A leggerlo bene, il 44° Rapporto Censis, presentato lo scorso 3 dicembre a Roma, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un documento ormai sbiadito, che attesta l’arresa e lo sconforto degli italiani. E tale mancanza di speranza si denota numero dopo numero, percentuale dopo percentuale: dalla crisi lavorativa che ha colpito i giovani laureati, che ha visto un arresto del 6,3%, al 34,4% degli italiani che ormai dichiara che sia la classe politica litigiosa il maggiore problema che grava sulla ripresa economica.
Un’Italia appiattita e fragile che ha perso definitivamente il desiderio di riattivare dinamiche sociali in grado di superare il vuoto di oggetti e relazioni circostante, che denota “comportamenti individuali all’impronta di un egoismo autoreferenziale e narcisistico”.
Tutto è racchiuso quindi nella sintesi generale dei dati, nella panoramica complessiva che illustra appieno la situazione sociale del paese nell’anno 2010.
Crisi e globalizzazione portano disinvestimenti e despecializzazione, che però, uniti al welfare mix e alle imprese virtuose che decidono di fare rete, non riescono a condannare le aziende italiane al fallimento completo.
Germogli di positività ce ne sono, rari, ma ci sono. Oltre ai favorevoli legami tra imprese, crescono anche, nell’ambito dei processi formativi, le esperienze di alternanza scuola-lavoro con un +3,2% di ragazzi coinvolti in esperienze lavorative concrete parallele allo studio secondario.
Nel mercato del lavoro resistono alla crisi le donne che, nonostante i cali di occupazione registrati, denotano una situazione meno drammatica rispetto a quella occupazionale maschile, così come radicata, nelle donne come nei giovani, risulta l’attività di volontariato, che impegna il 26% circa di italiani.
Dopo questi dati, tutto il resto annega nella più totale sfiducia nelle istituzioni, nel welfare e addirittura nell’informazione e nella rete: solo il 43% degli italiani si dice fiducioso rispetto alla sicurezza delle operazioni effettuate su internet (rispetto al dato medio europeo del 58%) perché alto è ancora il numero di coloro i quali sono stati raggirati o tutt’ora vittime di spam, pishing, clonazioni ecc..
La sicurezza su internet e la gratuità dei contenuti on-line sono infatti i principali snodi sui quali si discute nel rapporto. Il 64,2% degli utenti ritiene che la piena libertà della rete si esprima con la totale gratuità dei contenuti e, laddove previste forme di micro pagamento, l’11,8% sostiene debbano essere le grandi aziende aggregatrici come Google a doverne fronteggiare i costi.
Cresce il numero di utenti che si informa esclusivamente online: testate nazionali come Repubblica.it, Corriere.it e Sole24Ore contano rispettivamente il 19,6%, il 18,2% e il 15,1% dei propri lettori sulle versioni digitali. Incrementano inoltre la loro attività del 24,5%, le librerie online con una produzione di e-book italiani che è aumentata del 38% a sostegno dell’idea che il futuro del libro sarà sicuramente caratterizzato dalla versione digitale dei principali volumi.
Perdono invece circa 1 milione di spettatori i telegiornali, Tg1 e Tg5, additati dalla popolazione di cattiva informazione: nel mese di settembre 2010, infatti, entrambe le redazioni hanno concesso molto più spazio di intervento al Pdl (1 ora e mezza in più il Tg1, 37 minuti il Tg5) facendo registrare uno sbilanciamento dell’informazione che ha causato la perdita di credibilità e l’allontanamento dai programmi in questione.
 “Nella crisi che stiamo attraversando – conclude il Rapporto – c’è quindi bisogno di messaggi che facciano autocoscienza di massa”. Ma siamo in grado di produrli? E come si curano le ferite di una speranza lacerata dalle preoccupazioni per il futuro?