontra una tenuta maggiore di fronte alla crisi da parte delle industrie culturali e creative? Ritiene che esse costituiscano un elemento chiave per arginare la crisi e creare un meccanismo di ripresa e di rilancio economico?
Non c’è una risposta semplice a questa domanda, a causa della natura delle industrie creative, caratterizzate da un gran numero di piccole imprese spesso basate sul lavoro a casa e su determinati stili di vita. Ad ogni modo non sono il motore della crescita per rilanciare l’economia. Le grandi imprese sono molto più adatte a indicare la strada per andare avanti, nel caso siano sopravvissute alla recessione e siano indirizzate ad acquisire piccole imprese per sviluppare nuovi prodotti e penetrare i mercati aumentando la propria quota. Dovremo  prestare molta più attenzione alle grandi imprese nei settori creativi di quanto facciamo ora, poiché sono quelle che possono influenzare mercati. Per fare un esempio, le nuove imprese di medie dimensioni appartenenti al settore digitale sono entusiasmanti, ma rischiose ed è difficile indicare un vincitore nel processo di sviluppo. Queste aziende possono essere uno stimolo per le altre più tradizionali, ma come ho detto prima verranno con più probabilità assorbite da imprese di grandi dimensioni. Questo è successo nel settore dei videogiochi interattivi in cui molte medie imprese creative inglesi sono state acquisite da grossi gruppi americani e giapponesi.

Ritiene che i Paesi europei abbiano sviluppato strategie e strumenti efficaci per sostenere lo sviluppo delle industre culturali e  creative? Quanto è importante agire come “Sistema Europa” e non come singoli Paesi?
Non è possibile trattare le industrie creative separatamente da altri settori dell’economia di un Paese. Quindi, secondo la mia opinione il problema è ciò che il Paese sta facendo per rigenerare l’economia in generale, il che riguarda in altre parole il migliorare il clima di fiducia verso le imprese, il sostenere la creazione di nuove aziende, etc.  A questo proposito le industrie creative non sono diverse da qualsiasi altra attività, necessitando l’accesso a finanziamenti a basso costo, bassi livelli di burocrazia e stabilità. Ma sopra ogni altra cosa, e dove credo che l’Unione Europea possa fare la differenza, vi è lo sviluppo dei mercati, così come la protezione delle aziende dalla concorrenza sleale. Si devono anche raccogliere dati precisi sulle industrie creative attualmente in crisi per stabilire future politiche di sviluppo.

Quale scenario immagina per le industrie culturali e creative in Europa nel prossimo triennio?
Difficile dirlo, ci saranno ancora più incertezza e nuove crisi – soprattutto in Europa – ma credo che le aziende che innovano e sostengono i propri mercati sopravviveranno e cresceranno. Tuttavia, la riduzione dei finanziamenti pubblici colpirà notevolmente le industrie creative come molti altri sottosettori che dipendono da tali fonti di sostegno. Ma in ogni crisi c’è un’opportunità, ed è riconoscendo o creando questa opportunità che le imprese creative devono agire, essendo, in altre parole davvero creative.

Riferimenti:
University of the Arts www.lcc.arts.ac.uk