La città di Metz, nella regione della Lorena, per la sua posizione strategica vicina al Belgio, al Lussemburgo e alla Germania, è stata scelta come la sede del nuovo Centre Pompidou Metz, il primo esempio di decentramento, in Francia, di una grande istituzione culturale.
Sia dal punto di vista architettonico che museologico, il CPM presenta sostanziali novità rispetto ad altri recenti musei di arte contemporanea.
Progettato dagli architetti Shigeru Ban (Tokyo) e Jean de Gastine (Parigi), il CPM è stato realizzato seguendo un’ispirazione che è stata definita del no design, agli antipodi dei “musei spettacolo”. Se il Centre Pompidou di Parigi, per la sua architettura visionaria si è imposto come un landmark  della capitale francese, il CPM sorprende per la semplicità delle forme e dei materiali utilizzati. Un grande cappello “ondulato” costituito da una trama di esagoni in legno, ricoperti da una membrana bianca in poliuretano che lascia filtrare la luce, ricopre quasi l’intera superficie di 10.000 mq. Materiali poveri, come ad esempio il cartone, sono stati utilizzati per la realizzazione del tetto della struttura dell’auditorium.
La grande hall dell’ingresso (la cui altezza corrisponde all’altezza dell’edificio, 77 metri), è il cuore pulsante del CPM, pensata per ospitare opere di grandi dimensioni e concepita come uno spazio in cui interno ed esterno si fondono in un unico ambiente (questo effetto è sottolineato anche dalla scelta di non riscaldare la grande sala, creando così anche una continuità “climatica”, sensoriale, oltre che visiva, tra il dentro e il fuori nonché dalla possibilità di rimuovere completamente le vetrate che danno sul giardino). Le gallerie, di 1.200 mq ciascuna e realizzate con strutture mobili, flessibili adatte a diverse formule di allestimento, si susseguono su quattro piani.
Contrariamente alla definizione dell’ICOM secondo la quale l’acquisizione e la conservazione delle opere sono funzioni fondamentali del museo, il CPM non ha una collezione permanente (in Italia, un parallelo può essere fatto con il Museo del Design, a Milano). Per la programmazione culturale, infatti, il centro potrà attingere da una parte, all’immenso réservoir (che conserva più di 65000 opere) del Centre Pompidou parigino, dall’altra, usufruire di prestiti provenienti da altre istituzioni francesi ed internazionali, senza avere opere “fisse”. Il risultato per l’esposizione inaugurale, Chefs d’Œuvre?, è stato un esempio di questo modo di operare. La mostra, concepita come una riflessione sul concetto di capolavoro, ha potuto contare su più di 700 opere, spaziando da opere medievali a opere contemporanee. Il CPM è tuttavia un’istituzione indipendente rispetto al Beaubourg: “Non siamo né un’antenna, né una filiale, né una succursale, né un annesso [del Centre Pompidou di Parigi]: noi siamo semplicemente il “Centre Pompidou Metz”afferma il direttore Laurent Le Bon.  Nessuna mostra del museo parigino sarà inoltre presentata a Metz né viceversa.
Non è presente neanche un’équipe fissa di conservatori: il polo di programmazione (diretto da Hélène Guénin), prevede infatti la collaborazione di conservatori e curatori esterni.
Una delle mission del CPM è quella di funzionare come centro promotore e produttore d’arte contemporanea (video, cinema, danza, musica) e luogo di ricerca (una grande mediateca verrà presto realizzata negli spazi adiacenti e messa a disposizione del pubblico). Ecco come allora il CPM si presenta come un’istituzione “ibrida”, a metà tra il museo e il centro di produzione d’arte contemporanea.
Il forte legame con il territorio è un’altra caratteristica del CPM. Il “museo” nasce infatti con l’animo di diffondere, anche nella regione che lo ospita, l’arte contemporanea, non essendo presente sul territorio una grande collezione o un grande museo a questa dedicati. Il CPM è inoltre frutto di un’intensa collaborazione tra diverse collettività territoriali, tra cui Metz Métropole, la Région Lorraine, la città di Metz che insieme anche allo Stato, hanno stabilito il budget per la costruzione, ovvero 70 milioni di euro (il Maxxi, per fare un esempio, è costato circa 180 milioni). La società di investimento Wendel, invece,è stato il principale mecenate del progetto. Il Centre Pompidou, dal canto suo, mette a disposizione, oltre alla collezione permanente (che non era mai stata prestata prima d’ora in modo così consistente) il suo know- how e i suoi ricercatori, coprendo i costi relativi alla loro mobilitazione.
La natura “aperta” di alcune componenti del CPM (collezione permanente in particolare) ci obbliga ad una riflessione sulla trasformazione del “museo” verso un’istituzione sempre più flessibile e dalla definizione sempre meno univoca (trasformazione che del resto proprio il Pompidou di Parigi con la sua definizione aperta di “centro” polifunzionale sembra aver inaugurato). Con la creazione del CPM, la funzione della collezione permanente, in particolare, sembra adattarsi a nuove esigenze (si veda anche il caso del Louvre ad Abu Dhabi). Fondamentale per l’esistenza del CPM, che tuttavia non la possiede, la collezione permanente del Centre Pompidou ora vive e (rivive) grazie ad un uso ed a un’interpretazione condivisa di due istituzioni distinte. A Metz, quale sarà il risultato di questa nuova via? Non ci resta che attendere per vedere…