È da circa 12 anni che il Web trasforma in oro tutto ciò che tocca. È accaduto nei primi anni Novanta, quando una precipitosa euforia finanziaria colpì gli investitori che, attratti dal potenziale della New economy tecnologica, provocarono un rapido rialzo dei titoli internet in tutto il mondo creando di fatto un’enorme bolla speculativa rappresentata da un vertiginoso (e ingiustificato) aumento dei prezzi destinati poi a calare repentinamente danneggiando coloro che avevano creduto nel basso rischio di titoli in realtà difficilmente quantificabili sulla base degli indici di mercato tradizionali.
A distanza di anni l’incognita dei titoli internet sembra ripetersi, stavolta caratterizzata dal prepotente ingresso in Borsa dei maggiori social network e motori di ricerca.
Dopo Apple, Microsoft, Netscape, Yahoo, Amazon e Google, il 18 maggio è stato infatti quotato il network internazionale Linkedin, il social network dedicato ai professionisti in rete che, tramite i propri contatti creano liste di persone ritenute affidabili in ambiti lavorativi affini al proprio.
Quotato 4 miliardi e 250 milioni di dollari, il network di proprietà di Reid Hoffman ha visto salire, nel suo primo giorno di presenza in Borsa, il suo prezzo di collocamento di oltre il 100%, con un’iniziale Ipo di 45 dollari salita nel giro di poche ore a ben 91 dollari per azione.
Un’ascesa che, prevedibilmente, sta ora smorzando l’ottimismo manifestato in prima battuta con un calo di circa il 9% che attesta le azioni a 83,36 dollari cadauna.
Un valore che comunque supera di gran lunga la quotazione originaria e che ha portato gli esperti ad accusare gli Istituti di Credito, responsabili, a loro avviso, di aver sottovalutato la società e di aver quotato un numero troppo esiguo di azioni (solo il 9% del capitale).
Come prevedibile per questo tipo di operazioni, infatti, gli investitori si dividono tra coloro che giudicano il “caso Linkedin” l’ennesima bolla speculativa da tenere alla larga con un rapporto prezzi/utili di circa 976 (il che vuol dire che ci vorranno, alle condizioni attuali, all’incirca 976 anni affinché gli utili ripaghino il prezzo dell’azione), valore che indica un’eccessiva sopravvalutazione del titolo, e chi invece si dichiara fiducioso sulle potenzialità di Linkedin avvertendo nel valore una concepibile crescita reale, possibile grazie ad una ancora più massiccia espansione del network in Asia e in Europa, all’incremento esponenziale del traffico utenti (più che raddoppiato dal 2009 ad oggi) e ad un modello di business che genera profitti encomiabili grazie ad abbonamenti premium e pubblicità.
Nel 2004 anche Google, in effetti, era salito al di sopra del prezzo di collocamento, ma solo del 17%, e già allora si era gridato alla bolla speculativa.
Tutto il comparto dei social network è ora sul piede di guerra, con l’annunciata entrata in Borsa di Facebook nei prossimi 12 mesi e il colosso di vendite social Groupon, che nel dicembre 2010 ha rifiutato i 6 miliardi di dollari offerti da Google, sicuro di potersi quotare in Borsa per almeno 15 miliardi (nonostante un fatturato di 760 milioni per il 2010).
Secondo i sistemi di trading alternativi Second Market e SharesPost, però, nessun social network può ancora raggiungere le stime previste per la creatura di Mark Zuckerberg, valutata ben 50 miliardi di dollari.
La corsa dei social network alle quotazioni è dunque iniziata: ricorda molto quella delle “dot-com” di inizio decennio (Google.com, Amazon.com e la sfortunata Webvan Group), generatrici di ricchezze facili e guadagni apparentemente garantiti in cui vige la teoria che Federico Rampini ha definito su Repubblica “dello stupido più stupido”. Secondo questa teoria, infatti, ci sarà sempre qualcuno meno avveduto del suo predecessore a cui si lascerà il cerino acceso in mano. E dopo Ipo, Opa, day trader, broker, ribassi e speculazioni, tutta la grande corazzata dei social network miliardari viene ridotta ad un misero cerino che brucia ma in un soffio si spegne. Che non sia forse questa l’immagine più rispondente alla realtà.