Inizia la scuola ma non cessano le polemiche, che da mesi si susseguono tra insegnanti e operatori scolastici in protesta contro i tagli abbattutisi sul settore. Dopo che oltre 300 mila insegnanti sono andati in pensione lo scorso anno scolastico, 250 mila sono i precari che, invece di trovare una cattedra, sono usciti dalle graduatorie dopo oltre 10 anni di attesa. Per loro, solo pochissimi posti a disposizione che si teme siano oggetto di assunzioni pilotate e quindi fuori dalla loro portata.
In quindici anni sono state ben cinque le riforme scolastiche che si sono susseguite a ritmi incessanti: dal ministro D’Onofrio alla Gelmini, molti studenti vantano addirittura il record di averle sperimentate tutte, con continui mutamenti di rotta che non solo hanno indebolito il sistema organizzativo, ma hanno diminuito notevolmente la qualità dell’insegnamento. Insegnanti poco motivati e preoccupati per il loro futuro professionale hanno infatti raramente ottenuto la serenità e la stabilità necessaria per dotare i propri alunni di stimoli e segnali positivi. Il tutto si è dunque andato a ripercuotere sugli studenti che hanno registrato cali di operosità e scarse competenze linguistiche che attestano gli studenti italiani agli ultimi posti delle classificazioni condotte dalla Commissione europea.
L’Italia, infatti, destina un modesto 4,73% del finanziamento pubblico all’istruzione (percentuale rimasta invariata dal 1995) contro una media europea che supera i cinque punti percentuali. Troppo poco rispetto al Pil nazionale e secondo le valutazioni dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che situa il Belpaese tra i fanalini di coda dei paesi industrializzati. Persino l’Estonia spende di più (5%) e solo la Repubblica Slovacca spende meno dell’Italia.
Dati che comunque non reggono il confronto con le riforme varate oltreoceano dal presidente Obama. Nonostante la scuola pubblica statunitense navigasse in acque migliori di quelle italiane già prima della riforma, Barack Obama ha deciso comunque di investire nella ricerca e nell’istruzione di coloro che rappresenteranno la classe dirigente del domani. Una riforma radicale che premia gli insegnanti meritevoli, a prescindere dalla loro età o dall’istituto presso il quale svolgono il loro lavoro. Più gli studenti incrementeranno le proprie capacità, tanto più l’insegnante verrà premiato e stimolato a fare sempre meglio.
Nulla a che vedere, dunque, con gli scatti di anzianità previsti dalla legge italiana che vede irreparabilmente scoraggiati gli insegnanti più giovani, sottostimati e sottopagati, e svigoriti quelli più anziani, che ormai aspettano nient’altro che la pensione.
“Non ricordo anno scolastico che non sia iniziato con delle polemiche”, ha tuonato il ministro Gelmini durante l’inaugurazione del nuovo anno scolastico. In effetti, le proteste continuano inesorabili da tanti anni, tanti quanti le riforme che hanno tentato di modificare la nostra scuola pubblica. Si procede dunque per tentativi, sperimentando i successi e i fallimenti sulla pelle degli studenti, più o meno fortunati a seconda dell’anno di nascita e del governo in carica.