Sembra strano dirlo in tempi di tagli e ridimensionamenti, ma qualche segnale positivo arriva finalmente dal sistema della cultura in Italia. Con un po’ di amarezza e di perplessità bisogna però constatare che non si tratta di un innovativo programma del Ministero, un piano di interventi, e soprattutto investimenti, triennale o quinquennale, che vada oltre alla continua emergenza quotidiana, ma dell’iniziativa di imprese private.
Stiamo parlando di operazioni come il Progetto Cultura del Gruppo Intesa San Paolo – 1.000 opere d’arte restituite al pubblico entro il 2012 -, ma soprattutto degli ultimi progetti del Gruppo Tod’s. Se ne è discusso a lungo – tra sostenitori e puristi – e finalmente siamo arrivati alla ratifica ufficiale del 22 giugno, con la presentazione del piano di interventi del Colosseo.
25 milioni di euro
per i restauri e la conservazione messi sul piatto della bilancia da parte di Della Valle a fronte dell’esclusiva sullo sfruttamento dei diritti di immagine per 15 anni e la possibilità di utilizzare uno dei monumenti più famosi al mondo per iniziative ed eventi. Ad esso si affiancano l’ingresso del Gruppo all’interno della Fondazione La Scala di Milano – 5.2 milioni di euro – e la promessa di promuovere quello che è stato chiamato Progetto Italia,  ovvero la creazione di un sistema di iniziative analoghe realizzate dagli imprenditori italiani sui beni del proprio territorio.
Il centro della diatriba tra pro e contro è sempre lo stesso di quando si parla di cultura e sponsorizzazione: da un parte chi sostiene che lo Stato non abbia soldi da investire e quindi bisogni adattarsi allo sfruttamento da parte dei privati a fronte del denaro per mantenere il nostro patrimonio, dall’altra chi pensa che la cultura vada finanziata sempre e comunque per il valore assoluto che possiede e che essendo cosa pubblica non deve essere lasciata alla mercè delle imprese.
Questi approcci al problema risentono però della cultura e del percorso storico della gestione in Italia, e in altri paesi nemmeno ci si porrebbe il problema.
Per inquadrare correttamente la situazione bisogna quindi guardare semplicemente ai fatti. Fermo restando che fa male vedere – come spesso succede – monumenti e beni culturali tappezzati di pubblicità e marchi fino a trasformarli in una sorta di beni cartellone, se pensiamo ai paesi dell’area anglosassone vediamo come l’alleanza tra imprese e cultura abbia una lunga e florida storia. E per riprendere quello che gli economisti della cultura vanno predicando da tempo, si tratta di una storia basata su un reciproco beneficio. Ma anche su un reciproco rispetto, che nasce da una comprensione del reale potenziale economico che l’arte e la cultura possiedono, soprattutto se non vengono maltrattate, sfruttate e svilite. Perché, per quanto sia pensiero comune, la cultura non è un surplus da sacrificare in tempi di ristrettezze, ma la base su cui costruire il nostro futuro, sia sociale che economico.
E il caso del Colosseo sembra – almeno per ora, ma bisogna vedere nei fatti come verrà gestito –l’esempio di un approccio virtuoso e della capacità di lettura di meccanismi e processi di un imprenditore che ha basato il suo successo proprio sul saper cogliere lo spirito dei tempi.
Il gruppo Tod’s, uno dei marchi leader al mondo nell’industria del made in Italy, finanzia il restauro del Colosseo, simbolo della storia e della cultura del nostro paese e monumento caro a tutti gli italiani. Si tratta di un progetto di mecenatismo che non avrà nessun ritorno economico o pubblicitario/commerciale.
Questo l’inizio del comunicato stampa sulla presentazione del piano di interventi. Ma per dare il giusto valore all’iniziativa bisogna essere un po’ smaliziati. Non per sminuire o attaccare l’impegno del Gruppo, ma anzi per apprezzarne ancora di più le motivazioni.
Senza nulla togliere allo spirito di mecenatismo dell’impegno, appare infatti chiaro come difficilmente un Gruppo da oltre 787.5 milioni di euro di fatturato all’anno, che deve rispondere ad investitori ed azionisti e la cui finalità è fare business e creare profitto, possa decidere di regalare 25 milioni di euro alla comunità. L’iniziativa non è infatti una donazione di Della Valle, ma una sponsorizzazione vera e propria.
Altre due elementi ci dovrebbero far riflettere. Da una parte che con 25 milioni di euro a disposizione le “iniziative benefiche” realizzabili sono innumerevoli – la creazione di una fondazione d’impresa, la sponsorizzazione di eventi, il finanziamento di progetti etc. – dall’altra che per un’azienda che nel solo 2009 ha speso in comunicazione 3.5 milioni di euro non si tratta poi di una cifra così enorme. A questo punto dovremmo domandarci perché sia stato scelto proprio il Colosseo e dovrebbe sorgerci il dubbio che l’impegno di Tod’s possa essere in realtà un investimento pianificato e meditato.
Capiamoci, un investimento si per sè non è una cosa negativa. Vuol dire che gli esperti di comunicazione e marketing di uno dei marchi leader nel mondo nel settore del made in Italy, insieme agli analisti e ai dirigenti, hanno riconosciuto che spendere soldi in cultura rende. E fermandoci a fare due conti ci si accorge che rende parecchio.
L’investimento è infatti di 25 milioni spalmati in 5 anni, ed essendo una sponsorizzazione in ambito culturale gode di benefici che fanno risparmiare il 34% dell’intera somma, arrivando a 3.3 milioni all’anno, ovvero 200.000 euro meno della spesa del Gruppo nel 2009.
Ma che cosa ottiene Tod’s in cambio? Ad una prima analisi “solo” che il nome dell’azienda venga associato a livello mondiale ad uno dei più importanti interventi di restauro su un monumento che non solo è simbolo dell’Italia a livello internazionale, ma anche uno dei beni universalmente riconosciuti come patrimonio dell’umanità. Non c’è paese nel mondo in cui non si parlerà dell’iniziativa e i 5 milioni di visitatori annui del Colosseo avranno ben chiaro grazie a chi possono godere di una delle più importanti meraviglie del mondo.
Non male, ma non è finita. Diversamente da altri interventi analoghi, Tod’s agisce con eleganza e – anche in questo caso – capacità di lettura dei meccanismi della comunicazione. Il Colosseo infatti non verrà ricoperto da cartelloni pubblicitari inneggianti al Gruppo, slogan e spot, teloni di dimensioni titaniche. L’unica forma di pubblicità prevista è la presenza di pannelli alla base alti circa due metri. Ci si potrebbe domandare come mai dopo aver speso una cifra così impegnativa si scelga una presenza tanto discreta. Ma se si riflette una attimo appare chiaro che l’importanza dell’investimento è anche nel valore positivo associato ad esso dall’opinione pubblica. Il fatto di poter godere del Colosseo senza che ne venga stravolta o deturpata la natura e l’immagine, ma anzi facendone il punto di partenza, l’esempio virtuoso, per sollecitare un intervento di livello nazionale realizzato dai privati sul nostro patrimonio.
E il ritorno sull’investimento non finisce qui. I diritti di 15 anni sul Colosseo danno la possibilità a Tod’s di organizzare eventi, manifestazioni ed altre attività e il caso vuole che contestualmente al piano di lavori venga data comunicazione che il Gruppo si impegna a costituire un’associazione che si chiamerà Amici del Colosseo, che si occuperà di promuovere la conoscenza del progetto di restauro e altre iniziative. Mettendo insieme le due cose non stupirebbe se nei prossimi 15 anni l’azienda andasse a investire molti altri soldi nell’organizzazione di manifestazioni, eventi, progetti sempre con un approccio discreto e sensibile, ma che ricordino periodicamente a tutto il mondo il valore del proprio impegno.
Comprendere i meccanismi e l’essenza del progetto, al di là degli schieramenti preconcetti tra contrari e favorevoli, non vuol dire sminuirne il valore sociale e prendendo per buona l’affermazione che questo coinvolgimento nasce da una convinzione di partecipazione civile, la sua importanza è di gran lunga maggiore perché rende evidente anche la certezza che investire nel made in italy, nelle capacità, nelle tradizioni, nella cultura del paese, sia il modo migliore per renderlo più competitivo, e quindi per dare opportunità migliori a tutte le persone che in questo paese vivono e lavorano, e che amano la sua storia e le sue tradizioni.
Rende chiaro a istituzioni e aziende che la cultura e l’arte non costituiscono un surplus da tagliare, ma la chiave, forse l’unica, per mantenere davvero la competitività a livello internazionale. E non si può far altro che sperare che l’esempio del Colosseo fornisca la chiave di lettura al maggior numero di imprese possibile, non solo per il nostro patrimonio, ma anche per la nostra economia. Certo bisognerà vedere se le modalità indicate nella presentazione verranno rispettate e non si trasformerà l’operazione in un gigantesco cartellone pubblicitario, ma intanto Tod’s ha fatto il suo investimento e ha già cominciato a coglierne i frutti.
Va  a vedere che alla fine investire in cultura conviene.