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Bentornati al consueto appuntamento annuale col decreto Milleproroghe. Un evento che in tanti attendono essendo esso, come esprime la stessa terminologia, un contenitore di tante e tante leggi eterogenee, in attesa di una celere approvazione (e proroga) affinché si abbia il via libera per operazioni di ben più vasta misura.
E il Milleproproghe 2011 non si esime da tale aspettative: votato al Senato il 16 febbraio, il decreto ha ottenuto la fiducia con 158 sì, 136 no e 4 astenuti. Ieri, 22 febbraio, è approdato alla Camera dove, dopo un tentativo di ostruzionismo portato avanti dall’opposizione che ha programmato ben 236 interventi nella speranza di prolungare le discussioni oltre il 27 febbraio, cioè fuori tempo massimo, è stato bloccato dall’intervento del Presidente della Repubblica Napolitano che si è espresso in maniera fortemente critica sulla vicenda, riscontrando inoltre difetti di incostituzionalità all’interno degli articoli presentati. Una contestazione che arriva dopo diversi ammonimenti riguardanti le cosiddette “leggi omnibus” che contengono troppe istanze diverse e confuse, nonché ai procedimenti metodologici adottati che di fatto scavalcano gran parte delle fasi di approvazione previste dal regolamento.
Un testo che, inoltre, era costituito in origine da 4 articoli e 25 commi e che si è poi di colpo ritrovato, dopo i cinquanta giorni di esame, ad arrivare in Senato con un totale di 9 articoli e ben 221 commi, redatti, alla faccia della semplificazione normativa, in una maniera assolutamente incomprensibile al comune cittadino che, dopotutto, è il destinatario principale del decreto.
Ma cosa troviamo nel Milleproroghe? Si parte dall’innalzamento delle tasse regionali per eventuali emergenze, alle quote latte, dal rincaro del biglietto del cinema di un euro alla reintroduzione dei fondi per l’editoria tagliati nel dicembre scorso passando per il mancato reintegro del Fus all’eliminazione degli emendamenti mirati al piano di rilancio di Pompei.
E sono proprio questi ultimi gli articoli più contestati dagli operatori culturali: le fondazioni lirico sinfoniche sono ormai ai ferri corti e la disposizione di fondi per tre milioni di euro alla Scala di Milano e all’Arena di Verona non fa che acuire le profonde spaccature all’interno del settore che lamenta un abbandono delle strutture culturali da parte del MiBAC e una gestione delle risorse inadeguata alla situazione reale.
Non a caso, proprio negli stessi giorni in cui si decide la sorte del decreto Milleproroghe, il neo-costituito “Comitato vincitori e idonei del concorso MiBAC 500 posti”, fondato dalla dott.ssa Gianfranca Salis, ha denunciato come, a dispetto di un taglio del 10% imposto all’organico del MiBAC, con una conseguente paralisi delle assunzioni, si riversino proprio nello stesso Ministero i 150 lavoratori del dismesso ETI (Ente Teatrale Italiano) e dell’Ente Tabacchi. Il tutto, senza un’adeguata valutazione dei profili professionali, spesso inadatti a svolgere le funzioni fondamentali del Ministero, di fatto nuovamente paralizzato.
Ad acuire la protesta vi è inoltre la notizia dello stanziamento di 12 milioni di euro (da spendere tra Lazio e Campania) alla società Ales Spa, società mista pubblico-privata del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, da questo interamente partecipata e controllata.
Che queste risorse, non previste nel decreto, possano servire a risanare in parte la situazione di Pompei è auspicabile, anche se a questo punto non si spiegherebbe il perché dello stralcio proprio nel Milleproroghe del piano straordinario di rilancio di Pompei, che prevedeva la separazione della soprintendenza locale da quella di Napoli. Probabilmente si dovrà quindi aspettare un nuovo mecenate privato, pronto a rilevare le sorti degli scavi.
Nel frattempo il Milleproproghe, che perderà di efficacia dal 27 febbraio, va avanti dopo che il Presidente del Consiglio ha fatto intendere che, nonostante i rimproveri, Napolitano sarebbe disposto a firmare. Troppo nebbiosa sarebbe infatti la situazione se il decreto non venisse approvato in fretta e furia, lasciando così nel limbo gli oltre 35 provvedimenti che da mesi aspettano una risoluzione che dovrà avvenire in un clima di frettolosa rimostranza. La necessità, ancora una volta, di raccogliere più cose possibili nel più breve tempo possibile ha trasformato pertanto il decreto in una seconda Finanziaria e inghiottito gli iter legislativi in uno stato di perenne emergenza a noi familiare dato il protrarsi e il reiterarsi di commissariamenti straordinari, ormai sempre più ordinari.