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L’attuale situazione di criticità dei beni culturali in Italia non riguarda solo realtà di rilievo internazionale, quali, ad esempio, il sito archeologico di Pompei, caso esemplare di una inefficienza delle istituzioni competenti in materia di conservazione e valorizzazione, ma anche aree “minori”, di certo meno conosciute ma non per questo trascurabili.
A questo proposito è stata portata avanti un’iniziativa il cui scopo, almeno sul piano simbolico, è stato prendersi cura delle tante testimonianze del passato di cui dispone la città di Benevento.
Centro di antichissima origine, capitale del sannio irpino, divenuto poi colonia romana e in seguito ducato longobardo, Benevento conserva pressoché intatte le importanti tracce della sua storia, nonostante vari eventi sismici, alluvioni e il bombardamento da cui fu colpita durante il secondo conflitto mondiale. Eppure, l’erosione dovuta al tempo, ma soprattutto all’incuria, rischia di arrecare danni non meno significativi rispetto a tali calamità.
Al riguardo, infatti, lo scorso 4 giugno la cittadinanza è stata sollecitata, su invito della Solot (compagnia teatrale attiva da decenni nel capoluogo sannita), in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, ad intervenire sullo stato di degrado del Teatro Romano, con un’attività di pulizia e rimozione delle piante infestanti che ne ricoprivano le strutture.
L’iniziativa, denominata “Angeli delle Pietre – Festa per il Teatro Romano”, con un chiaro riferimento agli “Angeli del Fango” impegnati nel ripristino delle antichità di Firenze dopo l’alluvione del 1966, intendeva appunto coinvolgere i cittadini in una impresa volontaria che potesse in qualche modo scuotere gli attori istituzionali, alla cui negligenza, evidentemente, era in gran parte dovuto lo stato di abbandono dell’antico teatro.
Circa 250 persone, armate di cesoie, rastrelli e decespugliatori, supportati dalla locale Azienda Servizi Igiene Ambientale, hanno partecipato alla manifestazione dimostrando che anche con mezzi limitati, e con una volontà collettiva, si può realizzare un’operazione che dovrebbe rientrare nell’ordinaria attività di manutenzione dei beni culturali.
Ipotizziamo che una pulizia rigorosamente periodica dovrebbe essere attuata da autorità preposte alla gestione di un bene pubblico, anziché da volontari disposti ad interessarsi al problema in via del tutto eccezionale.
È da rilevare, in questo caso come in altri, un problema di responsabilità dei soggetti operanti nel settore – la Soprintendenza o i Comuni e le Province – che può condurre ad una sorta di “scaricabarile” o addirittura ad un completo disinteresse da parte degli stessi. A nostro modesto avviso è inammissibile la gestione di una zona vasta e articolata come quella beneventana, da parte di un ente il quale deve farsi carico delle aree archeologiche di ben quattro province, causando quindi un’inefficienza dei servizi ad esse destinati. A ciò si aggiunga la questione – o il pretesto – di una carenza di fondi che pare essere cronica più che contingente; si tratterebbe, in altri termini, di un limite dato quasi per scontato più che di un impedimento reale all’assunzione delle predette responsabilità.
Sicuramente i tagli alla spesa per la cultura in Italia pesano in misura non indifferente, ma l’iniziativa qui descritta dimostra che almeno per la preservazione di siffatte strutture non servono ingenti somme, quanto piuttosto una supervisione oculata e continuativa.
Non va trascurata, infine, l’allegra atmosfera di collaborazione – nella quale gli autori del presente brano erano coinvolti, anche in veste di membri del Gruppo Archeologico del Sannio – che ha animato questa occasione di festa e di lavoro, con la partecipazione di artisti locali riuniti, con un pubblico stanco ma appagato, nella suggestiva cornice del teatro.