La sanatoria sulle violazioni alla proprietà industriale prevista dal nuovo Decreto Sviluppo, articolo 8, comma 10, scuote il sistema delle imprese italiane del mondo del design. La lampada “Arco” dei fratelli Cassina, la “Panton chair del designer danese Verner Panton, le chaise longue di Le Corbousier possono essere riprodotte senza alcun riguardo.
Il sistema del design italiano, che oggi significa presenza diffusa di attività, competenze, azioni, prodotti e relazioni, che vedono questa disciplina come promotrice di processi d’innovazione da cui il nostro sistema economico-produttivo trae da tempo un importante vantaggio competitivo, viene affossata dal  Dl Sviluppo, entrato in vigore il 14 maggio.
La norma infatti afferma: “La protezione accordata ai disegni e modelli ai sensi dell’articolo 2, n. 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano divenute di pubblico dominio a seguito della cessazione degli effetti della registrazione. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei dodici mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora divenute di pubblico dominio a seguito della scadenza degli effetti della registrazione non rispondono della violazione del diritto d’autore compiuta proseguendo questa attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei cinque anni successivi a tale data e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso”.
Un duro colpo per il Made in Italy. Uno schiaffo alla creatività d’autore e al mondo del design, potenziale asset per rigenerare la competitività del nostro sistema economico.
La questione, precedentemente regolamentata dall’articolo 239 del decreto legislativo del 10 febbraio 2005 n. 30, era stata riformulata lo scorso agosto per adeguarsi alla direttiva Ue del 1998. La nuova versione della legge di riforma del diritto della proprietà industriale è stata ora scalzata dal nuovo decreto generando l’indignazione degli addetti ai lavori.
Si sono levate le critiche e lo sconcerto di tutte le associazioni di categoria: il vicepresidente di Confindustria con delega all’internazionalizzazione Paolo ZegnaRoberto Snaidero, presidente designato di FederlegnoArredo, Carlo Guglielmi, presidente di Indicam, Gianluca Armento, brand manager di Cassina, gruppo Poltrona Frau e da New York il presidente di Assoluce Piero Gandini tuonano contro la norma che avalla la contraffazione delle opere.
Dal “Rapporto Unioncamere 2011” si evince che la capacità di produrre innovazione in Italia, si esplicita attraverso il design e il brand, più che attraverso la tecnologia. Infatti, in base alle domande di registrazione dei marchi presentate all’Uami (Ufficio Armonizzazione del Mercato Interno), le imprese italiane risultano essere molto attente alla tutela di brand e creatività e quindi all’originalità del Made in Italy.
Di fatto negli ultimi cinque anni i marchi che conoscono i più alti tassi di crescita sono quelli che operano nei servizi: pubblicità, formazione e cultura, progettazione, ricerca; proprio per questo il crescente numero di contraffazioni e di reati contro la proprietà intellettuale e industriale deve allertare le imprese e il governo e stimolare un intervento di protezione e salvaguardia che tuteli anche all’estero la nostra creatività.
L’indagine condotta da Unioncamere mette inoltre in evidenza, come il design rappresenti un processo di progettazione, uno strumento efficace affinché la realtà produttiva delle imprese italiane possa affrontare i cambiamenti legati alla globalizzazione dei mercati e incrementare la propria produttività (l’industria italiana dell’arredamento ha riscosso un notevole successo sul mercato mondiale, nonostante la crescente concorrenza di nuovi competitori, forti di bassi costi del lavoro e delle materie prime).
Le grandi imprese del design italiano, Flos, Cassina, Vitra, a fronte delle royalties versate agli eredi dei designer, stanno studiando come muoversi per vie legali contro la norma,  ritenendo che questa, da una parte violi la Convenzione di Berna, dall’altra abbia profili d’illegittimità incostituzionale.
Sarebbe tuttavia auspicabile che la norma, “incostituzionalmente barbara”, fosse questione da discutere non nelle aule dei tribunali, quanto piuttosto in fase di conversione del decreto legge in Parlamento.