Il 30 gennaio 2011 a Bologna, in occasione di ArteFiera 2011, è stato annunciato il vincitore del Premio Internazionale di Arte Partecipativa. Alla sua prima edizione il premio, promosso dall’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con LaRete Art Projects e goodwill, curato da Julia Draganovic e Claudia Löffelholz, è il primo riconoscimento al mondo che, come riportato nel manifesto del Premio, “sostiene gli artisti la cui ricerca verte sulle pratiche di coinvolgimento del pubblico nel processo di produzione dell’opera d’arte”, e che in questo modo incoraggiano la creazione di nuovi progetti sul territorio, con l’obiettivo di stimolare all’interno della comunità nuove riflessioni e pratiche sul tema della partecipazione, instaurando con lo spettatore, che diviene coautore dell’opera, non un rapporto passivo di fruizione, ma una relazione reciproca.
Il vincitore, scelto dalla giuria tra una rosa di venti nomi, è l’artista messicano Pablo Helguera, con il progetto Ælia Media, che prevede la creazione di un “istituto culturale itinerante di giornalismo e canale d’arte multimediale e alternativo”. L’artista vince un premio di 15.000 euro e un budget di 30.000 euro per la realizzazione del suo progetto a Bologna nel corso del 2011. Ælia Media sarà un laboratorio culturale per tutti che si avvarrà dei vari media (televisione, radio, stampa e web) e darà particolare enfasi ai  contenuti generati dagli utenti, utilizzando metodi di partecipazione dal vivo e social network online. Dunque un progetto in cui l’arte e la comunità sono l’una al servizio dell’altra.
Questa notizia ci racconta come, attraverso l’istituzione di un premio, sia stata riconosciuta formalmente una tendenza sempre più radicata in questi ultimi anni. Ci dà dunque l’occasione per districare il sempre più stretto e ricorrente intreccio tra arte e processo partecipativo e capirne meglio le modalità e le pratiche.
Innanzitutto, un primo aspetto interessante è che la contaminazione tra arte e partecipazione va in ambedue le direzioni. Da una parte, l’arte diventa uno strumento – attivo –, a servizio del processo partecipativo. Come dimostra il fermentare di iniziative di community-based art. Ne possiamo trovare molte realizzazioni nell’architettura, nell’urbanistica, nella pratiche di gestione creativa dei conflitti e nei processi decisionali in materia di politica locale. In questo senso l’arte è partecipativa, in quanto sollecita visioni e prospettive nuove, offre strumenti interpretativi, modelli e strategie, propone una piattaforma inusuale e ludica, attiva consapevolezza, riflessioni e azioni nella comunità.
Dall’altra parte, la partecipazione diventa una modalità di produzione e fruizione dell’opera d’arte. L’arte è in questo senso partecipata, in quanto allestisce un rapporto più interattivo con il pubblico. La partecipazione può interessare diversi “fasi di vita” dell’opera d’arte. Può riguardare i modi di produzione, nei casi, sempre più diffusi, in cui il processo creativo coinvolge il pubblico, è a presa diretta dello spettatore oppure quando viene fortemente ancorato al luogo di svolgimento. La formula della residenza d’artista costituisce in questo senso un esempio di arte partecipativa, in quanto immerge l’artista, e i suoi gesti, nel luogo. Altrimenti, il processo partecipativo può riguardare la fase di selezione e valutazione dell’opera, come nei concorsi di idee di arte pubblica in cui la giuria è popolare. È il caso del progetto londinese “The Fourth Plinth”, in cui l’opera d’arte pubblica che viene esibita a Trafalgar Square per un anno è selezionata attraverso il voto popolare. Inoltre, la componente partecipativa può focalizzarsi sul percorso di fruizione artistica. Qui le strategie e le formule sono davvero varie. Un esempio, tra i molti, è costituito dalle “Free Handling Sessions” offerte dal British Museum di Londra: appuntamento durante il quale il visitatore può provare l’ebbrezza di tenere in mano un oggetto della collezione, soddisfare la curiosità per i dettagli, ed estendere così la fruizione artistica ad altri sensi oltre alla vista. Una proposta estremamente interessante in quanto arricchisce l’esperienza estetica di una componente sensoriale, e trasforma il rapporto tra opera e pubblico. Un’altra strategia è quella di offrire i luoghi dell’arte come uno spazio creativo ed educativo per le scuole e le famiglie attraverso un programma di attività, come fanno oggi molti musei, tra i quali la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, la Tate Gallery e la National Gallery di Londra. Un’altra fase, che può divenire partecipata, riguarda il fundraising, con il coinvolgimento del pubblico nel sostegno finanziario alle opere d’arte. Un caso recente è stato offerto dalla petizione on line lanciata dal parigino Louvre che chiedeva ai singoli cittadini di contribuire all’acquisto di “Le Tre Grazie” di Cranach il Vecchio. Un’iniziativa analoga è stata l’enorme “colletta nazionale” indetta dalla londinese Tate Gallery nel 2008 per acquistare l’acquerello “The Blue Rigi” di Turner. Anche queste strategie avvicinano il pubblico alle opere d’arte, attribuendo a queste ultime il senso e il valore di un patrimonio collettivo e condiviso. Infine è l’opera d’arte stessa, e non solo il suo processo di produzione-acquisto-fruizione, ad acquisire un carattere più partecipativo: componendosi anche del pubblico, rappresentandolo attraverso metafore o sineddoche, circoscrivendo lo spettatore come tema di indagine oppure come soggetto dell’opera. Basti pensare al progetto “Les Archives du coeur” di Christian Boltanski. L’artista francesce invita i visitatori delle proprie mostre a partecipare registrando i battiti del proprio cuore, all’interno di uno spazio preposto per questo, per farne dono all’artista. I battiti – a oggi la raccolta ne conta già trentamila – verranno poi inviati a Teshima, un’isola del Giappone meridionale, dove verrà inaugurato l’archivio. La tendenza ad interagire con il pubblico coinvolge tutti i campi dell’arte: lo dimostra il titolo dell’edizione 2010 della Biennale di Architettura di Venezia, “People meet in Architecture”. Un esempio tra i molti è offerto dal Padiglione della Gran Bretagna dell’edizione 2010 della Biennale di Architettura: l’opera “The Stadium of Closed looking” riproduceva in scala 1:10 lo stadio londinese in costruzione per le Olimpiadi 2015 con la gradinata rivolta verso l’ingresso al padiglione, così allestita per riflettere su cosa significhi osservare ed essere osservati. Nel contesto della mostra l’opera è stata anche concepita come una piattaforma da usare: il pubblico può sedersi sulle gradinate e ritrarre le persone in procinto di entrare nello spazio; nel corso dei mesi della Biennale i disegni realizzati sono andati riempiendo le pareti del padiglione. In questo modo, è stata creata un’opera sul pubblico, per il pubblico, fatta anche dal pubblico. Per di più, nella giornata di apertura gratuita della Biennale agli abitanti di Venezia, il 21 novembre 2010, il padiglione si è prestato come luogo di incontri pubblici dal titolo: “Salutiamo Venezia – Per una Venezia in Salute. Incontri pubblici per la città che vogliamo”.
In questa breve e approssimativa fenomenologia dell’arte partecipativa si può leggere un messaggio comune: l’arte tende a partecipare alla vita sociale tanto quanto la società tende a partecipare alla vita creativa dell’opera. In questo modo si modifica anche il significato e il valore culturale dell’opera artistica, divenendo molto più di un oggetto: un percorso e una pratica nei confronti della quale acquisire confidenza e consapevolezza. Attitudine che possiamo considerare il presupposto per trasmettere su larga scala una cultura artistica, e per rendere l’arte uno strumento comprensibile, e forse più godibile. Un processo, questo, ancora più significativo se messo a confronto con un’altra tendenza dell’arte contemporanea: quella di essere irraggiungibile preda di aste con cifre tutt’altro che partecipative.

www.artepartecipativa.it
http://www.tafter.it/2011/01/12/quell%e2%80%99opera-d%e2%80%99arte-e-anche-mia/
http://villafrankenstein.com