Nella mitologia aborigena australiana il “Tempo del Sogno” (Dreamtime) è l’era che precede la formazione del mondo. Per millenni le popolazioni autoctone dell’Australia si sono tramandate oralmente i miti cosmogonici e li hanno raffigurati sulle pareti delle caverne, sulle pietre e sulla corteccia degli alberi.
Nonostante la violenta colonizzazione britannica abbia decimato e oppresso i nativi, la cultura tradizionale è sopravvissuta e negli ultimi decenni diversi pittori aborigeni hanno ripreso le figure ancestrali del mito, rivisitandole con tecniche moderne e caricandole di valenze sociali, identitarie e politiche. Già all’inizio degli anni Settanta Geoffrey Bardon, un insegnante d’arte, propose agli artisti aborigeni di Papunya, a nord-ovest di Alice Springs, di rappresentare le storie mitiche del Dreamtime sulla tela con lo stile della “dot art”, tradizionalmente usato per disegnare sulla sabbia. Nacque così la “Scuola di Papunya Tula”, che vanta artisti famosi come Clifford Possum Tjapaltjarri e Johnny Warangkula.
Alle più recenti tendenze dell’arte aborigena australiana è dedicata la mostra “Dreamtime”, ospitata presso le sale del Museo MAN di Nuoro, cuore storico della Barbagia e della Sardegna. L’esposizione, per la quantità e la qualità delle opere esposte (circa 300), rappresenta la più completa retrospettiva di settore mai presentata in Europa. Inaugurata l’11 febbraio, la mostra si articolerà in due fasi espositive: la prima, intitolata “Lo spirito dell’arte aborigena”, sarà fruibile fino al 1° maggio; la seconda, dal titolo “Arcaicità e astrazione. Il linguaggio dell’arte aborigena” sarà inaugurata il 6 maggio e si concluderà il 28 agosto 2011.
Il progetto, patrocinato dalla Provincia e dal Comune di Nuoro, dalla Regione Autonoma della Sardegna, dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, dall’Ambasciata Italiana a Canberra, dall’Ambasciata Australiana a Roma, dall’Istituto Italiano di Cultura e dal Consolato di Melbourne, ha come “garante di qualità” il Koorie Heritage Trust (KHT), l’unico organismo riconosciuto a livello internazionale per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione delle culture aborigene. Le opere presentate sono state selezionate proprio dal KHT, che ha curato anche i saggi contenuti nel catalogo edito da Marsilio, e illustrano sia il lavoro di artisti affermati che di artisti emergenti. Tra i nomi di spicco si segnalano quelli di Trevor Turbo Brown, Clifford Possum Tjapaltjarri, Billy Doolan, John e Luke Cummins, Craig Charles, Djambu Barra Barra e Roy Ashley.
Il visitatore viene letteralmente ammaliato dai colori ipnotici dei dipinti che, con i loro simboli archetipali, lo catapultano nella mitica “era dei sogni”. Le stanze del museo si popolano così magicamente di spiriti, demoni, deserti sterminati e animali ancestrali. Molte opere sono impregnate di valori identitari e ambientalisti, rispecchiando il fedele amore delle genti aborigene per la terra madre e la natura.  Oltre ai dipinti su tela, spesso di grandi dimensioni, sono esposte anche sculture totemiche e didjeridoo decorati con la già citata tecnica della “dot art”, forma primitiva di pointillisme.
Molto commovente, soprattutto per i risvolti storici e sociali, è la sala con le opere che rimandano al triste periodo delle cosiddette “generazioni rubate” (Stolen Generations). Dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta del Novecento, infatti, il governo australiano separò con la forza dai loro genitori i bambini aborigeni con la pelle più chiara, per poi farli crescere in istituti dove venivano rigidamente educati come bambini WASP (White Anglo-saxon Protestant). Solo nel 2008 Kevin Rudd, l’allora primo ministro australiano, ha rivolto le scuse solenni del Governo agli aborigeni per i drammatici decenni di oppressione e violenza. L’arte si fa così strumento di denuncia, di memoria storica e di conoscenza spirituale delle proprie radici.
La mostra acquisisce ulteriori significati in una terra antica e dalla forte identità culturale come la Sardegna, dove il valore profondo della tradizione, dei riti e dei miti è stato tramandato nel corso dei millenni, spesso mescolandosi con le culture dei dominatori succedutisi, ma senza mai perdere la propria essenza ancestrale. Al riguardo risultano emblematiche le parole di Cristiana Collu, la direttrice del MAN, secondo la quale “la forza iconografica delle opere in mostra, la simbologia primitiva e arcaica, determinano una serie di analogie con la cultura sarda primigenia, archeologica, tradizionale e identitaria, creando un grande gioco di rimandi e risonanze”.

Approfondimenti:
www.museoman.it
www.koorieheritagetrust.com