Alle inedite possibilità offerte dal web e dalle reti sociali di produrre, scambiare e consumare messaggi politici, si aggiungono le nuove opportunità di critica, di risposta creativa e sincretica del cittadino-utente e i mutamenti della nozione di
“sfera politica”, conseguenti all’affermazione della network society. Il riferimento è al fatto che, nell’era dell’informazione, appaiono sempre più evidenti la dinamiche che mostrano come a “fare politica” non siano soltanto la comunicazione
istituzionale o partitica, lo spot elettorale o la notizia a contenuto espressamente politico, ma anche la comunicazione “ordinaria” in quanto agisce nella riproduzione sociale, cioè opera sul modo di “sentire” diffuso, sulle pratiche e le scelte
quotidiane. Le forme dello stare insieme e la condivisione di immaginari sostengono e plasmano la legittimazione del potere politico. Pertanto la comunicazione “non politica”, probabilmente in misura maggiore della comunicazione esplicitamente
politica, svolge funzioni centrali nella formazione delle opinioni pubbliche in termini di influenza, autorità, controllo, negoziazione e scambio simbolico.
Assumiamo quindi che, per un’analisi dei mutamenti politici in atto sensibile ai cambiamenti digitali, occorra considerare prima di tutto le trasformazioni delle dinamiche relazionali, comunicative ed economiche che provvedono oggi alla
riproduzione sociale, secondo nuove e vecchie ideologie. La quotidianità è infatti abitata da pensieri, strutture, mezzi e momenti, formalmente non politici e apparentemente completamente estranei alla politica che, ad un’analisi più attenta,
si svelano politicamente rilevanti: le trame della comunicazione, le sue tragedie e le sue feste, le sue banalità, fattori catalizzatori e scatenanti dell’energia sociale (1) nonché luoghi possibili di decostruzione e ri-scrittura di modi di pensare ed agire diffusi, di realizzazione di una nuova etica o di riproduzione di dinamiche (politiche, sociali, economiche, amicali) note.
Alcune teorie della comunicazione politica digitale affermano l’assenza di confini della sfera politica e di quella ideologica, se pur limitatamente alla “realtà” del mondo virtuale, considerando come politico il pubblico (gli spettatori della politica)
e tutto ciò che è pubblico (anche nel senso di “pubblicato”).
Come sostengono Susca e De Kercokhove, sociologi e teorici della comunicazione, la politica nell’epoca della sua riproducibilità digitale, quando l’uomo e il messaggio politico diventano riproducibili come messaggi ri-creati da ciascun utente con un click, sollecita il “divenire politico del pubblico”. Il cittadino-utente, prima soltanto pubblico dello spettacolo della politica, infatti, con i social network fa politica, intervenendo incisivamente nei flussi di comunicazione politica veicolanti le scelte elettorali di molti. E l’“aura” elettronica si pone come una rete di fili che lega, “in modo sempre più tattile” ogni membro all’altro ed alle proiezioni del suo immaginario.(2) Immaginario che, generalizzando, è sempre più popolato dal ludico, dal sensibile, dal corpo nelle sue molteplici espressioni e privilegia la “condivisione” dell’emozione quotidiana all’argomentazione razionale. Un immaginario collettivo e dominante, dunque, che pone nuove sfide alla crisi della democrazia rappresentativa occidentale.
Un’analisi della politica digitale deve tenere conto quindi dei mutamenti dell’ideologia, della logica e dell’etica dominanti proprio all’interno del web 2.0 e dei social network più popolati, al contempo motori, contenitori e diffusori dei
cambiamenti in questione. Deve dunque interrogarsi sull’esito dell’incontro, consumato nello spazio delle reti sociali, tra lo spirito del capitalismo con lo spirito dell’età dell’informazione e l’etica hacker. Vediamo dunque quali sono i caratteri
nodali di questi complessi etici.

Spirito del capitalismo ed etica hacker

Max Weber, nel saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, individuava un insieme di peculiarità che riguardano il senso dell’agire capitalistico (3) e che appaiono ancora centrali nell’agire contemporaneo fuori dalla rete, nella vita sociale
legata al lavoro, anche a quello tecnologico ed innovativo. Weber rilevava il carattere tipicamente razionale dell’agire capitalistico, la logica formale del calcolo economico presente nell’agire comune, la tendenza ad organizzare il tempo rispetto allo scopo. Non si può negare che “l’agire razionale rispetto allo scopo” costituisca tutt’oggi il “tipo ideale” di azione dominante. Anche in casa si tendono ad utilizzare i metodi del business per ottimizzare i tempi, e le ore disponibili sono programmate e pianificate: portare i bambini all’attività sportiva: 17.30-17.45. Palestra: 17.45- 18.30. Seduta dall’analista: 18.30-19.20. Andare a prendere i bambini: 19.20- 19.35. Preparare la cena e mangiare: 19.35-20.00. Conversazione con il/la
consorte: 20.00-20.30. Programma televisivo: 20.30-22.30. Attenzioni rivolte al/alla consorte (occasionalmente): 23.00. Dormire4. Anche la casa è stata taylorizzata o automatizzata per rendere i compiti più semplici e veloci e tornare rapidamente sul posto di lavoro. Nella conduzione della vita domestica entra poi in gioco un’altra forma di strategia di business: l’esternalizzazione del lavoro prima competente al ruolo di madre, figlia, donna di casa, donna in cucina, attraverso
baby-sitter, badanti, domestiche, cibi da asporto. La donna, supervisionando e coordinando le parti di vita date in appalto5, diventa sempre più manager della genitorialità.
Dall’affermazione sociale del web 2.0 e del social networking, tuttavia, quest’etica appare scalfita, rinnovata in senso ludico. L’etica razionalizzante dell’agire contemporaneo fuori dalla rete costituisce un’importante premessa per comprendere il carattere sovversivo dell’etica promossa dal web, che si rispecchia nelle trasfigurazioni della politica digitale. Vinton Cerf, talvolta definito “padre di internet”, descrive la programmazione, il suo lavoro, come “qualcosa di veramente affascinante” (6); Steve Wozinak, colui che ha costruito il primo vero personal computer, commentando la scoperta della programmazione, scrive “era veramente il più intrigante dei mondi” (7). Si tratta di un atteggiamento comune a tutti gli
hacker(8): la curiosità genuina della scoperta e la condivisione dell’entusiasmo animano il loro lavoro.(9) Esso non è inteso solo come strumento per il proprio sostentamento economico, al contrario spesso è svolto gratuitamente, costituisce
un dono per la comunità hacker, non è mai direttamente finalizzato allo scambio sul mercato, all’accumulazione di capitale. Sebbene queste cose (procedure economiche e denaro) ne scaturiscano, il lavoro è concepito come passione, non è
regolato rigidamente in termini di tempo, non è orientato monologicamente ad un unico scopo.
Ciò che rende gli hacker un importante “oggetto” di ricerca è il fatto che, come scrive Linus, rappresentino una sfida spirituale di portata generale per i nostri tempi (10). Non a caso nel “file di gergo” è precisato che l’hacker è un esperto o un
entusiasta di qualsiasi tipo. Una persona può essere un hacker senza avere mai nulla a che fare con i computer. In questo senso l’etica hacker si manifesta come un nuovo costume che, partendo da quella del lavoro, può ristrutturare l’etica generale del nostro tempo storico-sociale, sfidando la mentalità che ci ha resi schiavi, analizzata nel classico di Weber (11). Raymond, nel definire la filosofia di Unix scrive che “La scrittura e l’implementazione di software dovrebbero essere un’arte
giocosa. […] Bisogna avere, o riconquistare, quell’atteggiamento. Bisogna prenderselo a cuore. C’è bisogno di giocare. Bisogna avere la volontà di esplorare.” (12)
Tra i valori dell’ideologia contemporanea, dello spirito del capitalismo, vi sono quindi i valori ereditati dall’etica protestante, laici ma assunti come sacrosanti: il lavoro (sempre meno disponibile, eppure sempre più al centro delle politiche
economiche), il denaro (oggi non più accumulato, ma finalizzato al consumo per la produzione, per il sostentamento del ciclo produttivo), l’ottimizzazione (legata ad un agire tipicamente razionale rispetto allo scopo: “il tempo è denaro”). Come
conseguenze dell’adattamento del capitalismo a produrre denaro in una nuova situazione tecnologica, emergono però altri valori relativamente nuovi, come quello della flessibilità o della misurabilità dei risultati. A questi, che potremmo definire
propri dello spirito contingente, dello spirito dell’”informazionalismo”, l’etica hacker ne oppone altri: la passione e la libertà, il valore sociale e l’apertura, l’attività e la responsabilità, intese come caring, come cura dell’altro e della società a lungo
termine. La passione e la libertà nelle scelte organizzative e tematiche trasformano il lavoro in un’occasione giocosa e creativa, volta a produrre per l’altro. Gli hacker sono motivati dalla forza del riconoscimento tra pari, da una forza sociale e non economica. Il riconoscimento all’interno di una comunità che condivide una passione è più importante ed intensamente soddisfacente del denaro. Sebbene non tutti gli hacker abbiano scelto di agire in questo senso, per moltissimi di loro le
informazioni e gli strumenti individuati dal proprio lavoro, dalla ricerca, vanno immediatamente ceduti alla rete, donati alla comunità generalizzata di internet, in cambio soltanto del riconoscimento morale del proprio merito. Altri così potranno
portare avanti il lavoro, aggiungervi valore e conferire al nuovo possibilità di sviluppo. Unico vincolo: la citazione della fonte. In questo senso l’etica hacker assomiglia e si rifà all’accademia, dove i risultati della ricerca scientifica godono
spesso solo del tributo della citazione, dell’onestà intellettuale e del riconoscimento sociale della comunità scientifica. Il guadagno di denaro per molti hacker è soltanto una fonte di sostentamento “comodo”, mai l’unico scopo. Ne è un esempio
l’esperienza di Wozniak alla Apple. Dopo sei anni dalla fondazione dell’azienda possedeva azioni per un valore di circa cento milioni di dollari. Ne vendette moltissime per un prezzo straordinariamente basso ai colleghi, in modo da diffondere la ricchezza in maniera equa all’interno dell’azienda. Lasciò la Apple e, grazie alla sua indipendenza economica, trascorse tutto il tempo facendo quello che gli piaceva: insegnare ai bambini nelle scuole e a casa propria l’uso del computer e l’etica hacker. Lo scopo non era certo accumulare ricchezza di tipo monetario, sebbene certo Woziniak fosse diventato molto ricco. Si potrebbe dire che, semplicemente, lo scopo non era uno solo.
Questa nuova disposizione ad agire è propria dell’etica hacker, dell’etica cioè di chi ha inventato e progettato gli strumenti che oggi modellizzano e canalizzano la fruizione di buona parte del tempo reale dei cittadini-elettori-utenti della rete, del
popolo dei social network.
A introdurre nelle abitudini di un vasto gruppo di soggetti le modalità di interazione digitale giocose e partecipate, ad iniettare alcuni elementi dell’etica hacker
capillarmente nel tessuto sociale, è stata l’affermazione del web 2.0. Questo termine, coniato dall’editore statunitense O’Reilly Media, celebra la nuova generazione di servizi offerti da internet che permette di condividere ed immettere
contenuti nel cyberspazio in modo semplice ed intuitivo(13).
L’uso esteso dei nuovi media non è stato reso possibile esclusivamente dalla messa a punto di tecnologie informatiche user friendly, ma anche dall’emergere di grandi colossi aziendali. In particolare la Microsoft (definita da molti hacker, scrive Pekka Himanen, “nemico numero uno”14) ha acquisito una posizione monopolistica nella vendita di sistemi operativi e browser, omologando linguaggi, tecniche e modalità di navigazione. Questa sorta di “regime industriale” rappresenta il modo in cui le più innovative produzioni informatiche sono state assorbite dalle nuove forme del capitalismo industriale occidentale.(15)
Nello stesso modo in cui lo spirito del capitalismo negli anni si è affrancato dalla sua radice religiosa e, “posando su un fondamento meccanico, non ha avuto più bisogno del suo aiuto”(16) perseguendo obiettivi diametralmente opposti da quelli stabiliti dall’etica protestante (pensiamo alla rinuncia ai beni esteriori, imposta dal rigore calvinista e spiazzata via dalle esigenze del mercato), lo spirito del network contemporaneo ribadisce solo alcuni principi dell’etica hacker e rinuncia ad altri, come la difesa assoluta della privacy dai governi e dalle aziende.
Le tendenze etiche descritte (quella protestante alla base dello spirito del capitalismo e quella degli hacker), dominanti in spazi sociali di differenti proporzioni e rilevanza, si incontrano nella rete. Soprattutto all’interno dei social network,
dispositivi capitalistici, gestiti da privati e vincolati alla new economy, l’etica hacker si incastra in un’architettura rigida e predefinita. Questa permette di vivere nei limiti dei sui confini e delle sue disposizioni, l’esperienza della creazione e della
condivisione che gli hacker vivono e propongono non solo come fruizione di programmi dati, ma anche come possibilità di decostruzione e ri-programmazione. I social network, quindi, da una parte costituiscono uno spazio sociale, inserito
nell’economia capitalista e vissuto, riprodotto da cittadini di una realtà storicosociale ed etica precisa, dall’altra sono frutti della rete e conservano il ricordo dell’etica che ne ha creato i presupposti.
Nei social network l’etica capitalistica diviene ibrida, diventa un’etica nuova (sempre capitalistica ovviamente) che, dissidente all’ordine, rende ancora più evidente come la comunicazione e la condivisione siano considerati oggi lo strumento avvalorante del lavoro, sia esso lavoro ordianariamente inteso, o lavoro linguistico, lavoro semiotico. La comunicazione diventa così anche l’essenza della politica rappresentativa.

Linee guida della società dell’informazione e partecipazione digitale

Larry Page e Sergey Brin, i due ragazzi americani creatori di Google, si basarono sul modello della rivista scientifica, che attribuisce valore a un lavoro in base al numero di volte che esso viene citato, quando giunsero a stabilire che le pagine più rilevanti nel web fossero quelle su cui punta il maggior numero di link. Sono cioè le pagine più citate da altre pagine. E le citazioni non provengono da una comunità di scienziati ma dall’intero popolo della rete. Così, le traiettorie suggerite da milioni di link individuano le vie del sapere oggi prevalenti. Il valore di un dato non è circoscritto e non dipende dalle sue caratteristiche intrinseche, ma è una traiettoria costruita dalla comunicazione. I proverbi, diceva Benjamin con una bella
espressione, sono i geroglifici di un racconto: la pagina web in testa ai risultati di Google è il geroglifico di tutto un viaggio, fatto di link in link, attraverso l’intera rete. Questo principio ha certo qualcosa che ha a che fare con la democrazia,
sistema in cui il potere è attribuito al più votato, al più linkato.(17)
Le reti ed i loro immaginari portano con sé un nuovo paradigma transpolitico, il passaggio fatale dalla democrazia alla comunicrazia, un sistema che riposa sull’immaginario delle comunità dal basso, sulla forza della comunicazione
orizzontale, sulle comunioni che continuamente si celebrano attorno ai giochi della vita quotidiana.(18) L’agire razionale rispetto allo scopo resta un atteggiamento comune e si concreta nell’agire consapevoli dell’esposizione, per la costruzione a
piccoli pezzi della propria identità virtuale. Il resto è estro, giocosità.
La possibilità interattiva e l’uso simultaneo di molti linguaggi (linguaggi verbale scritto, il linguaggio fotografico, linguaggi delle immagini, linguaggi sonoro, etc.) sviluppano negli utenti la propensione ad una comprensione rispondente, alla
ricezione attiva. Ovviamente questo ha delle ripercussioni nel rapporto con la politica: i cybernauti sono ostili agli stili comunicativi espressamente persuasivi, conformi al modello televisivo, celebrano invece la costruzione di messaggi
alternativi.
Le possibilità di condivisione e creazione delineate dall’etica hacker e diffuse dal web 2.0, permettono oggi attraverso i social network, il controllo dei rappresentati politici e la loro ri-scrittura. E’ possibile per ciascun utente camuffare le fotografie di un leader partitico, caricaturizzarle (per esempio prendendole da Facebook e lavorandoci con gli appositi programmi per poi ripubblicarle e condividerle), fare propri dei video diffusi dal partito in campagna elettorale e montarli in altro modo,
inserirvi fotogrammi. Anche chi ha poca attitudine all’azione mediata dal computer, può in ogni momento approvare il messaggio politico (“mi piace” si dice con Facebook) o negargli il consenso. Può argomentare la propria posizione rispetto alle scelte istituzionali usando gli emoticon, i link o il linguaggio verbale. A fare la differenza infatti è la possibilità del cittadino-utente di ricorrere a linguaggi creativi e sincretici al pari di quelli istituzionali. Non sono più soltanto le agenzie di
comunicazione politica a produrre video, spot, narrazioni persuasive, ma pure i fruitori, gli elettori. E tali video hanno possibilità di diffusione notevole e spontanea nella comunicrazia. Questo può essere inteso come il progressivo insinuarsi della sfera del quotidiano, dell’emotivo, del ludico nell’ambito della politica e della comunicazione politica. Gli utenti del web, utilizzano il politico in interazioni giocose e in un certo senso “disimpegnate” ma critiche, molto lontane dai territori
istituzionali e rigidi che la politica ha usualmente percorso. Viene meno il ruolo del regista: il nesso tra regia e progetto (parola magica della modernità, dello spirito del capitalismo, dell’agire razionale rispetto allo scopo) si sgretola di fronte a forme di creatività non più verticali ma reticolari. (19)
La politica risponde a queste nuove dinamiche accentuando la propria platealità e ridondanza, ma pure offrendo nuovo materiale partecipativo e spunti critici. Il potere politico si esibisce come potere spettacolare che narra le passioni, gli umori
e gli eccessi dei corpi, ma anche i programmi politici, sul web presto accessibili a tutti. Ne emergono l’opposizione e la resistenza della politica digitale alla crescente spettacolarizzazione della politica televisiva che vede una netta prevalenza delle abilità comunicativo-seduttive dei candidati, a detrimento di una presentazione e di un dibattito razionale dei temi della decisione politica e delle alternative disponibili.
Il carisma della leadership “teledemocratica” ha da tempo scavalcato l’istituto della mediazione partitica, provocando un cortocircuito fra le aspettative consumisticospettacolari del pubblico e la cristallizzazione e replicazione di queste aspettative in immagini personalizzate ed idealizzate.
Dunque, a conciliare i meccanismi di scelta della rappresentanza politica che permetta al popolo l’esercizio indiretto della sovranità, della quale è unico titolare, non compaiono come previsto dagli artt. 1 e 49 della Costituzione italiana, i partiti
politici. La centralità di questi organismi, anello di congiunzione tra le istituzioni rappresentative e la volontà popolare, è sempre più scossa dalla costruzione della narrazione personalistica di un leader, imposta delle leggi del mercato. Il
telepopulismo, sincretismo spettacolare tra la cultura televisiva e il populismo, è, secondo Susca e De Kercokhove, la figura politica più appariscente dell’ultimo decennio di storia occidentale. Si tratta di un’attualizzazione marketing oriented del
populismo, impregnata di tutti i codici dello spettacolo mainstream televisivo.
Consideriamo la signora Blair che aveva scelto di raccontare le doti amatorie di suo marito; la signora Bush che nel pieno di una conferenza pubblica era intervenuta a sorpresa, sostenendo di essere una casalinga disperata e facendo esplicito
riferimento alla fiction Disperate Housewives; Hillary Clinton, alla conquista delle primarie democratiche, che sottintendeva l’ombra della Sala Ovale, a stimolare torbidamente l’immaginazione del telespettatore che desiderava guardare l’azione
dell’eroina in quella che fu la stanza del suo oltraggio pubblico e privato; i pettegolezzi sul presidente venezuelano Hugo Chavez e la fotomodella Naomi Campbell; la storia d’amore del presidente francese Nicolas Sarkozy con Cécilia e a
quella con Carla Bruni; le lettere d’amore pubblicate da Repubblica tra Silvio Berlusconi e sua moglie Veronica Lario, gli scandali che legano il Presidente del Consiglio ad altre figure femminili come quella di Patrizia D’Addario. Tutti eventi
amplificati non solo da rotocalchi e televisione ma anche dal web, dalle reti sociali, letti in maniera critica dalle folle digitali, molto spesso commentati attraverso la pubblicazione di articoli, commenti, video tesi a disapprovare, denunciare e
beffeggiare il telepopulismo. L’effervescenza delle folle digitali e la loro estetica estesica comunque differisce da quella tipicamente televisiva; essa affila l’arma della critica e del controllo. Nei social network c’è poco consumo di spettacoli
personalistici dei politici: chiunque può dare una sbirciatina alla vita di chiunque, per cui la disposizione voyeuristica è appagata e molti di più sono gli strumenti per accedere all’informazione.
Nell’ambito dell’affermazione dello spirito del capitalismo attraverso la sua etica, emerge lampante la consonanza del processo economico e di quello democratico.
Dunque, è possibile per i teorici neoclassici (20) adottare la concorrenza economica come metafora esplicativa del processo democratico e impegnarsi in una valutazione che predica la razionalità generale dei meccanismi del mercato.
Secondo la stima neoclassica, la democrazia può essere pensata come sottoprodotto del mercato politico, quando questo mercato operi in un contesto di effettiva libertà di scelta dei “consumatori politici” e in funzione delle loro preferenze. Nel web diventa sempre più difficile incontrare qualcuno disposto ad accettare il ruolo di consumatore, i cybernauti sono infatti impegnati nella produzione, nello scambio e nel consumo dei messaggi politici, protagonisti di tutto il ciclo produttivo. Così la teoria democratica deve rinunciare all’approccio economicistico e sfidare una complessità più fitta che consideri la reticolarità dei rapporti.
Il successo del politico è pertanto inversamente proporzionale alla sua omogeneità agli stili, ai contenuti e alle logiche non-virtuali: vince chi sfida l’ordine estetico ed etico dei sistemi di potere. Scriveva Walter Benjamin che i racconti di Edgar Alan
Poe narrano abilmente, l’irresistibile fascino che il pubblico prova per la figura del violento, del delinquente e dell’assassino. Il suo desiderio di essere invaso e avvinto da questa figura, di lasciare agire i suoi spiriti distruttivi, non riguarda la simpatia o la condivisione delle sue azioni, ma l’attrazione che suscita chiunque possa dimostrare con un gesto la potenzialità che ognuno ha di sovvertire il sistema, la sua razionalità e il suo diritto. Pertanto la violenza suscita la simpatia del pubblico.(21)
Il sistema dei media, come espressione dell’immaginario collettivo, incalza la dissoluzione del politico e sostiene l’emersione di soggettività idiosincratiche al suo ordine. Dunque la nostra contemporaneità, segnalando straordinariamente la
progressiva tensione delle culture quotidiane verso la riappropriazione creativa delle tecnologie della comunicazione, quindi della politica partecipativa e partecipata quotidianamente, delinea un quadro in cui sopravvive e vince il dissidente
all’ordine.

Il caso pugliese: le primarie del centro-sinistra

“Nichi Vendola in Puglia si ricandida come Obama: con una videolettera”, scrivono i giornali. Il candidato di Sinistra, Ecologia e Libertà sceglie il web come primo e principale mezzo per comunicare la sua candidatura e dare il via alla campagna elettorale. Pubblica così un video nel quale si rivolge a tutti i pugliesi. Questo è subito oggetto di pubblicazione e condivisione a catena su Facebook, il social network utilizzato in maniera più estesa in Italia e in Puglia, nonché il più influente in termini di voto.
Nonostante la posizione ostile alla sua candidatura del Partito Democratico e dell’UDC (Casini aveva dichiarato l’impossibilità di aprire uno scenario di alleanze ove fosse stato proprio Vendola il candidato), quasi duecentomila persone sono andate a votare per le primarie in Puglia ed hanno scelto Vendola. I numeri parlano chiaro: c’è stata un’affluenza ai seggi triplicata rispetto a quella di cinque anni fa; inoltre, più del 73% degli elettori ha deciso di continuare sulla strada intrapresa dal
leader di Sinistra, Ecologia e Libertà nella gestione e nell’amministrazione della sua regione. E’ ovvio che a muovere la valutazione dei cittadini non sia stato solo o soprattutto il web, ma pure l’operato del Governatore uscente negli ultimi cinque anni insieme con altri fattori comunicativi.
Nichi Vendola, “rivoluzionario gentile”, appare dissidente per le idee, le scelte linguistiche, stilistiche, etiche ed estetiche, per le posizioni politiche. Rappresenta quindi la figura carismatica ideale per il popolo della rete, per il suo desiderio di trasformazione e di protagonismo nel processo di cambiamento. E’ stato sostenuto che la sua vittoria segni la possibilità della fine della realpolitik di tendenza mitteleuropea, del cinico pragmatismo a scapito del romanticismo in politica, della
resa dei sogni e delle utopie. Questo risultato ha rappresentato per moltissimi la vittoria del pensiero di ciascuno su ciò che pretende di ordinare e dirigere questo pensiero, la vittoria della fantasia sui calcoli e sulla logica economicistica. Per dirla
con le stesse parole di Vendola, “fra la difesa d’ufficio, con toni vagamente sociologici, di un’identità sempre più genericamente progressista, oppure la suicida rincorsa alla destra sui temi della sicurezza”, Vendola è la terza via, è la
dimostrazione che “criticare il populismo dalla parte del popolo, riuscendo ad evocare un senso comune alternativo”, come egli ama dire, non è soltanto possibile, ma anche vincente (22).
Refrattario a forme di telepopulismo (della sua vita privata non si conoscono o discutono i particolari) propone l’argomentazione razionale senza rinunciare al coinvolgimento sensibile e partecipativo. Vendola rifiuta il linguaggio politico
dominante, televisivo, sempre in cerca di opposizioni e di conflitti, per intraprendere una strada nuovamente propositiva. Perfetto per la comunicazione reticolare e passionale, lo stile del Governatore pugliese uscente è stato supportato da una
struttura aperta di volontari pieni di fiducia nelle potenzialità partecipative del web: si tratta della “Fabbrica di Nichi”, non un semplice comitato elettorale ma uno spazio diverso, attivo e creativo. Volontari di tutta la Puglia attivano un processo di
rete e partecipazione: idee, proposte, informazioni e contenuti di ogni genere nascono e si diffondono vorticosamente per tutta la regione, attraverso il web e le azioni sul territorio. Così, attraverso questo luogo fisico e virtuale, si racconta a
tutti cosa è stato fatto e perché si ritiene importante rieleggere Nichi Vendola (23).
Il sito ufficiale della “Fabbrica di Nichi”(24) è ben organizzato, semplice e chiaro, ed offre a chiunque gli strumenti per partecipare attivamente alla campagna elettorale attraverso un vademecum (25). Questo espone come creare una sede della fabbrica, come coordinare il proprio lavoro con la sede centrale dei volontari di Nichi e soprattutto offre consigli su come costruire una “fabbrica perfetta”. Sono suggerimenti che chiariscono come coinvolgere altri volontari, che individuano
quale numero di mail e sollecitazioni è favorevole inviare per non produrre perdita di interesse, come essere sempre informati sulle azioni del Governo alla Regione di Nichi, come divertirsi e creare non dimenticando di star facendo qualcosa di serio.
Sul sito della “fabbrica di Nichi” è possibile, inoltre, incontrare inviti alla partecipazione anche occasionale ed originale, come quello individuato dall’iniziativa delle “buone azioni”: “in ogni elettore di Nichi, si nasconde un attivista!” scrivono i
volontari sul sito, le “buone azioni” sono gesti utili, partecipativi e low cost realizzati sul territorio, documentati e inviati attraverso foto e video o sui social network.
Desta particolare interesse dal punto di vista della strategia “economica”, la possibilità di creare manifesti su Facebook ed inviarli pubblicandoli sull’home page della “fabbrica di Nichi”, o tramite mail, a chi si occupa della campagna elettorale.
E’ noto che la comunicazione elettorale, gli spot e i manifesti comportino, tradizionalmente, investimenti ingenti: questi appaiono oggi abbattibili tramite la comunicazione e la collaborazione digitali. Oltre al vantaggio relativo ai costi
materiali per la produzione dei video, dei manifesti e per l’acquisto degli spazi (televisivi, provinciali), emerge nuovo il vantaggio relativo alla materia semiotica, al lavoro creativo. Nell’esperienza pugliese, non solo relativa alle primarie ma pure e in maniera più forte alla campagna elettorale tutta, c’è tanto lavoro creativo certamente produttivo e volontario. La gratuità, il dono, sono principi importanti nella campagna elettorale. Peraltro appaiono economicamente rilevanti non solo
perché riducono il costi dell’investimento, ma anche perché si rivelano moltiplicatori degli esiti della comunicazione sintonizzandosi col “sentire” della folla digitale. Così, moltissimi “fan” di Vendola hanno “regalato una rima” alla campagna elettorale e, scegliendo uno sfondo predefinito dal sito, creato un manifesto. Le idee originali sono tante:”Giù le mani dalla brocca: l’acqua è nostra, non si tocca!” recita un manifesto facendo riferimento alla privatizzazione dell’Acquedotto pugliese a cui Vendola si oppone. Dato l’impegno del Governatore pugliese per la rivalutazione del turismo in Puglia durante tutti i periodi dell’anno (il turismo pugliese prima delle iniziative del governo Vendola viveva d’estate, mentre era praticamente nullo nelle altre stagioni), c’è chi ha creato il manifesto “Dai tedeschi ai giapponesi tutti in Puglia, tutti i mesi.” Altri manifesti pubblicati dagli utenti di Facebook fanno riferimento alla politica ambientale del Governatore uscente per la città di Taranto,
alle iniziative culturali, come quella nell’Apulia Film Commission, o alle politiche giovanili che hanno offerto fondi per le attività post-laurea attraverso il progetto e i bandi Bollenti Spiriti; alla lotta contro il precariato di Vendola, o alla sua
opposizione al nucleare. Le più note ripetono su manifesti colorati per le strade delle città e sulle pagine di Facebook questi slogan rimati: “Cambia l’aria tarantina con la legge anti-diossina”, “Con l’Apulia Film Commission lo sviluppo non è fiction”,
“Nascon giovani talenti con gli spiriti bollenti”, “Col contratto co.co.pro. questo bimbo a chi lo do?” “Poche scorie via smammare! Disse il sole al nucleare.” Il tema comune, individuato dalla fabbrica centrale di Nichi, quella barese è: Vendola, la poesia è nei fatti. Ciascuno dunque, basandosi sui fatti, sulle politiche già intraprese negli anni di governo della regione e sulle linee programmatiche della campagna elettorale, può creare la sua rima. I manifesti possono essere stampati ed attaccati per le strade dai volontari. E’ possibile anche scaricarli e stamparli in formatocartolina.
Per la creazione personale della comunicazione elettorale sono disponibili e scaricabili sul sito della fabbrica di Nichi in formato compresso le foto di Nichi Vendola.
L’organizzazione appare ottima e il suo responso su Facebook è evidente (57.414 fan): le primarie hanno così rivelato come piccoli investimenti economici e un utilizzo intelligente del web e delle reti sociali, possano garantire un ottimo risultato. La campagna elettorale per le regionali ha ribadito la medesima possibilità.

Note:

1 cfr. Susca, V., De Kercokhove, D., Transpolitica. Nuovi rapporti di potere e di sapere, Milano, Apogeo,
2008, p.81.
2 cfr. Susca, V., De Kercokhove, D., Op.Cit., pp. 74-77.
3 cfr. Weber., M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo [1905], Milano, RCS Libri, 2009, pp. 11-58.
4 cfr. Himmanen, P., L’etica Hacker e lo spirito della società dell’informazione, Prologo di Linus Torvalds ed epilogo di Manuel Castells, Milano, Feltrinelli, 2001, pp. 30-31.
5 Hochschile, T., Time Bind, Metropolitan Books, NY 1997, p. 232.
6 The Jargon Lexicon, alla voce Hacker, su http://www.outpost9.com/reference/jargon/jargon_23.html#SEC30
7 The Jargon Lexicon, alla voce Hacker ethic, su http://www.outpost9.com/reference/jargon/jargon_23.html#SEC30
8 Il termine “Hacker”, a partire dalla metà degli anni ottanta, per i media è diventato sinonimo di criminale informatico. Gli Hacker stessi, per evitare di venire confusi con coloro che creano virus e penetrano nei sistemi informatici/informativi, chiamano queste persone “cracker”. Qui col termine “Hacker” ci riferiamo quindi al gruppo di appassionati programmatori che si autodefinirono così, accomunandosi a tutti coloro che ritengono la condivisione dell’informazione un bene positivo ed efficace, e la condivisione delle competenze un dovere etico.
9 cfr. Himmanen, P., Op.Cit., p. 15.
10 Himanen, P., Op. Cit. pp. 9-12.
11 Torvals, L., Prologo a L’etica Hacker e lo spirito della società dell’informazione, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 6.
12 Himmanen, P., Op.Cit., p. 17.
13 cfr. Cassano, A., “Identità politiche e nuovi media” in Quaderni del dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche dell’Università degli Studi di Bari, a cura di G. Elia, 2008, Bari, Laterza, pp. 255-269; Il documento di Tim O’Reilly, tradotto in italiano è consultabile all’indirizzo http://xyz.reply.it/web20.
14 Himanen, P., Op. Cit., p. 51.
15 cfr. Cassano, A., Op. Cit, p. 257.
16 cfr. Weber., M., Op. Cit, pp.128-129.
17 cfr. Baricco, A., I Barbari, Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 79-93.
18 cfr. Susca, V., De Kercokhove, D., Op.cit. , p. 89.
19 cfr. ivi, p. 106.
20 Cfr. Schumpeter, J., Capitalism, Socialism and Democracy; Harper & Brothers , New York, 1950; trad. it. Capitalismo, Socialismo e Democrazia, Etas Libri, Milano, 1977, pp. 269-270.
21 cfr. Susca, V., De Kercokhove, D., Op.cit. , p. 98; Benjamin, W., “Per la critica della violenza”, in Angelus Novus. Saggi e Frammenti [1955], Einaudi, Torino, 2000, p.9.
22 cfr. http://www.lavalledeitempli.net/riflessioni/niki-vendola-la-vittoria-sulla-realpolitik
23 cfr. http://fabbrica.nichivendola.it/chi-siamo/cose-la-fabbrica-di-nichi/
24 http://fabbrica.nichivendola.it/
25 http://fabbrica.nichivendola.it/wp-content/uploads/vademecum.pdf
BIBLIOGRAFIA

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Nota: questo articolo è pubblicato su www.ticonzero.info