A circa trent’anni dalla chiusura dell’ultima fabbrica che, nella convalle Astico-Posina occupava esclusivamente manodopera femminile, è stato aperto alle porte di Arsiero, in provincia di Vicenza, un laboratorio di Bottega Veneta, uno dei marchi artigianali più esclusivi e in continua crescita del made in Italy.
Il fatturato di Bottega Veneta, che nel 2009 era di quattrocento milioni di euro, ha visto crescere le vendite del 16 % nei primi nove mesi del 2010 arrivando poi all’accelerazione, nell’ultimo trimestre dell’anno appena concluso, con un’ondata di ordini che non accenna a calare. Da qui è nata l’esigenza di trovare altre mani e altri artigiani capaci di trattare le famose strisce di pelle morbida ordite con cura e geometria impeccabile secondo la tecnica dell’“intreccio filato”.
L’azienda nata nel 1966, che ha sempre fatto del legame col territorio un punto fondamentale della propria strategia, ha infatti deciso di sostenere il progetto sociale ed economico “Cooperativa Montana Femminile”, avviato da Comunità montana, Regione Veneto e Provincia di Vicenza.
Nell’Alto vicentino, dove la disoccupazione raggiunge tetti del 90% e il termine spopolamento è all’ordine del giorno, 18 donne senza lavoro, di età compresa tra i 20 e i 58 anni sono state formate da maestri artigiani e sono diventate socie del primo Laboratorio di artigianato artistico certificato in regione.
Il piano di Bottega Veneta è di far crescere l’impresa fino ad una dimensione massima di 32 persone entro aprile 2011 in un ambiente sano e sicuro, con orari flessibili e un flusso di commesse costanti. Inoltre, si pensa di estendere il progetto all’alta valle con l’apertura, entro l’anno, di una cooperativa bis a Pedemonte, nella stessa area geografica.
L’obiettivo del marchio che oggi appartiene al Gucci Group, è di creare un distretto artigianale vecchio stile, per salvaguardare la lavorazione della pelle, una delle tradizionali e peculiari attività della regione, ritornando alla logica veneta interrotta a causa della crisi che ha portato alla fuga all’estero delle manifatture.
In questo scenario, gli enti pubblici, senza erogare finanziamenti, hanno svolto un importante ruolo di facilitatori per l’incontro delle parti; la Provincia ha infatti garantito per un prestito d’onore a tasso 0 di 20 mila euro da restituire in due anni, con cui attrezzare i locali, svolgere la selezione (da 75 possibili candidate sono rimaste in 18) e realizzare il corso di formazione.
L’esperienza veneta dimostra quindi che la sfida del made in Italy per il futuro non è rincorrere i costi di produzione cinesi (una battaglia persa in partenza), ma puntare sulla qualità; sarebbe necessaria, ad esempio, una legge per le manifatture che certifichi come prodotto italiano le lavorazioni realizzate in Italia non in parte, ma al 100%.
Riproponendo un modello diffuso, costituito da microimprese e cooperative, e fornendo un’informazione trasparente e completa sul prodotto, sulla sua lavorazione e sul progetto ad essa sotteso, l’acquirente sarà, infine, anche disposto a spendere di più.