Le periferie urbane sono state spesso associate ai “nonluoghi” di Augé, spazi in cui l’identità storica dell’individuo è annientata in un tutto indistinto non riconducibile ad ere e culture. Roma, a tal proposito, rappresenta un modello di metropoli sui generis, che ricalca solo teoricamente le soluzioni urbane adottate dalle grandi città europee.
Le sue periferie cercano infatti di integrarsi ai quartieri centrali rifiutando l’etichetta di dormitorio, mischiando edilizia popolare a moderni concetti di centri residenziali.
Ponte di Nona, quartiere situato a 6 km dal Raccordo Anulare, è stato progettato, su carta, come quartiere all’avanguardia, ma l’area dimostra come il modello urbanistico romano non sia ancora pronto per affrontare la sfida europea delle “centralità”. Edificato alla fine degli anni ’90, è tuttora in fase costruttiva e rappresenta un terreno di indagine privilegiato per gli studi di appassionati della postmodernità .

Come Andrea Segre, regista e ricercatore, attento a tematiche sociali, che in un corto girato proprio a Ponte di Nona, ha voluto evidenziare il disagio e la rabbia di chi si sente vittima della speculazione edilizia, abbandonato dalle istituzioni, privato dei diritti minimi di vivibilità.Dall’altra parte, Daniela Blondelli, abitante e operatrice sociale, racconta invece un Ponte di Nona vissuto da insider, con la consapevolezza delle sfide vinte fino ad ora, del lavoro quotidiano che migliaia di abitanti portano avanti spinti dal senso di appartenenza verso un territorio con nunerose criticità certo, ma anche con immense potenzialità
Ne emerge uno spaccato contraddittorio che proprio per questo, merita una riflessione più generale da estendersi a tutte quelle che vengono definite le “nuove periferie urbane”
 

Andrea Segre, perché hai scelto di girare il corto a Ponte di Nona?
La motivazione è abbastanza personale. Avendo avuto da poco una bambina, mi sono interrogato sull’importanza delle modalità con le quali viene costruita una città, ovvero di come questa possa determinare la qualità della vita di ognuno.  Per questo ho deciso di portare sotto i riflettori uno spazio con una forza emblematica ed estetica esemplare. Mi sono ricordato di Ponte di Nona, dove mi ero ritrovato per caso una volta, sbagliando strada, andando verso l’Abruzzo.
Una volta arrivato nel quartiere sono andato in cerca di persone disponibili ad una collaborazione con il mio progetto. Ho così incontrato Neda e Sara, le protagoniste del mio corto, ed  è cominciato tutto. Neda è una signora romana di 50 anni. Una “romana de Roma”, nel senso che è cresciuta negli anni ’60 nel cuore della capitale, a due passi dal Colosseo e solo da pochi anni si è trasferita in periferia.  Sara ha invece 18 anni, è figlia di una pugliese e di un egiziano e a Ponte di Nona ci è cresciuta.

Qual è il tema centrale del tuo progetto, la speculazione edilizia o il disagio sociale?
Indubbiamente la prevalenza dell’interesse privato sull’interesse pubblico ha determinato conseguenze negative, ma questo è diffuso in Italia, sono dinamiche di interesse e di potere molto comuni. Se confrontiamo, infatti, le nostre città con qualsiasi altra città europea ci rendiamo conto di cosa significhi, per esempio, potersi muovere senza automobili grazie alla presenza di servizi pubblici che, di certo non risolvono tutti i problemi di vita della popolazione, ma aiutano sicuramente a vivere meglio.

Nella fase di realizzazione, hai avuto difficoltà a trovare supporto da parte dei cittadini ?
Difficoltà ce ne sono state: alcuni ragazzi del quartiere, ad esempio, si sono rifiutati di partecipare, altri hanno addirittura cercato di boicottare l’iniziativa. Raccontare un quartiere non vuol dire mettere in cattiva luce le persone che vi abitano, ma semplicemente analizzare degli spazi. Neda e Sara, fortunatamente  hanno reagito molto bene, comprendendo in pieno l’obiettivo della mia riflessione e permettendomi dunque di realizzare l’inchiesta.

Sei a conoscenza del giudizio sul corto da parte degli abitanti? E quello dei costruttori?
Come è successo con altri miei film,la strategia di potere che viene attuata è quella di rispondere con il silenzio e la negazione, anche perché sono sempre stati altri i meccanismi che hanno garantito l’attuazione di eventuali progetti locali.

A livello di comunicazione tra gruppi diverse nazionalità, ritieni che si sia aperta la strada del dialogo interculturale?
Certamente non basta costruire case colorate per rendere possibile un dialogo interculturale. Imporre di vivere in un ghetto chiuso non rappresenta un modello efficace di dialogo interculturale. Per ora ci sono spinte positive da parte della gente e speriamo che persone come Neda continuino la loro azione.

Ponte di Nona è dunque un modello urbanistico totalmente negativo?
Quartieri come Ponte di Nona vengono costruiti ma non vengono dotati di servizi, di collegamenti viari,abbandonati a se stessi senza alcuna manutenzione. Per me sono modelli urbani negativi, poiché determinano forti ingiustizie sociali e possono scatenare guerre tra poveri.

Andrea Segre ha dunque evidenziato difficoltà, sofferenze e rischi di futuri inasprimenti sociali, ma è stato anche criticato di aver delineato un modello sociologico teoricamente funzionante, ma privo di vita reale.
Secondo Daniela Blondelli, ad esempio, abitante e operatrice di Ponte di Nona,  il progetto di Segre  ha il limite di dimenticare che nel quartiere, vivano persone reali che già da anni si battono per migliorare l’intera zona.

Daniela, tu  hai criticato l’approccio distaccato del corto realizzato da Andrea Segre. Quali, secondo te sono i limiti rappresentativi? Ritieni che l’immagine del tuo quartiere risulti ulteriormente peggiorata da questo contributo?
Ovviamente non critico direttamente il regista, ma nonostante sia completamente d’accordo sull’aspetto critico nei confronti della speculazione edilizia, a mio avviso, l’approccio sul quartiere Ponte di Nona è stato errato. Il corto è ben fatto ma una persona, come la sottoscritta, che vive e lavora nel quartiere lo vede  e lo vive in una maniera sicuramente diversa. Mancano alcuni servizi, è vero, ma la situazione non è così negativa come si evince dal corto. E’ mancata ad esempio la rappresentazione della vita quotidiana dei ragazzi che vivono il quartiere, limitata certo, perché oltre al supermercato e al centro commerciale non è che siano presenti molti altri intrattenimenti ma mi chiedo: perché non far vedere la scuola? Perché non mettere in luce che la struttura educativa, grazie ad insegnanti giovani e preparati, negli ultimi cinque o sei anni è notevolmente migliorata?
Non sono d’accordo nel mostrare dei quartieri popolari solo il lato peggiore. E’ vero, esiste la delinquenza, mancano le infrastrutture, ma questi sono problemi comuni a tutta Italia, non solo alla città di Roma. Auto-rappresentarci in questo modo equivale ad un offesa nei confronti di coloro che contribuiscono in prima linea a rendere Ponte di Nona un quartiere migliore.

Come operi a favore del quartiere e quali sono le realtà che si prodigano per migliorare le condizioni del territorio?
Lavoro nel quartiere con Data Coop, la cooperativa sociale operante sul territorio, con la quale organizziamo e gestiamo il doposcuola popolare e l’unità di strada. Faccio anche parte del Comitato di quartiere che ha portato avanti, grazie anche al prezioso lavoro del presidente Chiapparelli, numerose battaglie, come quella per l’apertura del centro commerciale.
Dietro al nostro lavoro ci sono 13 anni di duro lavoro per l’ottenimento di diritti: una sfida iniziata nel 1997 con la prima assegnazione delle case, per l’ottenimento di servizi minimi, una linea autobus, una farmacia, il supermercato e i pullman delle scuole che sembravano dover essere soppressi.

A livello di comunicazione tra gruppi diverse nazionalità, ritieni che si sia aperta la strada del dialogo interculturale?
All’inizio i ragazzi hanno avuto un atteggiamento bullistico, in senso buono ovviamente: si erano posti verso i nuovi arrivati stranieri con la paura di chi si vede “rubare” il territorio. Tuttavia, sono bastati pochi giorni per far sì che si avviasse un processo di integrazione che ad oggi ha dato buoni frutti.
Non dimentichiamoci che molta gente, in questo quartiere, ha storie di occupazione alle spalle, il che facilita la comunicazione con le nuove famiglie insediate.
Le discriminazioni verso gli stranieri vengono più dall’esterno che non dall’interno: i nostri bambini vanno a scuola con degli stranieri e non lo trovano un fatto eccezionale. Da lì inizia l’integrazione.

Ponte di Nona, modello urbanistico totalmente negativo?
Sull’aspetto urbanistico c’è ancora molto da fare: voci di corridoio fanno presagire tempi ancora lunghi di attesa; finché non saranno ultimate alcune zone limitrofe, come Castelverde due, e sarà completata la vendita degli appartamenti privati credo rimarremo in questa situazione.
E’ un peccato perché Ponte di Nona avrebbe potuto rappresentare un quartiere modello, se solo fosse stato dotato delle strutture necessarie. Le case, per esempio, sono molto diverse dal modello dei grandi lotti di altri modelli popolari, hanno massimo tre piani, il che è un segnale urbanistico positivo. Certo però che non si può costringere un cittadino a rinunciare ad un lavoro in centro perché impossibilitato materialmente a raggiungerlo in tempi ragionevoli.
Se avessero davvero realizzato il quartiere come previsto nei progetti iniziali, con grandi strade e infrastrutture, Ponte di Nona sarebbe stato un quartiere gioiello!

Nelle foto: Vista esterna del quartiere Ponte di Nona e Panorama di Ponte di Nona in costruzione
Foto tratte dal progetto fotografico “Non-centro” di Arianna Catania e Pietro Guglielmino.