“Disarticolare il pensiero”: un concetto ricorrente nelle parole di Giovanni Bonotto, direttore creativo di terza generazione dell’omonima azienda di famiglia, una multinazionale del settore dei tessuti di alta gamma in provincia di Vicenza, zona in cui troviamo, a pochi km di distanza, aziende leader come Diesel e Dainese (il cuore dell’Innovetion Valley). Una filosofia che è anche un antidoto alla crisi, una possibile ancora di salvezza che deriva direttamente dall’arte, frutto delle frequentazioni del padre, collezionista di Fluxus, corrente artistica che sperimentava la fusione di tutte le arti, lo sconfinamento continuo dell’atto creativo nella vita quotidiana, eliminando la divisione tra esistenza e creazione artistica.
Bonotto è un imprenditore “illuminato”, presente alla quarta edizione del Festival di Arte Contemporanea di Faenza, quest’anno incentrato sulle forme della committenza, che esprime un punto di vista senz’altro innovativo, a partire dall’introduzione del concetto di “Fabbrica Lenta a chilometri zero”. Esso racchiude un nuovo modo di fare impresa, che anziché esplorare le infinite strategie di marketing dettate da logiche di comunicazione, che ormai hanno saturato il mercato e “ucciso” la credibilità del settore, si concentra sul “manufatto”, sulla qualità del prodotto, una sorta di “Rinascimento” che mette al centro la “cultura del fare”. Rinnovarsi significa anche questo: “dobbiamo reinventare l’alfabeto della fabbrica”, ripete, che si traduce nel recupero di telai di altri tempi (datati oltre mezzo secolo), capaci di produrre “tessuti pregiati ed inconfondibili”, apprezzati dalle grandi case di moda, da Dries Van Noten a Yves Saint Laurent. Dati alla mano, la produzione di 20 telai è pari di norma a 25 metri di tessuto al giorno, a fronte di 200 di un telaio normale: macchinari di altri tempi, quindi, ma anche e soprattutto pratiche che venivano utilizzate in passato, in cui il prodotto di qualità viene identificato in base al tempo necessario per realizzarlo, proprio come succedeva un tempo.
Emerge l’entusiasmo con cui l’imprenditore descrive il progetto di un “tessuto ideale”, frutto della ricerca continua della materia per restituirle dignità (basti pensare che non viene utilizzato cotone OGM, ma ricercato cotone naturale, come in Zimbawe) e della produzione in loco, proprio perché la Bonotto spa dà lavoro alla filiera delle microaziende locali: “è il territorio la nuova fabbrica, e al contrario, la fabbrica deve essere il nostro territorio”. Ricetta vincente, questa, se si pensa che ha fatto registrare 32 milioni di fatturato (2009) e in una dozzina d’anni è passata da 70 a 250 dipendenti e che complessivamente dà lavoro a un indotto di 2400 persone.
Questo significa “impollinare”, ovvero, infondere cultura dal basso, affinché il territorio, una volta rivitalizzato, possa dare vigore alla fabbrica. Ecco spiegato il senso dell’apertura, nel 2006, di un Archivio a Bassano del Grappa, in seguito al conferimento della Collezione Luigi Bonotto e all’acquisizione dell’Ex-Macello di Bassano del Grappa, uno stabile di architettura industriale dell’800 situato vicino al Ponte degli Alpini disegnato da Andrea Palladio, ora mutato in un centro polifunzionale culturale progettato dall’architetto inglese David Chipperfield,  “propulsore” di impulsi artistici.
Un progetto di “mecenatismo intelligente” che è anche un gesto di ringraziamento nei confronti di arte ed artisti che hanno “insegnato a fare gli imprenditori”, a beneficio di una comunità che può fruire delle 10.000 opere in esso custodite, in cui artisti locali possono collaborare con laboratori, happening e performance, favorendo uno scambio continuo tra arte, impresa e società. Una vision, questa, che guarda avanti ed ambisce ad educare anche i cosiddetti “nuovi ricchi del mondo”, proprio perché, dice, “saranno loro, in futuro, i nuovi clienti della nostra cultura”.

Approfondimenti:
http://www.bonotto.biz/it