Lo scorso 29 luglio il Senato ha approvato la riforma dell’università progettata del Ministro dell’Istruzione Gelmini che si prospetta come un provvedimento ad ampio spettro e ricco di novità. I 22 articoli sono destinati a riformulare l’attuale configurazione del sistema universitario italiano, dalla struttura di governance alla definizione dell’età pensionabile. La riforma stabilisce che: ogni ateneo dovrà ridurre il numero di facoltà affinché non si sfori il tetto massimo di 12, dovrà dimezzare gli attuali 370 settori scientifico-disciplinari, se in regola con i conti potrà contare su forme di governance modellate ad hoc in collaborazione col Ministero, rischierà il commissariamento in caso di squilibri finanziari e in questo senso dovrà adattarsi a nuovi criteri di maggiore trasparenza validi a livello nazionale. Le università potranno inoltre ricevere risorse sulla base della qualità della didattica e della ricerca, avere la possibilità di collaborare con altre università vicine (anche a livello interregionale) per diminuire i costi e potenziare la didattica, e dovranno adottare un codice etico. I rettori invece non potranno mantenere il loro incarico per più di 8 anni e i professori ordinari e a tempo determinato dovranno certificare rispettivamente un minimo di 1500 e 750 ore di attività formative delle quali almeno 350 e 250 dedicate alla didattica.
Il tema che finora ha provocato più scalpore rimane la determinazione dell’età pensionabile: nonostante il parere favorevole del Ministro Gelmini ad un abbassamento a 65 anni e l’emendamento proposto dal Pd, si è preferito mantenere la soglia a 70 anni. La decisione è stata motivata da un lato dal timore del Ministro Tremonti della revisione delle operazioni finanziarie nel settore pensioni e dall’altro dal giudizio negativo espresso dal Consiglio universitario nazionale che valuta la manovra troppo dispendiosa prevedendo oltre 500 milioni annui per cinque anni.
Vi sono due ulteriori trasformazioni che rivoluzioneranno in modo significante il sistema universitario attuale: la nuova modalità di selezione dei professori ordinari e associati e il nuovo sistema dei contratti dei ricercatori. Nel primo caso è prevista la creazione di bandi pubblici indetti dalle università che selezioneranno i loro docenti con l’aiuto di una commissione comprendente anche membri stranieri, nel secondo caso viene introdotto un sistema di contratti a tempo determinato, dopo i quali sarà previsto un contratto triennale al cui scadere si potrà essere confermati a tempo indeterminato.
Sergio Luzzatto, in un articolo sul Sole 24 Ore, fornisce alcuni spunti di riflessione rispetto a queste ultime novità facendo notare come la procedura per il reclutamento dei docenti su scala nazionale possa in realtà essere influenzata dalle scelte dei singoli atenei i quali concorrono direttamente alla determinazione della lista dei docenti che possono partecipare alla selezione nazionale. Inoltre, viene sottolineato come il sistema dei contratti disegnato per i ricercatori non possa essere assimilato al “tenure track” anglosassone, in quanto non vi è alcuna garanzia da parte dell’ateneo dell’effettiva creazione di un bando per la copertura del ruolo.
La riforma ha già provocato molte reazioni sia all’interno del mondo politico, sia all’interno di quello universitario. Mentre il Ministro Gelmini considera il provvedimento “epocale” e destinato a migliorare la qualità delle università italiane, il senatore del Pd Luigi Zanda afferma che “non è una riforma, è un provvedimento debole e le risorse sono insufficienti”. Enrico Decleva, presidente dell’assemblea dei rettori degli atenei italiani, sostiene che la riforma “nella situazione in cui ci troviamo considerati i problemi e le criticità è sicuramente un provvedimento importante”, ma non tralascia alcuni difetti e dichiara che “non ci sono più alibi, le risorse devono venire”.
Considerati i pareri contrastanti che il provvedimento ha provocato anche all’interno degli stessi schieramenti politici, si può facilmente comprendere la complessità delle sfaccettature che caratterizzano la riforma. Il ridisegno di alcune strutture di governance, la ridefinizione delle funzioni di alcuni organi (senato universitario e consiglio di amministrazione), la determinazione di criteri di maggiore trasparenza sembrano essere provvedimenti apprezzati da più parti. Tuttavia, argomenti più delicati quali le fonti di finanziamento per la riforma rimangono ancora in fase di definizione.
Nonostante i fondi rimangano frequentemente un punto interrogativo che caratterizza molti processi di innovazione, la presenza di un chiaro quadro d’azione e la definizione di procedure e strutture specifiche rimangono comunque l’essenza del sistema.
L’auspicio è che una volta sfumate le polemiche la riforma possa essere efficacemente implementata nel rispetto dell’istruzione e delle carriere di coloro che gravitano all’interno del mondo universitario utilizzando strategie e procedure che comprendano le reali dinamiche ed esigenze del settore. Per ora, non resta che attendere il prossimo settembre quando la riforma verrà vagliata dal Parlamento.