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Non sono passati molti giorni dal crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei, area archeologica straordinaria che, proprio in nome della sua vastità e complessità è stata oggetto di numerosissimi interventi, sia di tipo amministrativo-giuridico (legge 352, art.9), sia di restauro, con esiti a volte contradditori.
Ai risultati positivi raggiunti in questi anni con la creazione di un sito internet ad hoc, di percorsi di visita tematici e notturni, biglietti cumulativi, presenza di servizi aggiuntivi, eventi ed esposizioni temporanee all’interno del sito si contrappongono problematiche (individuate nel 2003 anche dall’allora soprintendente Pier Giovanni Guzzo) riguardanti la gestione del personale, la direzione amministrativa, gli aspetti di vigilanza, la presenza di esercizi abusivi nei pressi dell’area archeologica, e, infine, lo stato di degrado dei reperti e delle aree limitrofe.
Se è vero, infatti, che l’organizzazione di eventi abbia ridotto le attività di manutenzione per mancanza di fondi, questa ha però indubbiamente favorito il ritorno di immagine del sito archeologico, richiamando ad esso numerosi visitatori con un conseguente aumento di profitti.
Nel caso della gestione del personale, invece, il fatto di dover fare riferimento direttamente all’amministrazione centrale del Ministero dei beni e delle attività culturali non ha permesso di formare e qualificare i dipendenti in modo tale che possedessero competenze di gestione e di manutenzione per salvaguardare i reperti, evitando il degrado del sito.
“Sono rimasti cinque operai – spiega la dottoressa Annamaria Ciarallo, responsabile del Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza – mentre vent’anni fa ce n’erano un centinaio”, una situazione ben diversa da quella auspicabile.
Nel 1997, poi, la svolta: con la legge n.352, art.9, si verifica il primo caso in Italia di gestione autonoma del patrimonio archeologico. La legge, infatti, attribuiva alla Soprintendenza di Pompei completa autonomia in ambito scientifico, finanziario, amministrativo ed organizzativo, con il fine di semplificare la struttura amministrativa e decisionale e di decentrare competenze e responsabilità verso le strutture periferiche dell’amministrazione statale, dando inoltre la possibilità di intrattenere legami con i soggetti privati per la gestione dei beni archeologici.
Nel 1998, la soprintendenza archeologica di Pompei, divenuta autonoma, si è dotata quindi di un consiglio di amministrazione (composto da soprintendente, direttore amministrativo e funzionario della precedente struttura direttiva), di un collegio dei revisori dei conti (costituito da due funzionari del Ministero per i beni e le attività culturali e da un funzionario del Ministero dell’Economia e delle finanze), di un comitato consultivo (composto dal soprintendente di Pompei, dal responsabile amministrativo della soprintendenza, dai rappresentanti della provincia di Napoli e della Regione Campania e dai sindaci dei comuni coinvolti nella soprintendenza) e di un ufficio del direttore amministrativo. In ambito amministrativo si permetteva il coinvolgimento di figure manageriali e, in quello finanziario di attingere agli introiti della bigliettazione e della riscossione di diritti di varia natura. Un incentivo fiscale statale del 30% sul totale di spesa, era inoltre previsto per la società pubblica o privata che avrebbe svolto attività volte alla salvaguardia del sito.
Nel 2007, però, la struttura viene completamente rivisitata: il Presidente della Repubblica, con il decreto n.233, costituisce la Soprintendenza Speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei alla quale vengono assegnate le aree archeologiche ed i musei gestiti prima solo dalla Soprintendenza di Pompei.
La nuova Soprintendenza così generata decide quindi di non mantenere la figura del direttore amministrativo, conservando invece il consiglio di amministrazione (composto dal soprintendente che svolge il ruolo di presidente, dal funzionario per la contabilità ed il bilancio, dal funzionario tecnico-scientifico e da un addetto nominato dalla conferenza Stato-Regioni) e il collegio di revisione dei conti (costituito da due funzionari del Ministero per i beni e le attività culturali e da un funzionario del Ministero dell’economia delle finanze con il ruolo di presidente).
Nonostante l’autonomia paventata da tali decreti, molte sono state le difficoltà di gestione in questo lasso di tempo: tali criticità hanno quindi indotto il governo a dichiarare lo stato di emergenza, dapprima fino al 30 giugno 2009, poi fino al 30 giugno 2010.
L’11 luglio 2008, con ordinanza n.3692 del Presidente del Consiglio dei Ministri, è stato definito il ruolo del Commissario, che si sarebbe dovuto occupare della salvaguardia e della messa in sicurezza delle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Castellammare di Stabia; tra le incombenze vi erano, tra le altre, l’allontanamento degli stabilimenti abusivi in prossimità del sito archeologico, la gestione dei soggetti privati per la vigilanza dell’area archeologica, la distribuzione del personale della Pubblica Amministrazione addetto ai lavori nel sito, gli interventi di manutenzione contro il degrado e attività di fundraising volte alla tutela del sito.
Il 30 luglio 2009, con la proroga dello stato d’emergenza, i compiti del Commissario si sono ulteriormente ampliati prevedendo altresì la promozione di iniziative che incentivino qualitativamente la fruizione del sito, la presenza di servizi di guida per i turisti, le attività di comunicazione per la promozione e valorizzazione delle aree archeologiche e la strutturazione di due documenti, uno che censisse i beni culturali e l’altro che individuasse azioni di tutela.
Nonostante la normativa vigente lo permettesse, accanto alla figura del Soprintendente, però, non è mai stata prevista quella del manager. E ora, a Pompei, da oltre sei mesi manca il sovrintendente, sostituito ad interim dalla dott.ssa Jeanette Papadopoulos.
“Fa rabbia – ha affermato Tsao Cevoli, presidente dell’Associazione nazionale Archeologi – vedere un crollo del genere provocato dall’incuria, quando sempre a Pompei, a pochi passi di distanza sulla stessa via dell’Abbondanza, si sono spesi milioni di euro per istallare ologrammi virtuali e pannelli fotografici nelle Domus di Giulio Polibio e dei Casti Amanti”.
Segnale che le priorità, spesso, sono state attribuite a settori diversi da quello della conservazione e della tutela, non tenendo presente che l’azione curativa, una volta provocati danni, sia oltremodo molto più costosa di quella preventiva.
Da non dimenticare, inoltre, come rammenta l’archeologo Salvatore Ciro Nappo, che nel sito di Pompei ci sono stati altri crolli prima di questo, come ad esempio quello della Casa del Labirinto nel 2004. L’indagine commissionata nel 2005 dal soprintendente Pietro Giovanni Guzzo, inoltre, lasciava emergere dati allarmanti secondo i quali circa il 70% degli edifici richiedeva interventi di restauro e messa in sicurezza (il 40% con la massima urgenza perché in stato pessimo o addirittura con un cedimento e il rimanente 30%, in stato appena mediocre, in un secondo momento).
Attualmente, la situazione si è naturalmente aggravata: come ha affermato la biologa Anna Maria Ciarallo, “sono sparite le “viminate”, tronchi di castagno in orizzontale che, come palizzate, segnano i terrazzamenti; le radici delle piante di rosmarino imbrigliano la terra e non la lasciano dilavare; la parte di via dell’Abbondanza sottostante alla Casina dell’Aquila in prossimità della Casa dei Gladiatori e le collinette degli scavi ancora da realizzare non sono bloccate da nessun tipo di paratie; restano “scoperte”, e quindi in pericolo, la Casa dei Pittori e dei Casti Amanti, dove il lapillo ha via libera e la pioggia porta fango”.
E’ evidente che per arrivare all’attuale stato dell’arte, questo disinteresse non sia recente, ma si stia prorogando da moltissimo tempo.
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