Mentre nel mondo culturale romano aleggiano, tra le altre, le incertezze riguardanti il futuro del MACRO in seguito all’annuncio delle dimissioni del direttore Luca Massimo Barbero, negli spazi della Fondazione Roma di via del Corso è allestita la mostra Gli irripetibili anni ’60. Un dialogo tra Roma e Milano, curata dallo stesso Barbero, finalizzata all’indagine di un decennio davvero fervido per gli sviluppi delle arti visive del nostro paese, ma non solo. La mostra è un focus sui diversi indirizzi delle ricerche pittoriche e plastiche: dalle investigazioni sulla monocromia all’azzeramento dei codici espressivi propri della scultura, ai magnetismi pop, alle espressioni segniche, alle rarefazioni concettuali e poveristiche.
Un elemento che in questa sede è importante considerare riguarda il compito dei galleristi, tra i protagonisti di quel complesso cosmo che gli esperti di settore definiscono Sistema dell’arte contemporanea, all’interno di progetti espositivi di questa portata, grazie soprattutto al prestito di opere provenienti dalle proprie raccolte o attraverso il contatto con i collezionisti di riferimento. Ma vi è un altro aspetto da tenere in considerazione: negli ultimi anni c’è stata una forte attenzione nei confronti delle attività che hanno condotto le storiche gallerie dello stivale, pertanto non sono mancate occasioni espositive e editoriali finalizzate a maggiori approfondimenti e valutazioni di merito.
Si consideri per esempio il ruolo di un gallerista come Giorgio Marconi, figura fondamentale per ciò che riguarda l’arte italiana e internazionale a partire dagli anni sessanta, quando ha iniziato a captare tendenze e vitalità in progress sostenendo i protagonisti di questa felice stagione – le prime mostre di Schifano, Tadini, Adami, Del Pezzo e di tanti altri sono state ordinate nello storico spazio di via Tadino – mediante una ricercata attività di promozione dell’arte contemporanea che gli ha permesso, nel corso dei decenni, di raccogliere un numero notevole di opere di importanti artisti della contemporaneità. Non è un caso che nel 2004, dopo la chiusura della galleria, Marconi abbia inaugurato una fondazione a suo nome – con cui organizza esposizioni di ampio rilievo – , così come non è un fatto accidentale che Emmanuele Francesco Maria Emanuele, presidente della Fondazione Roma, nella sua appassionata presentazione del catalogo de Gli irripetibili anni ‘60 (edito da Skira) abbia ricordato il suo ruolo di gallerista e come questo progetto espositivo sia indissolubilmente legato alla sua fattiva collaborazione, tanto che il titolo della mostra sarebbe dovuto essere proprio Omaggio a Giorgio Marconi o Lo Studio Marconi a Milano.
Senza scomodare esempi illustri del mondo dell’arte degli inizi del XX secolo – un nome tra tutti: il gallerista Paul Durand Ruel, vitale per la diffusione dell’impressionismo – il rapporto tra artisti e galleristi (e collezionisti) illuminati ha prodotto risultati straordinari, tanto che spesse volte la lungimiranza di un gallerista è stata fondamentale per la diffusione dell’arte contemporanea in talune realtà e per il sostegno di movimenti e tendenze specifiche.
Seguendo quest’ottica lo stesso Barbero nel 2008 ha curato una mostra dedicata a Carlo Cardazzo nelle sale della Fondazione Guggenheim di Venezia (catalogo Electa), attraverso la quale ha approfondito la storia e l’attività espositiva del gallerista tramite l’esposizione di opere degli artisti a cui è stato vicino e mediante la fruizione di un nucleo di documenti – lettere, fotografie, cataloghi – imprescindibili per una lettura metodologicamente corretta di un simile percorso.
È proprio un metodo di studio basato sull’analisi dei documenti diretti e indiretti ad aver caratterizzato altre occasioni di approfondimento; si pensi alla mostra ordinata in tempi recenti al MACRO dallo stesso Barbero sulla galleria L’Attico di Fabio Sargentini che ha consentito al pubblico di conoscere una delle realtà più originali e valide del mondo dell’arte, o al recente volume edito da Allemandi dedicato ai quarant’anni della galleria barese di Marilena Bonomo che, durante tutta la sua attività, ancora in progress, ha proposto personalità di rilievo del panorama artistico mondiale – da Carl Andre a Sol Lewitt – in un territorio ‘periferico’ come la Puglia.
Altre istituzioni si sono impegnate su questo fronte, la Fondazione Agnelli ad esempio, nel 2008 ha dedicato una grande mostra alla collezione del gallerista Bruno Bischofberger, figura chiave per comprendere alcuni sviluppi della Transavanguardia, in particolare per ciò che concerne l’attività di Francesco Clemente, e di altre tendenze in atto negli anni ottanta, penso naturalmente a Jean Michelle Basquait.
Risale invece ad alcune settimane fa l’inaugurazione una mostra curata da Giuseppe Appella nelle sale del MUSMA di Matera dedicata all’attività della galleria d’arte romana La nuova Pesa, accompagnata da un catalogo (De Luca editore) finalizzato alla ricostruzione di una storia ‘privata’ che però, come spesso è accaduto per altre realtà, si è configurata – tramite il confronto con artisti e critici d’arte attenti – come punto di riferimento e approfondimento sulle nuove tendenze delle arti visive.
Questi sono solo alcuni degli esempi di realtà che hanno condotto questo tipo di indagini all’interno della ricostruzione delle vicende artistiche del secolo scorso – è retorico ribadirlo ma il ruolo del mercato e quindi delle gallerie rimane un fondamentale tassello del sistema – , mentre per ciò che riguarda gli ultimi anni andrebbe anche analizzato il ruolo fattivo di alcuni collezionisti che hanno deciso di uscire dal proprio “giardino segreto”, per proporsi come attivi promotori della cultura contemporanea tramite fondazioni o associazioni. Ma questa è un’altra storia.