A Maggio 2010, presso la Business School CUOA di Altavilla Vicentina, si è tenuto un “laboratorio culturale” organizzato dall’Associazione Executive Manager Nord Est (1) dal titolo “Chi sono i nuovi manager del futuro?”.

Head Hunter, Direttori Risorse Umane e Manager hanno dato la loro chiave di lettura di quelle che saranno le caratteristiche richieste ai dirigenti che dovranno affrontare le prossime sfide nell’ambito della gestione del business aziendale. Sono state analizzate le conseguenze della crisi sull’evoluzione del mercato del lavoro manageriale, i profili emergenti dal contesto contemporaneo, le tendenze e le competenze da mettere in campo per affrontare il mutato contesto. Spunto di partenza del dibattito è stata l’analisi dell’evoluzione del mercato del lavoro manageriale nel 2009 e nella prima parte del 2010. Ha moderato l’incontro Annachiara Scapolan, ricercatrice di Organizzazione Aziendale presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Sono intervenuti Daniela Bollino, attuale Amministratore Delegato di Key2People (Milano) e Alessandro Vergine, dal 1992 Consulente Senior e Partner di Dotto Research (Pordenone). Importanti le testimonianze e i contributi di Helga Fazion, Presidente di Federmanager Verona e membro del Direttivo Nazionale Giovani Dirigenti e di Luca Vignaga, Direttore HR di Marzotto Group e Presidente del Gruppo Triveneto di AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale).

I temi affrontati nel corso dell’incontro sono stati vari, di seguito riportiamo quelli di maggiore interesse per i lettori di Ticonzero. Utilizzeremo la forma del dibattito a più voci in modo da rendere conto dei diversi punti di vista e della complessità dei temi trattati.

1- Il mercato manageriale: evoluzione quantitativa e qualitativa

Il calo dei posti di lavoro a contenuto manageriale nel 2009 è stato generalizzato oppure è necessario fare dei distinguo in termini di dimensioni d’azienda, seniority, ruoli aziendali?

La situazione, analizzata dalle due società di head hunting sia con focus specifico sul Triveneto, sia più allargata sul territorio nazionale, risulta la stessa: si è fermato il mercato del lavoro in entrata, cioè pochissimi sono risultati i neoassunti. Molto rallentato anche il middle management, mentre in sostanziale tenuta quello dei dirigenti con seniority, non tanto anagrafica quanto di ruolo specifico. Chi si occupa di Risorse Umane come Luca Vignaga evidenzia riduzioni di organico, che hanno toccato per esempio il marketing e la comunicazione, e accorpamenti di funzioni in area IT, HR, Finance. Si può affermare che in momenti di crisi gli imprenditori e il top management siano tornati a puntare sulle hard skills, cioè su quelle competenze che nel recente passato avevano lasciato posto alle soft skills e cioè ad attitudini quali l’empatia, l’intelligenza emotiva, le capacità relazionali. Secondo Daniela Bollino la crisi ha anche fatto cadere alcuni tabù, il primo dei quali relativamente al contratto di lavoro. Alcuni manager hanno infatti accettato contratti temporary, per esempio della durata di un paio d’anni, legati ad un progetto specifico, con una componente fissa e un’altra variabile – importante – legata al risultato; un esempio possono essere le situazioni di turn-around management. Il secondo tabù sfatato è legato al tema del variabile: quando l’economia era in crescita costante, il variabile veniva considerato come un modo diverso di corrispondere un fisso. Nel 2009 le aziende “serie” non lo hanno erogato: la componente variabile deve essere legata ad un trend non solo personale ma anche di business aziendale; da questo punto di vista è stata introdotta in azienda un minimo di etica, ereditata anche dai grandi crack finanziari. Un altro dei tabù che questa crisi ha contribuito ad abbattere è quello della retribuzione, che in un passaggio da un’azienda ad un’altra può anche subire un calo; questo non è più percepito come uno scandalo. Fino a poco tempo fa chi si sedeva di fronte ad un selezionatore aveva l’aspettativa di un aumento retributivo a al 20% (che saliva 30% se era previsto uno spostamento geografico). Oggi non è più così. Intervenendo sul tema, Helga Fazion sottolinea come la recente crisi abbia contribuito ulteriormente a modificare l’approccio richiesto e le competenze: project management, finanza, lavoro per obiettivi. Relativamente all’età del manager, si deve tener conto del fatto che oggi l’investitore istituzionale sta entrando anche nella PMI e quindi viene inserito in azienda chi ha seniority. La fascia più critica, paradossalmente, oggi è quella dei quarantenni, poiché sotto i 40 le persone sono dinamiche, padroneggiano gli ultimi strumenti tecnologici, costano meno e hanno più futuro.

Questa prima analisi porta a pensare che non esista un unico mercato del lavoro per le figure dirigenziali, ma tanti segmenti con sfumature particolari in relazione alla dimensione aziendale, all’età e all’esperienza del manager, alla funzione aziendale.

E’ importante allora capire quali possono essere le caratteristiche che il manager deve possedere per affrontare un futuro così incerto e difficile da prevedere, o in altri termini di quali figure manageriali hanno bisogno le imprese: in letteratura si parla di manager dell’innovazione, knowledge manager e temporary manager: ma aldilà delle etichette, quali sono le competenze che il nuovo manager deve avere?

Su questo tema, Luca Vignaga lancia una provocazione, chiedendo chi tra i manager è disposto a diventare una “partita I.V.A.” Chi, magari dopo dieci anni di dirigenza, saprebbe scordare di avere una retribuzione di un certo tipo, degli MBO, dei benefit: in una parola lo “status” che era prerogativa del ruolo. La fotografia di alcune realtà industriali è schizofrenica, da post-terremoto, da situazione in cui non si capisce nulla. Il temporary management, che fino a pochi anni fa faticava a partire in Italia, oggi è una realtà. Oggi essere un temporary manager è un plus: si entra in azienda e deve in tempi rapidissimi capire il contesto, il business, le persone e con un proprio cruscotto, con competenze che ci si porta dietro, dare una sterzata, una raddrizzata all’azienda. Ma chi sa fare questo è in grado di portare anche, in una dimensione strutturata e con più tempo, contributi di maggior rilievo e respiro.

Questo è il tipo di abilità richiesta, il Project Management, il lavorare per obiettivi, modalità che è molto vicina alla libera professione. Nelle aziende si lavorerà sempre più per progetti; un po’ come in un Lego si metteranno insieme i pezzi o i moduli. Il manager deve sempre più essere un Business Partner; capire dove sta andando l’azienda, il mercato, farsi delle domande, essere curioso di esplorare i territori per capire quale potrà essere la strategia dell’azienda, dove poter intercettare le persone con le giuste competenze.

2 – La progettazione del percorso di carriera: strumenti, modalità, tendenze

In questo contesto, quali sono le capacità e competenze del manager del futuro?

Alessandro Vergine di Dotto Research ci racconta come per lui l’MBA, dopo la laurea in filosofia, sia stato sicuramente una sorta di “career accelerator”: un MBA fornisce infatti visione d’insieme dell’azienda, delle sue funzioni e processi e al contempo competenze allargate che nell’azienda di oggi vengono richieste qualsiasi funzione manageriale si occupi. Ci sono poi aspetti importanti di multiculturalità (gli odierni MBA sono frequentati da studenti provenienti da tutto il mondo) e di cultura meritocratica. I tools che vengono forniti sono quindi importanti ma quello che fa la differenza sono le caratteristiche personali (ad esempio l’empatia), cioè quelli che oggi vengono definiti “soft skills”. All’azienda non interessa più il solo raggiungimento dei risultati ma anche come li raggiungi: se per arrivare all’obiettivo hai distrutto la tua squadra, non hai creato motivazione, non hai fatto crescere i talenti, probabilmente poi non risulterai più così interessante. Per testare e verificare la presenza di queste capacità soft nei manager esistono specialisti dell’assesment individuale cui il manager può rivolgersi; molte società di head hunting si basano principalmente sull’esperienza, le referenze, incrociano i dati, valutano la capacità di ascolto e di ragionamento, lo stile della persona. Parlando di progetto di carriera si può dire che non ci sono formule magiche, il percorso è spesso articolato; un aspetto importante da considerare è che le aziende di oggi, siano esse multinazionali molto complesse o medie aziende, cercano figure molto simili nel senso che, per tutte le funzioni aziendali, cercano manager strutturati. Le prime perché è necessario sapersi muovere in ambienti con riporti funzionali, gerarchici, matriciali e spesso lavorare per progetti o in team; le seconde perché cercano delle scorciatoie, portandosi in azienda competenze di loro interesse attraverso manager flessibili, che abbiano già imparato ad utilizzare strumenti che devono solo essere riadattati alla nuova realtà.

Per costruire il percorso è importante essere in aziende visibili e creare networking. L’Head Hunter, che ha il compito di scovare i talenti, utilizza molti strumenti e verifica che il percorso già fatto dalla persona sia ordinato e coerente, che il candidato conosca il settore (la specializzazione è sempre più spinta), che sia capace di rendere visibili, anche all’interno della propria azienda, i risultati conseguiti. Per riassumere il manager deve oggi possedere il giusto mix tra i risultati, il come li ottiene (con una squadra motivata), il come li riesce a comunicare e con quali tempi (rapidi). Nel futuro dovrà sempre più prendere decisioni imprenditoriali giuste ticonzero No. 112/2011 attraverso rischi calcolati ed aumentando il valore dell’impresa; una definizione che lo avvicina a quella dell’imprenditore.

Per Daniela Bollino, AD di Key2People, la costruzione della carriera è un mestiere nuovo che, in un mercato come quello del Triveneto ove è presente una notevole complessità della struttura organizzativa, va affrontato con attenzione. Il master è un percorso utile, che fa acquisire competenze trasversali, capacità di lavorare in una dimensione polifunzionale, abitudine a sviluppare progetti in team, allenamento alla gestione dello stress. Paradossalmente si può dire che tutte le aziende, anche quelle imprenditoriali, cercano competenze da master ma non li chiamano master: cercano cioè intraprendenza unita ad attenzione ai costi e risultati di breve periodo. Queste sono competenze che vengono allenate nella dimensione del master. Le persone che hanno interpretato il master come un tassello importante al completamento della propria storia professionale, alla loro “cassetta degli attrezzi”, hanno successo se lo riescono a coniugare ad una esperienza professionale abbastanza armonica. Per concludere, anche se sembrerebbe un ragionamento troppo semplicistico, si potrebbe dire che le aziende comprano per il 50% la storia professionale, forse qualcosa di meno, e per il 50% la persona.

I social network come LinkedIn hanno modificato i meccanismi di ricerca?

Secondo Daniela Bollino hanno semplificato di un livello; ogni volta che parte una ricerca c’è da verificare quali sono le aziende di riferimento che possono avere profili professionali che ci somigliano e quali hanno culture aziendali compatibili. Se serve una cultura con forte focus su controllo sui numeri e poca innovazione, è un conto; se serve un profilo con una dimensione creativa, è un altro. In questo senso, il social network rappresentano grandi database, l’unico di una certa dimensione e dove, per certe tipologie di professione, ci sono i profili che contano. Le persone sono molto diverse tra di loro ed il valore che i selezionatori possono mettere in campo sta nel riconoscere queste caratteristiche in funzione del profilo ricercato. Dal punto di vista di chi in azienda si occupa di risorse umane, Luca Vignaga sottolinea come su Linkedin ci sia un flusso enorme di informazioni e in alcuni casi queste non siano affidabili; quello che ancora conta sono le relazioni che si costruiscono, la conoscenza diretta è ancora molto importante.

Come intende la progettazione di carriera chi si occupa di Risorse Umane?

Per Luca Vignaga progettare la propria carriera vuol dire fare un costante bilanciamento delle proprie competenze e quindi rispondere alla domanda: “Quali problemi sono in grado di risolvere all’interno dell’azienda? Quali competenze so mettere in campo per entrare nel processo produttivo aziendale in tempi rapidissimi?” E con chi è possibile fare questo continuo confronto? Certamente con se stessi, ma anche l’Head Hunter può aiutare in questo senso. Confrontarsi con qualcuno periodicamente, al di là del momento in cui ho bisogno o voglio cercare lavoro, è un buon allenamento. In questo contesto, forse oggi è più importante un MBA part-time od executive dopo tre, quattro anni lavorativi o magari attorno ai quarant’anni, piuttosto che all’inizio, a meno che non si cerchi una riconversione (una persona che ha conseguito una laurea umanistica e vuole entrare in azienda). Parlando di attualità, in questo momento storico di caos, di crisi e quindi di depressione che non è solo economica ma diventa anche delle persone, il sentimento che si respira in molte aziende è di noia, frustrazione e stanchezza. Se a questo elemento uniamo le motivazioni per le quali, statisticamente, i collaboratori lasciano le aziende, e cioè nell’ottanta per cento dei casi perché non hanno possibilità di far carriera e/o perché non vanno d’accordo con il capo, dobbiamo ritornare sui temi soft: la motivazione è il tema centrale per poter lavorare meglio. E’ inutile che io critichi il mio capo, perché il mio capo prima o poi si accorgerà se io ho una gestione positiva del clima del mio gruppo. Se non sarà così prima o poi dovrò cambiare azienda. Il rimanere, anche se muoversi è un po’ rischioso, mina l’autostima. Mina quello in cui noi crediamo. Senza l’autostima è difficile costruire un percorso di carriera, un personal brand. E il cerchio si chiude… non è semplice, ma bisogna uscirne.

Conclusioni

Il 6° Executive Lab organizzato dall’Associazione EMNE ha evidenziato come la figura del manager del futuro si avvicini, in termini di capacità di assunzione del rischio, intreccio tra vita professionale e privata, assunzione di responsabilità per le scelte strategiche, a quella dell’imprenditore. Il mix tra conoscenze, competenze e caratteristiche personali deve e dovrà sempre più essere equilibrato, ricco e approfondito. Per arrivare a questo profilo ideale il percorso non è facile e va strutturato, fin dall’inizio, pianificando la propria carriera per step successivi coerenti, assumendosi rischi calcolati nei momenti opportuni, facendosi supportare da società di Head Hunting. Il successo non può però prescindere, in sostanza, da una forte motivazione, dalla passione per il proprio lavoro e dal miglior spirito di squadra, pazientemente costruito e alimentato all’interno del proprio gruppo di lavoro.

Note:

(1) Il gruppo degli Executive Manager Nord Est (EMNE) nasce spontaneamente a fine 2007 dal gruppo dei diplomati Master Executive MBA, 3^ edizione, della Fondazione CUOA. Nel 2010 il gruppo, cresciuto in termini di partecipanti, sviluppo di iniziative e rappresentatività, si costituisce in Associazione Culturale con lo scopo di promuovere una managerialità autorevole, efficace, moderna ed etica per incrementare il valore delle imprese. Il momento pubblico aggregante sono gli incontri periodici denominati Executive Lab: la formula è quella appunto del laboratorio, inteso come modalità di scambio e crescita culturale ogni volta in divenire, secondo un format sempre innovativo. ticonzero No. 112/2011

Nota: questo articolo è pubblicato su www.ticonzero.info