Tra mito professionale e ideale regolativo

Il libro della giornalista Flaminia Festuccia, “L’oggettività dell’informazione. Tra mito professionale e ideale regolativo”, si apre con alcuni cenni al dibattito che, a partire dagli anni Sessanta, si è sviluppato in Italia su questo tema; se la questione è sempre stata trattata con l’atteggiamento annoiato tipico dello scettico, diversa è la posizione dell’autrice che si dichiara dalla parte di coloro, come Philip Meyer o Massimo Baldini, che paragonano il lavoro del giornalista a quello dello scienziato sociale; il giornalista “oggettivo” è lo storico scientifico dei fatti di ieri. Trattando il giornalismo come una scienza è quindi necessario adottare il metodo, l’oggettività e gli ideali scientifici per l’intero processo della comunicazione di massa. Il volume analizza così le ragioni del razionalismo critico popperiano: la critica dell’induttivismo, la creatività di ipotesi, l’asimmetria logica tra conferma e smentita di una teoria, le condizioni epistemologiche di una spiegazione scientifica, etc..Alla luce di tali nuclei centrali, la giornalista cita il “circolo ermeneutico” teorizzato da Hans-Georg Gadamer, la cui soluzione, a suo giudizio, risiede nella procedura del trial and error: ovunque ci sia da risolvere un problema, non si può far altro che “inventare mondi possibili” e creare ipotesi da sottoporre ad una critica severa e a controlli rigorosi, nella consapevolezza che la “prova”, nella scienza come nella vita, si ha dove si rischia, anche di fallire. E quindi, se unico è il modo, esistono molteplici tecniche di prova.
L’autrice, proseguendo nella trattazione, precisa la distinzione tra i concetti di obiettività e di oggettività definendo il primo quale attributo predicabile di una persona onesta, non dedita all’inganno, il secondo quale caratteristica di un asserto o di un insieme di proposizioni. L’oggettività equivale infatti a pubblica controllabilità di un’asserzione da cui deriva l’oggettività del giornalista che consiste nel seguire le regole del metodo scientifico fornendo al pubblico un’informazione parziale ma non faziosa, falsificabile ma non ancora falsificata.
Ne consegue, pertanto, la consapevolezza di non essere mai certi di aver raggiunto una teoria o interpretazione assolutamente vera e che la verità non è un possesso ma un ideale regolativo.
La giornalista passa poi a definire i tratti della “patologia dell’informazione” individuando i”peccati”della professione giornalistica che suddivide in categorie quali, per esempio, i Ciechi, i Reticenti, i Giustizieri, i Corrotti, etc..
Vengono inoltre ripresi i tre principi, individuati da Karl Popper, alla base di ogni discussione razionale cioè al servizio della ricerca della verità: il principio della fattibilità ( forse io sbaglio e tu forse hai ragione, ma possiamo essere in errore entrambi), il principio della discussione razionale (cerchiamo di soppesare le nostre ragioni pro e contro una specifica teoria criticabile), il principio di approssimazione alla verità (attraverso una discussione, avvicinarsi alla verità, pervenendo ad una migliore comprensione delle cose anche quando non si arriva ad un accordo).
Il saggio si avvia alla conclusione con l’idea che una società aperta è tale unicamente a patto che in essa sia permessa, auspicata e cercata la maggiore quantità d critica, riflessione che acquista ulteriore peso per l’Italia che il Rapporto Freedom House (2010) mette al sessantaduesimo posto nel mondo per il grado di libertà di stampa. Il nostro è l’unico paese dell’Europa Occidentale definito “parzialmente libero”. Non vi è più traccia della lezione di Luigi Einaudi per il quale “la migliore legge sulla stampa è nessuna legge”…

 
L’oggettività dell’informazione
Tra mito professionale e ideale regolativo
Flaminia Festuccia
Armando Editore € 12,00
ISBN: 9788860817136