Fare il punto sulla situazione della filantropia italiana promuovendo buone pratiche sociali affinché si sviluppi un percorso comune d’azione: è questo l’obiettivo del dossier filantropia 2011 curato da “Vita”, gruppo editoriale attento alle tematiche del terzo settore.
Prendendo in considerazione i dati pubblicati all’interno del quindicesimo rapporto sulla ricchezza mondiale (dati al 2010, quelli del 2011 arriveranno a fine giugno), si evince come in Italia vi siano circa 180 mila “High Net Woth Individuals” cioè individui il cui patrimonio sia uguale o superiore al milione di dollari (proprietà immobiliari escluse): un presupposto importante per l’evoluzione gestionale della filantropia che, nel nostro paese, è rappresentata in primo luogo da forme istituzionali, vale a dire da fondazioni di origine bancaria.
Generalmente le fondazioni svolgono delle attività sociali complementari al pubblico e si collocano laddove lo Stato non riesce ad arrivare: questa modalità di esercizio si è più volte detta insufficiente o comunque non debitamente sostenuta da un settore che dovrebbe intendere il privato come risorsa da sostenere e non come risorsa sostitutiva all’attività statale.
Un credito d’imposta che sostenga le azioni filantropiche potrebbe ad esempio essere uno strumento utile ad incentivare l’investimento dei privati nel terzo settore coadiuvato magari da una pianificazione strutturata da parte delle fondazioni rispetto ai progetti da seguire.
In Italia, nel 2009, sono state censite dall’Istat circa 4.720 fondazioni di varia origine, di cui 2.338 operative, 943 erogative, 1439 miste.
Quelle di origine bancaria, raccolte nell’associazione Acri, si stanno per dotare di una Carta delle Fondazioni, proposta dal dg Acri, Giorgio Righetti, e attraverso la quale le fondazioni potranno adottare strategie comuni nel perseguimento di un obiettivo, rispondendo così sia ai bisogni della popolazione, sia alla necessità di informare ad ampio raggio sui progetti avviati e sulle loro fasi di realizzazione.
Altro passo importante nel comparto sta avvenendo nel campo delle operazioni internazionali. Fino a qualche anno fa, infatti, una fondazione intenzionata ad investire o ad erogare capitali all’estero era costretta ad aprire una sede nel paese di competenza del progetto. Oggi, grazie alla proposta di uno Statuto europeo per le fondazioni, le operazioni transnazionali potrebbero essere più agili e meno cavillose, favorendo inoltre rapporti e scambi tra Stati.
Nell’ambito dei progetti culturali, però, la strada appare ancora ricca di ostacoli dovuti principalmente ad una scarsa predisposizione alla donazione e ad un sistema che non favorisce economicamente gli investimenti nel campo. Il panorama nazionale appare  frammentato e costituito da fondazioni create ad hoc per determinate istituzioni museali (Fondazione Maxxi, Fondazione Musica per Roma, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ecc..) che si uniscono ad altre, come il Fai o Città Italia ad esempio, che invece operano nel fundraising destinato alla tutela del patrimonio in toto, o alle piccole associazioni culturali che nascono ( e muoiono subito dopo aver raggiunto il loro obiettivo) con lo scopo di tutelare, restaurare o valorizzare un determinato bene.
Se dunque il ruolo delle fondazioni e della filantropia in generale è oggi cruciale per il sostentamento di progetti altrimenti non finanziabili, ben venga un riordino della disciplina in materia che doti le istituzioni di regolamentazioni omogenee e condivise che operino nella direzione della de-statalizzazione per creare una grande infrastruttura sociale.