(di)vagando con Federico García Lorca, poeta e drammaturgo andaluso

Il nostro incontro più autentico con la città avviene nel quartiere arabo dell’Albayzín, nel punto più alto della collina che sovrasta Granada: il Mirador de San Nicolas. Si erge maestosa davanti a noi l’Alhambra, la fortezza dei Mori, alle nostre spalle l’Albayzín con il suo groviglio di stradine risalenti al dominio medievale dei Mori, in basso scorre tra gli alberi il fiume Dauro e la città di Granada si distende al sole lungo la pianura.

Per questi vicoli è possibile incontrare il grande poeta e drammaturgo andaluso Federico García Lorca, vogliamo approfittarne per rivolgergli qualche domanda.

Come descriverebbe lo spettacolo che ci circonda?
Sorgono fra echi fantastici le case sul monte… Di fronte, le torri dorate dell’Alhambra mostrano tagliate nel cielo un sogno orientale.
Il Dauro grida i suoi pianti antichi lambendo terre di leggende moresche.
Nell’aria vibra il suono della città.
L’Albayzín è ammucchiato sulla collina con le sue torri piene di grazia mudejar.

“Mudéjar”, traslato dall’arabo, vuol dire “che ha avuto il permesso di rimanere”, come quei musulmani iberici che rimasero nei territori della Penisola riconquistati dai cristiani, dopo la caduta del Sultanato di Granada nel 1492. L’Albayzín è questa compresenza di storie, culture e umanità diverse?
C’è un’infinita armonia esterna. La danze della casupole intorno al monte è dolce. A volte fra il bianco e il rosso della costruzione, ci sono macchie dure e verdi scuri dei fichi d’India. Intorno alle grandi torri delle chiese appaiono i campanili dei conventi facendo brillare le campane imprigionate tra le gelosie, che cantano nelle albe divine di Granada.

Albayzín è un quartiere magnifico ed imprevedibile?
Sono le strade strette, drammatiche, scale stranissime e disgiunte, tentacoli ondeggianti che si piegano in modo capriccioso e faticoso per portare a piccole mete da dove si scorgono le tremende pareti nevose della sierra o l’accordo splendido e definitivo della pianura. In certi punti le strade sono sentieri di paura e di timore, formate da muri a cui si affacciano mantelli di gelsomini, di rampicanti, di rose di San Francesco.
Le case sono poste come se un vento di burrasca le avesse lasciate così. Montano una sull’altra con strani ritmi di linee. Si appoggiano con i muri in un’originale maniera diabolica.

Quasi uno scenario di leggende?
Qui vive l’Albayzín famoso e fantastico, quello dei latrati dei cani e delle chitarre dolenti, quello delle notti buie nelle strade dai muri bianchi, l’Albayzín tragico della superstizione, delle streghe che indovinano il futuro, degli strani riti gitani, quello dei segni cabalistici e degli amuleti, delle anime in pena, delle donne incinte, l’Albayzín delle prostitute vecchie che sanno tutto del malocchio, l’Albayzín delle seduttrici, delle maledizioni sanguinose, l’Albayzín della passione…
Quante anime ha questo quartiere?
Ci sono altri angoli in cui sembra rivivere uno spirito romantico nettamente granatino… E’ l’Albayzín profondamente lirico… Strade silenziose con erbe, con case dai bei portali, con minareti bianchi su cui brillano le verdi e grigie mammelle dell’ornamento caratteristico, con giardini stupendi per colore e suono.

C’é un anche un Albayzín mistico?
Strade di conventi di clausura perpetua, bianchi, ingenui, con i loro campanili schiacciati, con le persiane impolverate, altissime che sfiorano il tetto… dove ci sono colombi e nidi di rondini. Strade da serenate e da processioni con le candide vergini… strade che sentono le melodie argentate del Dauro e le romanze di foglie che cantano i boschi lontani dell’Alhambra, Albayzín romantico e bello. Albayzín di santa Isabella e dell’entrata dei giardini. L’Albayzín delle fontane, delle piazzette, dei cipressi, dei cancelli fioriti, della luna piena, del romance musicale antico, dei patios arabi, ampi saloni umidi che sanno di lavanda, dello scialle di cachemire, del garofano…
Passando per queste strade si osservano spaventosi contrasti di misticismo e di lussuria. Quando si è diventati troppo tristi per le ombre e i dirupi, si scorgono i colori dolci e smorzati della pianura, sempre argentata, piena di malinconici girasoli di colore… e la città che dorme fra la nebbia e più in là l’accordo dorato della cattedrale che mostra la sua splendida girola e la torre con l’angelo trionfante.

E sempre l’Albayzín arabo?
Da ogni parte evocazioni arabe. Archi anneriti e arrugginiti, case panciute e schiacciate con corridoi, cantine misteriose con linee orientali, donne che sembrano fuggite da un harem… Poi un’aria vaga in tutti gli sguardi, tutti sembrano pensare a cose passate…
Risalendo la collina dell’Albayzín è come se risalissimo lungo i secoli e la storia ci facesse dono di testimonianze ed umanità tanto diverse quanto straordinariamente bene impagliate. Con un’ultima battuta come possiamo definire l’atmosfera dell’Albayzín? Un’aria carica si suoni di chitarre e di gridi calmi di gitani. A cui si accompagna? Un suono di voci monache e il ron-ron della festa.

I testi di Federico García Lorca, grande poeta andaluso, intimamente legato alla città di Granada dove ha vissuto i suoi anni giovanili, sono tratti dalla raccolta “Impressioni e paesaggi” edita da Passigli Editori per gentile concessione dell’editore.

Immagine di Cristiano Carotti