Intervista a Nicola Ciniero, Presidente e Amministratore Delegato di IBM Italia

IBM Italia sta investendo già da qualche anno nella diffusione del cloud computing in Italia. Quali sono i vantaggi di questo servizio e quali benefici può apportare alle aziende e ai cittadini?
Non pochi, direi. Fondamentalmente perché il Cloud si presenta come un modello di erogazione e consumo di risorse e servizi informatici semplice, sicuro ed efficiente. Per beneficiarne non è più necessario conoscere o padroneggiare la tecnologia che li genera, né investire pesantemente, come nel passato, in hardware, software e licenze varie. La logica, al pari di altri servizi di pubblica utilità del cui utilizzo siamo abituati da lungo tempo, è quella del ‘self-service’ o, se si preferisce, del ‘pay per use’: si acquista ciò di cui si ha bisogno, quando se ne ha bisogno, pagando un corrispettivo. E la ‘nuvola’ cui attingere servizi e soluzioni su infrastrutture dinamiche e flessibili può stare sia fuori dal perimetro aziendale, gestita altrove e offerta via Internet – è il caso del cloud pubblico – sia all’interno del proprio firewall, creata ex-novo o attraverso la trasformazione di un data center esistente. In questo caso si parla di cloud privato, la soluzione che le aziende, soprattutto medio-grandi, sembrano preferire maggiormente secondo recenti ricerche.
Le competenze IBM sul cloud vengono da lontano poiché il paradigma si basa su tecnologie come la virtualizzazione, l’automazione, l’hosting, gli open standard e il web-based computing che, a loro volta, sono frutto di invenzioni proprietarie o di sviluppi direttamente guidati nel corso degli anni. Basti pensare che i primi servizi in remoto forniti ai mainframe da IBM risalgono addirittura al 1968. Piuttosto, il cloud sta emergendo solo ora perché spinto da trend economici e sociali di più recente manifestazione: il consumo energetico dell’IT su scala planetaria, la grande crisi finanziaria, l’incremento nella produzione e consumo di dati che le infrastrutture sono chiamate a gestire. Le proiezioni indicano che entro il 2012 l’universo digitale, al ritmo degli attuali 15 petabyte di nuove informazioni create ogni giorno, avrà dimensioni cinque volte superiori a quelle di due anni fa. Uno scenario non certo tranquillizzante per le aziende di ogni tipo. Anzi, decisamente troppo per non indurle all’adozione di modelli innovativi come il cloud.

Quali tipi di problematiche possono trovare risoluzione grazie al cloud computing?
In risposta ai timori comprensibilmente espressi da chi, in azienda, riveste il ruolo di responsabile dell’Information Technology dico che il Cloud è un paradigma in grado di abbinare affidabilità tecnologica e vantaggi economici e organizzativi.
Sul primo versante, i timori legati alla sicurezza della rete e dei dati e alla tutela della privacy, così come i dubbi sulla possibilità di integrare i diversi ambiti applicativi, sono fugati da una costante evoluzione tecnologica e dalla disponibilità di un’offerta integrata, come la nostra, capace di coprire l’intera catena del valore.
Ma è sui ritorni dell’investimento che se ne apprezza maggiormente le peculiarità: la complessità legata al crescente ammontare nel numero di transazioni e di persone connesse richiede alle aziende la disponibilità di data center con una funzione automatizzata di gestione e controllo degli asset informatici. Stiamo parlando di vere e proprie piattaforme flessibili e intelligenti da cui dipende il livello di efficienza del proprio business.
Il salto logico offerto dal cloud trasforma la tipologia dei costi che, proprio con la formula del pay per use, diventano meramente operativi identificandosi più che altro in fee di ingresso e di gestione. In altre parole, essi diminuiscono in maniera drastica liberando preziose risorse per altre priorità. I contratti poi sono pensati per chiarire bene i ‘livelli di servizio’ offrendo la garanzia che l’azienda avrà un unico interlocutore per ogni problematica.
In definitiva, se per le piccole e medie imprese il cloud è opportunità di accesso meno caro ad applicazioni e infrastrutture tipiche dell’enterprise, senza doverne affrontare la complessità operativa e gestionale, per le grandi aziende diventa occasione per semplificare, esternalizzando ciò che ormai è una commodity e per ricavare quindi efficienza. Per tutto questo, sia che ci si limiti all’acquisto di software, hardware e servizi vari sia che ci affidi a tecnologie e consulenza per la realizzazione o la trasformazione di infrastrutture, è proprio dalla ‘nuvola’ che può venire un vantaggio competitivo.

Il laboratorio Tivoli di Roma è la più grande struttura IBM Italia dedicata allo sviluppo software. Quali sono i progetti che portate avanti all’interno del Laboratorio e quali le professionalità impiegate?
Insediato a Roma a fine anni settanta, il laboratorio Software ‘Tivoli’ è oggi uno dei cinque centri di eccellenza mondiale di IBM nel settore. Il centro ha da sempre la missione di fare ‘sviluppo software’ il quale trova applicazione in un’ampia area di soluzioni, in Italia e all’estero per ogni tipologia di azienda.
In particolare, al centro è assegnata la responsabilità mondiale di un’area strategica identificata dal ‘workload management’, quella capacità che il software dispiega nell’assegnare il carico di lavoro alle risorse, fisiche o virtuali, all’interno di un’infrastruttura di IT, con un’esecuzione più efficace dell’insieme di attività in un preciso momento.
Alla base dei modelli di Cloud sta il Service Management che, nella visione di IBM, costituisce il collegamento tra tecnologia e le esigenze di business. Bene, il Service Management di IBM poggia sulla Tivoli Service Management Platform, un insieme  di prodotti e funzionalità tra i più completi oggi disponibili sul mercato.
Per questo Roma è stata in grado di diventare punto di riferimento anche per lo sviluppo del Cloud computing poiché proprio il software Tivoli qui sviluppato costituisce l’architettura portante su cui si basa l’offerta IBM.
Con le sue 60 persone, tra ingegneri e sviluppatori, dedicate allo sviluppo delle soluzioni cloud, il Laboratorio opera in collaborazione con i centri ‘Tivoli’ di Austin, Toronto, Boeblingen e Cracovia. Un dato interessante e indicativo: IBM utilizza il cloud computing per gestire i data centers di tutti i Laboratori IBM Tivoli nel mondo.
Le risorse in quest’area di attività affiancano anche le imprese e i Business Partner attraverso il rinnovato ‘software executive briefing center’, area in grado di ospitare incontri mirati con dimostrazioni concrete e prove sul campo.

Proprio a Roma, inoltre, è iniziato lo sviluppo delle competenze legate al cloud, tanto che lei stesso ha dichiarato: “La tecnologia made in Italy esportata in tutto il mondo”. Pensa veramente che la tecnologia made in Italy non abbia nulla da invidiare a quella statunitense e che i giovani informatici italiani abbiano le stesse possibilità di quelli americani? Quali sono le principali differenze?
Ne sono convinto: in Italia, il sapere e la tecnologia, anche in campo informatico, non hanno mai avuto nulla da invidiare a nessuno. Spesso dimentichiamo il fatto che l’ingegno di persone come Enrico Fermi o Adriano Olivetti, tra gli anni ‘50 e ‘60 portarono il Paese all’avanguardia, anche se poi quella supremazia si perse a vantaggio di altri per scelte assai poco lungimiranti. Ciò testimonia che il sistema formativo italiano, scolastico e accademico, ha sempre offerto alla scienza, alla ricerca e alle sue applicazioni industriali risorse di prim’ordine.
Se così non fosse stato, realtà come IBM non avrebbero investito in Italia nel corso del ‘novecento’, contribuendo così a innovare l’economia del Paese. Certo, le differenze rispetto ad altre realtà geografiche ci sono sempre state e ancor oggi permangono: penso al valore attibuito alla meritocrazia o al persistere di altri limiti, culturali e non, cui non si è mai voluto metter mano. Ma i ‘cervelli’ li abbiamo, eccome. Per tornare al laboratorio software di Roma, qui lavorano oltre 500 sviluppatori la cui età media è di 35 anni e il 43% dei quali è rappresentato da donne. Sono risorse di primissimo ordine, tanto da aver portato la struttura a livelli di preminenza all’interno dell’universo IBM facendone punto di riferimento per il mercato nazionale e internazionale.
Il recruiting è alimentato da un rapporto diretto con le università, i cui docenti e studenti prendono parte allo sviluppo di progetti di ricerca congiunti azienda-ateneo. In questo modo, i giovani talenti hanno più alte possibilità di accedere in maniera diretta al mondo del lavoro.
Per il laboratorio romano, nel suo complesso, tutto ciò si traduce anche in progetti di interesse reciproco, in aree quali il grid, il pervasive computing, la multimedialità e altro ancora.

L’amministrazione comunale di L’Aquila e IBM Italia hanno avviato una partnership tecnologica che, attraverso il lavoro di un comitato congiunto per l’Innovazione, aiuterà il capoluogo a definire lo sviluppo di un nuovo modello di città. In che modo è stato avviato il progetto (all’interno di Smarter Cities) e quali sono obiettivi e tempistiche?
Alla luce della tragedia vissuta, dei bisogni concreti della sua cittadinanza e dell’aspirazione al ritorno di una normalità che possa anche guardare al futuro, l’Aquila non poteva restare esclusa dal progetto Smart City il quale, a sua volta, è parte integrante della più ampia visione nota come Smarter Planet. L’iniziativa offre la possibilità di renderci utili, come cittadini di questo Paese, per sostenere una causa così importante e, come esperti di innovazione, per mettere al servizio della comunità locale le competenze che integrano, in maniera sistemica e intelligente, le applicazioni e i dispositivi diffusi sul territorio e disponibili da parte di tutti.
Con i tempi e le modalità che il gruppo di lavoro congiunto sta per definire, nel corso del 2011 i consulenti IBM sosterranno l’Amministrazione comunale nell’analisi delle priorità d’intervento, con un occhio di riguardo al soddisfacimento di bisogni sociali, specie degli anziani, e alla riorganizzazione dello spazio urbano. Ma, come giustamente mettono in luce il sindaco Massimo Cialente e l’assessore alle Politiche Sociali Stefania Pezzopane ricostruzione significa anche creare subito le condizioni per uno sviluppo immediato, acquisendo dimensioni e logiche da città europea. E qui, proprio grazie all’uso della tecnologia informatica, la naturale vocazione turistica della città non potrà che trarne vantaggi.

IBM collabora inoltre con Google per permettere agli studenti di scienze informatiche e alla National Science Foundation di accedere a un ambiente di cloud computing Google/IBM estremamente esteso per scopi di ricerca e test. Quali sono i risultati raggiunti fin’ora e quali le difficoltà maggiori incontrate nella formazione dei giovani?
L’iniziativa IBM-Google ‘Cloud Computing University’ fu annunciata nel 2007 con l’obiettivo di fornire agli studenti di informatica, così come ai ricercatori dei maggiori atenei americani, competenze e metodologie necessarie per lo sviluppo di applicazioni Cloud. Quello di Washington fu il primo ad aderire, seguito poi dalla Carnegie Mellon University, dal Massachusetts Institute of Technology, dalla Stanford University e da quelle della California e del Maryland. Di fatto, l’iniziativa è entrata in una fase operativa non prima del 2009, quando la National Science Foundation iniziò a erogare fondi mirati allo sviluppo di progetti universitari di ricerca come quelli sul ‘data-intensive computing’ che utilizzano infrastrutture, software e servizi su cloud messe a disposizione da IBM e Google. I progetti termineranno nella primavera 2011. Questa è stata una delle prime iniziative tanto che, negli ultimi anni, l’impegno di IBM a sostegno della ricerca e della formazione sul cloud, sempre in ambito accademico, si è via via articolato attraverso numerosi altri progetti. Ricordo, a titolo di esempio, l’IBM Cloud Academy, un forum globale annunciato nel 2009 e dedicato a formatori, ricercatori e specialisti nell’education con l’obiettivo di sostenere iniziative sul tema, sviluppare le competenze e condividere i risultati migliori.